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‘L’Appello ai liberi e forti’ di don Luigi Sturzo dopo 100 anni riletto nell’epoca del digitale

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Perché nel centenario di questo documento importante sotto il profilo storico, istituzionale, politico e sociale noi ce ne occupiamo su un quotidiano digitale? Per due motivi di grande attualità, oggi come allora: il sistema delle autonomie locali e la burocrazia.

La rubrica PAdigitale, a cura di Donato A. Limone, Professore di informatica giuridica e direttore della Scuola Nazionale di Amministrazione Digitale (SNAD), Università degli studi di Roma, Unitelma Sapienza. Analisi e approfondimenti sul processo di attuazione della Riforma della PA. Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.

Il 18 gennaio 1919 veniva reso pubblico l’Appello ai liberi e forti di don Luigi Sturzo.

Perché nel centenario di questo documento importante sotto il profilo storico, istituzionale, politico e sociale noi ce ne occupiamo su un quotidiano digitale e nella società dell’informazione e del digitale (ovviamente) di oggi di non facile previsione all’epoca?

Per due motivi di grande attualità, oggi come allora: il primo motivo riguarda il sistema delle autonomie locali; il secondo, si riferisce alla burocrazia.

Il sistema delle autonomie locali

Sturzo è il teorico per eccellenza dello stato decentrato a favore delle autonomie locali: grande intuizione ripresa dalla nostra Costituzione.

Dopo 100 anni il sistema delle autonomie nell’epoca del digitale acquista ancora più rilevanza se consideriamo lo stesso sistema non solo come cardine dello stato italiano (infrastruttura istituzionale e sociale intesa come nervatura insostituibile della società italiana) ma anche come sistema a rete ed in rete di una comunità digitale.

Gli enti locali costituiscono infatti l’interfaccia diretta e primaria con i cittadini e le imprese per la rappresentanza di questi soggetti, per la rilevazione dei bisogni della comunità locale e per la erogazione dei servizi.

Oggi i comuni possono e devono essere considerati non solo la “rete dei servizi” ma anche la “rete dei dati di base” senza i quali diventa difficile programmare a livello nazionale oltre che regionale. I dati di base (demografici, territoriali, sociali, economici, occupazione, salute, ecc.) costituiscono il “modello dei dati” per il governo, la direzione, la gestione, il controllo. Su questi dati lo Stato può operare secondo quanto stabilito dall’art. 117 lettera r) della Costituzione (coordinamento informativo ed informatico dei dati): per questo coordinamento è appunto necessario la costruzione del modello dei dati. Il nostro Paese non opera sulla base di modelli di dati (e con piattaforme a supporto di tali modelli).

Ciò costituisce un aspetto particolarmente critico in quanto non si utilizza la rete istituzionale ed informativa degli enti locali. Oggi in Italia sicuramente possiamo fare affidamento su di un sistema statistico nazionale di prim’ordine ma non abbiamo ancora la cultura diffusa di operare nel settore pubblico (salvo rare eccezioni) per “modelli” di dati (e modelli di dati validati).

La riforma della burocrazia. La mancata transizione verso l’amministrazione digitale

Nell’Appello di Sturzo si fa riferimento alla necessità di una Riforma della burocrazia: tema “ricorrente” nel nostro sistema politico ed istituzionale. Tema che ancora oggi non è stato affrontato adeguatamente e che vede quindi attuale il pensiero sturziano.

La Riforma della burocrazia è strategicamente l’elemento cruciale per avviare qualsiasi processo innovativo nella società. Il destino del Paese è strettamente legato alla “burocrazia”: una burocrazia moderna ed aperta permette il cambiamento che oggi è richiesto dall’evoluzione verso un nuovo paradigma (il digitale).

Una burocrazia attenta ad essere “chiusa”, autoreferenziale, bloccata, fuori del tempo, contribuisce in modo determinante al blocco dei processi innovativi con danni significativi per tutto il sistema.

È il rischio che corriamo oggi. E la dirigenza in particolare può fare la differenza, può scegliere di optare per l’innovazione o per il “provvisorio” (graduale passaggio senza tempo verso nuovi scenari, senza prevederne la portata).

L’appello per una riforma della burocrazia è quindi ancora valido dopo cento anni.

Il passaggio verso le amministrazioni digitali (trasformazione digitale) significa avviare un percorso verso la semplificazione amministrativa (legge 241/90 inattuata) e verso la digitalizzazione (il Codice dell’Amministrazione Digitale resta una utopia).

Non servono nuove norme ma serve una vera riorganizzazione degli enti in termini di organizzazioni nativamente digitali che operino per “progetti” e sulla base di dati e non per “pratiche”, con profili professionali moderni, per erogare servizi di qualità. Organizzazioni che operino nella logica del Data Driven (dati validi, completi, aggiornati, dati di qualità, dati digitali per burocrazie al passo con le esigenze reali delle comunità locali e nazionale).

La politica deve tracciare la linea per i processi di riorganizzazione.

Ma la politica è in ritardo sull’ammodernamento del Paese. Una per tutti: l’ultimo rapporto DESI 2018 colloca l’Italia al 25 posto su 28 Paesi della UE nell’attuazione dell’Agenda digitale europea. L’ultimo rapporto CGIA 2018 colloca l’Italia al penultimo posto (18.mo posto su 19 Paesi che hanno adottato la moneta unica) per la qualità della burocrazia pubblica. Non aggiungiamo altro.