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Lagarde (BCE): “Eurozona minacciata dall’aumento dei prezzi dell’energia”. Petrolio e gas alle stelle, la Cina torna a trivellare

Le tre incertezze che minacciano l’Eurozona

Il prezzo del petrolio è aumento del +92% nell’ultimo anno, quello del gas naturale del +120%. Basterebbero questi due dati per comprendere a pieno il messaggio lanciato ieri dalla presidente della Banca centrale europea (BCE), Christine Lagarde: “L’aumento dei prezzi dell’energia rappresenta un rischio per l’Eurozona”.

Intervenuta all’ECB forum di Sintra, in Portogallo, la Presidente della BCE ha spiegato che nonostante un miglioramento evidente della situazione rispetto all’anno passato, fortemente segnato dalla pandemia di Covid-19 e dalla conseguente emergenza sanitaria, “continuano a persistere incertezze rilevanti che non vanno sottovalutate”.

Le “incertezze” a cui si riferisce Lagarde sono tre principalmente: una è quella riferita ai prezzi dell’energia che crescono troppo rapidamente, mentre contestualmente si registrano forti aumenti della domanda, anche determinati dalla ripresa economica; un’altra è il rischio di nuove pandemie; la terza è la persistente crisi degli approvvigionamenti.

La Presidente della BCE è stata chiara sul da farsi: “Non sappiamo quanto tempo ci vorrà a risolvere questi colli di bottiglia, ma sull’energia sappiamo che entro il 2022 dovremmo risolvere le principali criticità”.

Le posizioni delle banche centrali di Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone

Al forum portoghese c’era anche il Presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, che invece è sembrato molto meno ottimista sul futuro, perché la crisi della catena degli approvvigionamenti sta continuando e i suoi effetti negativi sono profondi sulla ripresa in atto, mentre l’aumento dei prezzi dell’energia, quindi gas e petrolio in primis, potrebbe continuare anche nel 2022.

L’estrema variabilità dei mercati energetici e l’aumento dei prezzi di petrolio e gas non faranno altro che tenere alta l’inflazione per lungo tempo, anche a causa di strozzature negli approvvigionamenti, ha invece sostenuto Andrew Bailey, il Governatore della Banca centrale d’Inghilterra.

Attendista invece il Governatore della Banca del Giappone, Haruhiko Kuroda, che stima una ripresa dell’economia nipponica ai livelli pre-pandemia all’inizio del 2022, senza mostrare particolari preoccupazioni in relazione alle “incertezze” sopra menzionate.

Le fosche previsioni di Morgan Stanley

Intanto riecheggia ancora l’avvertimento di Morgan Stanley, ricordato in un articolo della Cnbc, secondo cui il prezzo del petrolio (greggio) è destinato ancora a salire (attualmente è attorno ai 78 dollari al barile), con un nuovo picco a 85 dollari per i prossimi giorni (48 ore fa già viaggiava sugli 80 dollari).

Un livello di prezzo considerato molto alto che potrebbe inibire la domanda mondiale di greggio, mentre contestualmente si potrebbe registrare una contrazione dell’offerta legata a sua volta anche a una diminuzione delle scorte.

Le riserve di greggio, infatti, potrebbero diminuire di molto, nei prossimi mesi, secondo le stime MS, nell’ultimo mese sono stati già consumati 3 milioni di barili al giorno provenienti dagli stock di riserva, contro gli 1,9 milioni di barili del trimestre precedente.

Entro il prossimo inverno 2022 è già atteso un taglio alle forniture, che determinerà un’ulteriore impennata dei prezzi dell’energia, soprattutto gas, che ha superato martedì gli 85 euro per MWh sul mercato di riferimento TTF, un incremento straordinario del +1,700% su base annua.

La crisi cinese

Tornando alla domanda di greggio, che potrebbe risentire fortemente di questa fase critica dei mercati, un ulteriore effetto negativo lo giocherebbe anche la crisi energetica che sta attraversando la Cina.

La Cina e l’India, ad esempio, hanno iniziato a immettere sul mercato un gran numero di barili di greggio prelevati direttamente dalle proprie riserve. Una mossa dettata dalla necessità di abbassare i prezzi, con l’effetto però di accrescere i costi interni.

Il petrolio sopra i 70 dollari al barile è un prezzo troppo alto per Pechino e Nuova Delhi, che inizieranno a cercare altre strade.

In Cina, ad esempio, le compagnie petrolifere nazionali si preparano ad investire 123 miliardi di dollari in progetti di perforazione e in nuovi pozzi per il periodo 2021-2025 (contro i 96 miliardi del periodo 2016-2020), secondo stime Rystad Energy.

I nuovi pozzi

Entro il 2025 potrebbero nascere altri 118 mila pozzi di petrolio sul territorio cinese, proprio per aumentare l’offerta di oro nero soprattutto sul mercato interno, per far fronte alla crisi energetica in corso (che probabilmente continuerà per lungo tempo), ma anche per il mercato globale, con l’obiettivo di intervenire sul prezzo.

La Cina, infatti, importa ancora il 74% del petrolio di cui necessità, anche perché la produzione nazionale (scesa da 1,55 miliardi di barili del 2014 agli 1,43 miliardi del 2020) non copre che un quarto della domanda interna.

Le parole di Greta

Uno scenario che deve preoccupare non solamente in termini di andamento di mercato e di equilibri finanziari globali, ma soprattutto per le conseguenze sulle politiche ambientali e sulla capacità di ogni Stato di rispondere alla crisi climatica.

Continuare ad annunciare nuovi obiettivi climatici e di riduzione dell’inquinamento, mentre poi si procede all’apertura di nuovi pozzi e al finanziamento di nuove trivellazioni, non ci consentirà di raggiungere nessun risultato positivo, aggravando lo stato di salute di questo pianeta.

Alla luce di questa situazione, resa ancora più grave dalle ambiguità energetiche dei Paesi più inquinanti, le parole di Greta Thunberg a Milano allo Youth4Climate non sembrano così fuori posto: “Non si può andare avanti con il bla bla bla. È tutto quello che sentiamo dai nostri cosiddetti leader politici. Parole che sembrano bellissime, ma per ora non hanno portato ad alcuna azione. Oggi andiamo ancora nella direzione sbagliata”.

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