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La Web Tax slitta al 2021, l’Ocse avvisa: ‘Serve un accordo internazionale, a rischio l’1% del Pil mondiale’. Il report

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La pandemia da Coronavirus e le divergenze politiche fanno slittare la Web Tax di altri 6 mesi. Adesso l'obiettivo è raggiungere un nuovo accordo per la metà del 2021. All'interno dell'articolo è possibile scaricare il report dell'Ocse in esclusiva su Key4biz.

La pandemia da Coronavirus e le divergenze politiche fanno slittare la Web Tax di altri 6 mesi. Per l’Ocse l’obiettivo primario è raggiungere un nuovo accordo per la metà del 2021.

E’ quanto si legge nel report dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, diffuso oggi. L’organizzazione, tramite un comunicato, lancia un nuovo avvertimento sui rischi legati all’assenza di un accordo su una web tax internazionale. Tassa che, ricorda l’Ocse, porterebbe ad un gettito aggiuntivo di circa 100 miliardi di dollari l’anno.

Web Tax nel 2021

Secondo l’organismo, l’assenza di una soluzione basata su un consenso “potrebbe portare ad un moltiplicarsi delle tasse sui servizi digitali e un aumento della frequenza delle controversie commerciali e fiscali. Nel peggiore scenario – avverte l’Ocse – una guerra commerciale mondiale suscitata dall’adozione di tasse unilaterali sui servizi digitali, potrebbe tagliare il Pil mondiale di oltre l’1% annuo”.

E’ chiaro che nuove regole sono necessarie con urgenza per garantire l’equità e la giustizia dei nostri sistemi fiscali e adattare l’architettura fiscale internazionale dinanzi all’emergere di nuovi modelli di business e alla trasformazione di quelli più vecchi”, afferma il Segretario generale dell’OCSE Angel Gurría. In assenza di soluzione mondiale fondata sul consenso, il rischio di nuove misure unilaterali e non coordinate è reale e aumenta di giorno in giorno”.

Per i big tech non solo web tax

Secondo il Financial Times le autorità europee stanno lavorando a un ‘lista nera’ di colossi hi-tech come Apple, Google e Facebook, da assoggettare a nuove e più stringenti regole che puntano a contenere la loro forza sul mercato.

In base ai piani allo studio, spiega il quotidiano finanziario, le aziende identificate dovranno rispettare norme più dure rispetto a quelle di società hi-tech più piccole. E fra queste norme ci sarebbero l’obbligo di condividere i dati con i rivali e di essere più trasparenti sulle modalità di raccolta delle informazioni.

Il report Usa contro Amazon, Google, Facebook e Apple

Il piano dell’Ue segue di pochi giorni il rapporto del Congresso USA che ha evidenziato comportamenti scorretti sul mercato di Amazon, Google, Facebook e Apple, auspicando una regolamentazione più severa e interventi per spezzare il loro monopolio.

Il documento (clicca qui per scaricare il report), lungo 449 pagine, accusa Facebook e Google di avere una posizione monopolistica, attribuendo invece ad Apple e Amazon un “significativo e duraturo potere di mercato”, e critica inoltre anche le autorità antitrust statunitensi per non essere state in grado di frenare il loro dominio in tutti questi anni.

Il testo raccomanda pertanto al Congresso di considerare una serie di misure di risposta, tra cui figura anche una legge che possa in qualche modo obbligare le società in questione a separare alcune piattaforme online dominanti da altre linee di business. In aggiunta, vengono proposte una serie di modifiche alla normativa antitrust al fine di garantirne una sua rigida applicazione.

Il rapporto di per sé non comporta vincoli giuridici, ma i legislatori sperano che le sue conclusioni possano indurre i responsabili politici a prendere dei provvedimenti.

“Per dirla semplicemente, le aziende che una volta erano start-up sfavorite che sfidavano lo status quo sono diventate i tipi di monopoli che abbiamo visto l’ultima volta nell’era dei baroni del petrolio e dei magnati delle ferrovie”, si legge nel documento. “Queste società adesso hanno troppo potere e tale potere deve essere contenuto e sottoposto a una supervisione appropriata: è in gioco la nostra economia e la nostra democrazia”.

La componente repubblicana del Comitato della Camera non ha aderito al report, ma nelle interviste rilasciate negli ultimi giorni ha dichiarato di condividere le preoccupazioni sulle big tech sollevate dai Democratici, sebbene non sia d’accordo con alcune raccomandazioni di più ampia portata.

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