Il lavoro in banca, negli ultimi anni, è molto cambiato per effetto delle continue ristrutturazioni organizzative, dell’intensificazione della digitalizzazione dei processi. È certamente destinato a cambiare in modo più radicale con la diffusione delle applicazioni dell’intelligenza artificiale (AI).Le banche hanno snellito e automatizzato i processi per comprimere i costi e la redditività ha ripreso a crescere ma con una serie di effetti che sono ricaduti sul personale e che hanno così contribuito a peggiorare il clima organizzativo.
Una Survey realizzata dalla Università La Sapienza di Roma in collaborazione con la UILCA ha messo in luce una situazione molto preoccupante che dovrebbe indurre le stesse direzioni bancarie a introdurre cambiamenti non tanto incrementali quanto radicali dei modelli organizzativi e manageriali.
La ricerca si è basata su un apposito questionario rivolto all’intero sistema bancario, con risposte da parte di circa 500 dipendenti bancari, che hanno evidenziato un lungo elenco di problemi emergenti e di difficoltà che il personale bancario sta incontrando, e soprattutto subendo, in conseguenza dell’innovazione tecnologica e della dinamica dei modelli di business.
Ciò che più colpisce del quadro emergente dalla grande mole dei dati raccolti è il clima organizzativo di generale demotivazione tra il personale. Il modello gerarchico-burocratico continua a dominare gli assetti organizzativi. I carichi di lavoro si sono accresciuti con il taglio degli organici, nonostante la maggiore digitalizzazione dei processi, ed è aumentato lo stress. Il personale subisce la gestione del cambiamento senza coinvolgimento e partecipazione. Diffusa è una forte incertezza sul futuro organizzativo
La situazione di demotivazione generalizzata è segnalata dal personale intervistato con riferimento a un’ampia serie di aspetti riguardanti l’organizzazione del lavoro, le relazioni con i capi, lo sviluppo professionale. Si tratta di dati particolarmente preoccupanti se si tiene conto del trend peggiorativo che si conferma secondo una linea di continuità con un’analoga survey del 2018 riferita al management che denunciava un clima organizzativo analogo[1].
Il lavoro bancario è diventato sempre più proceduralizzato e operativo anche per effetto di un maggior accentramento decisionale. Si è ridotta la managerialità in tutte le figure professionali. Il tempo di lavoro assorbito dalle procedure digitali è diventato ampiamente prevalente. In media dal 52% al 63%; in alcuni ruoli, come quello di consulente, si è passati da 66% a 73%. Le professionalità invece si stanno indebolendo; le competenze specialistiche pesano sempre di meno nella struttura dei ruoli passando mediamente da 35,2% a 32,8%. Lo sviluppo professionale è lasciato soprattutto all’auto-formazione sul campo.
La pianificazione del personale non è presidiata dalle banche sia di maggiori che di minori dimensioni. Persistono in modo diffuso modelli manageriali poco partecipativi, se non autoritari. In seguito a un ulteriore snellimento e appiattimento degli assetti organizzativi, volti alla compressione dei costi, si è accentuata negli ultimi anni la riduzione del ruolo di middle management; pertanto, le strutture operative non hanno più interlocutori direzionali diretti e si sentono isolate.
Gli assetti verticistico-gerarchici producono “costi occulti” riguardanti la demotivazione e la dequalificazione del personale ma anche effetti disfunzionali, per le stesse banche, come la scarsa capacità di adattamento, lo scarso livello di servizio, e soprattutto il sottoutilizzo delle capacità creative e di innovazione presenti nell’organizzazione.
La funzione del Personale non si è rafforzata né si è evoluta e risulta assente nel dare risposte alle istanze e alle aspettative provenienti soprattutto dal personale più giovane. Appare quindi forte lo scollamento tra il generale malessere in atto e l’inerzia delle direzioni ad attivare i cambiamenti necessari. Un atteggiamento quindi passivo che denota non solo una mancanza di idee su come affrontare la situazione ma soprattutto uno stile direzionale che ritiene non necessario intervenire nonostante un personale, soprattutto giovane, molto critico nell’attendersi miglioramenti significativi, in una fase di sviluppo della digital transformation, e che la banca rischia di perdere, viste la difficoltà di retention delle nuove generazioni.
È probabile che nella prospettiva della digital bank, il top management pensi che la banca possa essere gestita da un gruppo ristretto di manager grazie a piattaforme tecnologiche che lasciano ai canali distributivi digitali e alle reti dei consulenti la gestione delle relazioni di clientela. Ma le banche stanno correndo, secondo gli Autori della ricerca, un “rischio di modello manageriale” perché queste incoerenze alimentano i già ricordati “costi occulti” che pregiudicano lo sviluppo di quel capitale umano-cognitivo che sta diventando – nell’era della conoscenza e dell’innovazione tecnologica – molto più rilevante e decisivo nell’innovare i modelli di business. La digitalizzazione e l’IA possono sostituire buona parte dei lavori routinari, ma resta il problema di disporre di elevate professionalità bancarie e finanziarie, e non solo tecnologiche, in diverse funzioni critiche della banca.
Gli Autori della Survey (che da alcuni anni sono impegnati in un programma di ricerca tuttora in corso presso il Dipartimento di Management dell’Università La Sapienza su “Modelli di business e manageriali delle banche”) evidenziano come il cambiamento auspicato sia in realtà realizzabile e alcuni gruppi bancari lo stanno già facendo. Occorrono soprattutto modelli manageriali anzitutto con una dimensione etica nelle scelte organizzative che abbiano, cioè, un impatto significativo sulla qualità della vita lavorativa del personale e che al tempo stesso favoriscano la motivazione e la crescita della professionalità. Nelle esperienze che si riscontrano in alcune realtà nel sistema bancario italiano, i modelli partecipativi, basati su team auto-organizzati, stanno mostrando un buon impatto con miglioramenti del clima organizzativo grazie al decentramento e alle maggiori autonomie operative che valorizzano la professionalità.
Il lavoro bancario si sta impoverendo
Nel valutare come cambiano i ruoli organizzativi, la componente operativa dei ruoli passa mediamente da 58,81% a 59,71%; il profilo delle competenze specialistiche dei ruoli si riduce passando da 35,21% a 32,81%; mentre la componente direzionale passa da 14,87% a 9,51%. Il peso delle procedure digitali aumenta sensibilmente passando da 52,62% a 63,01%.
Si conferma pertanto una riorganizzazione del lavoro che vede l’aumento di famiglie professionali che svolgono mansioni prevalentemente guidate dalle procedure digitali; con una componente di competenze (specializzazione) che non prevale nel ruolo e che peraltro si sta riducendo. Queste tendenze nell’organizzazione del lavoro confermano un contesto, compreso lo stile di direzione, che certamente non agisce sul miglioramento né della professionalità né della motivazione.
È interessante per contro notare come la componente specialistica si stia riducendo nella maggior parte dei ruoli quale conseguenza dell’aumento del peso delle procedure digitali. Nel ruolo di direttore di filiale il peso delle attività specialistiche si è ridotto dal 34,8% al 26,3% mentre nel ruolo di gestore qualificato è passato da 36,67% a 33,33%. Nel ruolo di addetto (che riassume una serie di ruoli esecutivi) il lavoro specialistico si è ridimensionato passando da 30,02% a 24,21%.
Anche la componente manageriale si è ridotta in molti ruoli. Significativo è il calo di managerialità registrato presso i ruoli di analista e controller (rispettivamente da 17,46% a 8,03% e da 23,15% a 9,14%) per il maggiore peso delle procedure automatiche in diverse funzioni. Il ruolo di direttore di filiale risulta invece valorizzato sul piano direzionale: le attività manageriali passano dal 23,8% al 38,05%. In un contesto di snellimento delle reti distributive questo ruolo sembra assumere una maggiore centralità.
Per quanto attiene alla specializzazione, il ridimensionamento di tale componente riguarda il personale sia maschile (da 34,67% al 32,23%) che sia femminile (da 36,39% a 33,79%) con un bilanciamento che si ritrova anche nella componente manageriale che si è ridotta più pesantemente sia per i maschi ( da 14,96% a 9,97%) sia per le femmine (da 14,09% a 8,13%).
Esaminando le risposte per classi di età di servizio, sono soprattutto i giovani lavoratori (fino a 5 anni di servizio) i meno disposti ad accettare contesti burocratici e depressivi sul piano delle relazioni umane, come dimostra l’uscita di molti neoassunti in banca dopo periodi relativamente brevi.
È infatti questa la categoria che evidenzia, rispetto alle altre del campione, la maggiore criticità (valutata su una scala da 1 a 5; 1= bassa; 5= alta) dei fattori qualitativi del lavoro: conciliazione vita/lavoro (3,67), crescita professionale (3,39), lavoro appagante (3,24), intesa con i colleghi (3,24) qualità del lavoro (3,32), coinvolgimento nelle decisioni ESG (2,06). Tuttavia, anche le buone retribuzioni ottengono il punteggio relativamente più alto (3,36), nell’ambito dell’intero campione; il che significa che i giovani lavoratori danno importanza non solo alla qualità del lavoro ma anche alla retribuzione.
Scasa qualità del lavoro e demotivazione
Se le banche intendono attrarre questi lavoratori, specie quelli con le competenze più elevate, le attuali politiche del personale, i modelli organizzativi e gli stili direzionali devono essere modificati. Il richiamo alla qualità del lavoro e a un lavoro appagante mette in discussione i modelli organizzativi attuali con scarsa delega e basati sul principio del comando e controllo, stili direzionali poco partecipativi se non autoritari. La carriera (possibilità di promozioni) non è però considerata un fattore tra quelli più motivanti (2,52). Questo dato è più basso a livello generale, il che la dice lunga anche sulle ambizioni di un personale che, demotivato, pare rinunciatario, probabilmente anche perché non sono trasparenti i criteri delle promozioni in un sistema verticistico.
Tuttavia, la segmentazione per dimensioni mostra che vi sono differenze nell’evoluzione dei profili dei ruoli con riguardo alle competenze. Le banche piccole e minori nostrano una minore componente specialistica nei ruoli (31,59%; 26,88%) rispetto alle banche maggiori (34,18%), grandi (34,67%) e medie (29,25%); e di conseguenza una maggiore componente operativa (63,12%; 64,38% contro 59,33%; 56,64%, 62,88%). Il profilo manageriale presenta un peso limitato in tutte le categorie e non supera il 10% delle banche maggiori (10,31%) seguita dalle banche grandi (9,80%) e medie (7,62%). Nelle banche piccole la managerialità dei ruoli è la più limitata (6) mentre in quelle minori pesa per l’8,75%.
La gerarchia continua a essere centrale nei processi decisionali in tutte le categorie dimensionali. E il grado gerarchico tende a prevalere sulle competenze, la cui influenza viene indicata in calo. Il modello manageriale viene delineato pertanto dalle risposte degli intervistati di tipo verticistico: punteggi in riduzione (e più negativi per le banche piccole e minori) riguardanti il coinvolgimento (dato negativo per tutte le categorie dimensionali), l’ascolto del personale, l’attenzione alla crescita del personale.
L’AI migliora la qualità del lavoro?
La Survey ha messo in luce una serie di problematiche di grande rilievo riguardanti non solo il progressivo impoverimento delle professionalità ma anche la criticità dei modelli manageriali e delle politiche del personale. Ciò significa che le banche e i gruppi bancari, interessati da questa situazione generale, non hanno adottato adeguate misure migliorative, per cui si spiega l’ulteriore decadimento del clima organizzativo registrato in questi ultimi anni.
L’autonomia decisionale concessa al personale resta limitata mentre aumenta il carico di lavoro. Nonostante la maggiore digitalizzazione dei processi, la riduzione degli organici tende ad annullare gli effetti di alleggerimento e di semplificazione che ci si dovrebbe aspettare dal lavoro esecutivo; ne seguono due elementi da non sottovalutare: l’aumento dello stress e il decadimento della soddisfazione e della motivazione.
L’effetto di disengagement pare però trascurato dalle direzioni o tutt’al più accettato come inevitabile conseguenza della transizione verso un modello aziendale sempre più accentuato di digital bank. D’altra parte, negli anni più recenti, le banche continuano a fare profitti grazie all’aumento dei tassi, per cui le performance economiche da questo punto di vista sono considerate buone, se non ottime dal top management, cosicché le altre eventuali preoccupazioni sono accantonate.
In questo scenario, sta emergendo pertanto un inevitabile contrasto. Da un lato, vi è l’esigenza di un’evoluzione organizzativa basata su nuovi principi per valorizzare l’intelligenza emotiva e collaborativa al fine di rafforzare la coesione sugli obiettivi aziendali, dall’altro lato, si sta prospettando uno sviluppo tecnologico che tende a confinare la maggior parte del personale in compiti essenzialmente operativi. Il capitale umano della banca rischia quindi di svilirsi trovandosi a supportare, più che a gestire, attività sempre più digitalizzate, sempre più governate dalle procedure automatiche anche nei processi decisionali che le direzioni ritengono di affidare all’intelligenza artificiale.
Dato questo contrasto, apparentemente insanabile, fra tecnologia e organizzazione, il disengagement con la diffusione dell’intelligenza artificiale rischia di peggiorare. La riorganizzazione del lavoro, invece di assecondare le suggestioni di una facile “sostituzione tecnologica” delle competenze, dovrebbe pertanto adottare un approccio integrato ed equilibrato secondo il principio della intelligenza aumentata. Occorre, cioè, mantenere al centro dell’organizzazione il capitale cognitivo rappresentato dalle competenze professionali della gestione bancaria “aumentarlo” con il supporto dell’intelligenza artificiale soprattutto in termini di capacità e rapidità di analisi.
Verso una nuova gestione del personale?
L’attuale organizzazione di tipo burocratico, che ancora prevale nella maggior parte delle banche, resta nel complesso lontana culturalmente dall’agile organization e dai paradigmi del self-management che si stanno imponendo nel mondo nelle imprese. Si evidenza quindi la necessità nel settore bancario di nuovi approcci all’organizzazione e alla gestione del personale per promuovere l’engagement, motivare, ridurre lo stress, sviluppare e valorizzare le competenze.
Di fronte a una situazione di demotivazione e disengagement sono soprattutto le politiche del personale che devono essere riviste da molti punti di vista (formazione e reskilling, gestione della carriera, remunerazione e incentivazione) in un contesto in cui lo stile direzionale deve mostrarsi più attento all’ascolto e alla comunicazione interna.
Ma una maggiore coesione aziendale deve essere ricercata soprattutto nel rafforzamento delle relazioni valoriali tra organizzazione e personale e non solo migliorando la qualità del lavoro. Infatti ciò che crea coesione è soprattutto il grado di affinità tra le persone e quindi la condivisione degli obiettivi, della missione aziendale e il “modo di fare banca” nella società.
Il tema del disengagement sta diventando trasversale nel mondo del lavoro, rivelando, anche nelle banche, un disagio che va oltre la richiesta di una migliore qualità del lavoro. Va preso atto, da parte delle direzioni bancarie, dell’importanza della dimensione valoriale dello scambio tra persone e organizzazione. Le persone avvertono infatti la responsabilità di dare un contribuito positivo sul piano sociale grazie al loro coinvolgimento nelle decisioni aziendali.
Si spiega così, anche da questo punto di vista, l’importanza di sviluppare relazioni aziendali basate su quelli che nella letteratura organizzativa e manageriale vengono chiamati “contratti psicologici di affinità”. Ciò significa soprattutto la condivisione della mission, degli obiettivi e del ruolo della banca nella società. Sono queste componenti sociopsicologiche in grado di incidere maggiormente sulla coesione aziendale, sulla qualità delle prestazioni lavorative e sul grado di motivazione delle persone.
[1] M. Baravelli, V. Pesic, Modelli manageriali e modelli di business nelle banche. Come sta cambiando il ruolo dei dirigenti nel settore bancario Italiano, Egea, 2021.