l'analisi

Il futuro delle banche? Qualità dei vertici e creazione di valore sì, ma anche per il sociale oltre che per gli azionisti

di Maurizio Baravelli, Economista, Sapienza Università di Roma - Dipartimento di Management |

Basilea III e le nuove regole europee: una normativa che non promuove l’orientamento sociale, continuando a privilegiare la creazione di valore per gli azionisti. L’importanza delle governance bancarie allargate.

Il regolatore europeo ha finalmente compreso che la stabilità e l’efficienza delle banche dipendono prima di tutto dalla qualità dei loro vertici? Sembrerebbe di sì, considerando che il nuovo accordo di Basilea III (la nuova normativa bancaria recentemente approvata) prevede oltre a maggiori requisiti di capitale anche regole più stringenti su “competenze” e “onorabilità” degli organi di gestione e dei titolari delle funzioni e dei ruoli chiave delle banche.

Misure certamente condivisibili, specie nella prospettiva di una finanza europea a favore della crescita sostenibile, della transizione ecologica e digitale. Se la stabilità è un vincolo che la qualità del management può rafforzare, sono soprattutto i valori etico-culturali degli amministratori bancari a dare consistenza alla responsabilità sociale.

Tutto bene pertanto? Non completamente. Sulla base dell’analisi critica che qui proponiamo, ci si chiede come una normativa che induce le banche a privilegiare la creazione di valore per gli azionisti possa conciliarsi con l’orientamento delle stesse banche a strategie dettate dalla responsabilità sociale. Una possibile composizione degli interessi divergenti è realizzabile con modelli di governance allargata che il regolatore però non prevede. Ma la regolamentazione non è sufficiente. E’ soprattutto indispensabile un cambiamento culturale generale che faccia leva sull’educazione finanziaria intesa nel senso dei valori etici che la finanza deve possedere.

Basilea III e i suoi limiti

Rafforzare le competenze manageriali in un contesto sempre più complesso è questione che non si discute, ma come l’ABI ha osservato[1] – e non si può non concordare – la regolamentazione non può continuare a chiedere alle banche aumenti di capitale per fronteggiare i maggiori rischi. Operando con più capitale, per effetto anche dei maggiori limiti imposti da Basilea III alla leva finanziaria, le banche sono indotte ad aumentare i tassi per continuare a rispondere alle attese di rendimento degli azionisti. Ciò è in contrasto con una politica creditizia che dovrebbe essere maggiormente orientata alle imprese socialmente sostenibili. Il regolatore ha previsto che le banche debbano valutare le imprese finanziate sulla base dei criteri ESG (environmental, social, governance) in modo da orientare l’allocazione dei fondi verso gli investimenti più proficui per un’economia che risponda alle esigenze ambientali e sociali.

Negli ultimi anni il contesto operativo è fortemente mutato e con la digitalizzazione sono emersi nuovi tipi di rischi che richiedono nuove regole. Le banche si trovano ad affrontare in particolare la maggiore mobilità dei depositi online (come si è visto con il default di Silicon Valley Bank e la crisi di Credit Suisse); ma mantenere livelli di liquidità più elevati ha un costo che andrebbe contenuto se le banche devono essere non solo stabili ma anche efficienti nei confronti dell’economia.

Soggette ai nuovi vincoli previsti da Basilea III, le banche sono costrette a puntare ulteriormente sulla redditività, rispetto ad altre finalità, dovendo quindi privilegiare la creazione di valore per gli azionisti ai quali poter richiedere i maggiori capitali necessari. E una buona redditività è pur sempre indispensabile per autofinanziare gli aumenti patrimoniali in alternativa al ricorso al mercato dei capitali. Ne può derivare addirittura l’accettazione di maggior livelli di rischio in contrasto con i criteri ESG. Una regolamentazione restrittiva mette pertanto le banche in difficoltà nel coniugare la sostenibilità economica con quella sociale.

Qual è la banca che vogliamo?

Il regolatore fa riferimento all’ “onorabilità” dei vertici bancari ed è certamente un dato di rilievo. Si tratta però in realtà di requisiti già previsti, sebbene non sempre presenti come dovrebbero.

La qualità delle competenze tecniche del management condiziona la sana e prudente gestione ma sono i suoi valori etici e morali che hanno rilevanza per la responsabilità sociale[2]. La corporate social responsibility (CSR), per non restare solo un’opinione, deve essere concretamente agita dai membri dei consigli di amministrazione e dal management delle banche, che ne devono condividere sul piano personale i principi e non perché è la normativa che impone di osservarli

Tuttavia, non è sufficiente che il management condivida ragioni e spirito della finanza sostenibile. Gli azionisti sono effettivamente disposti a concedere parte dei propri benefici alla causa dei criteri ESG? E’ ragionevole pertanto pensare che si possa diffondere in Europa il modello del “banchiere sociale” che persegue un “profitto soddisfacente” (non il massimo possibile) finanziando gli investimenti socialmente utili per lo sviluppo di un’economia eco-sostenibile e che assicuri un miglior benessere collettivo? Creazione di valore riferito pertanto alle ricadute sullo sviluppo dell’economia e non solo ai risultati di bilancio?

Un nuovo “banchiere sociale”

Vi sono stati economisti e banchieri che hanno proposto e attuato il modello del “banchiere sociale”. Esempi si ritrovano nell’ambito della cooperazione di credito e delle casse di risparmio. Questi modelli rappresentativi del pluralismo finanziario sono stati messi fuori campo proprio dalla regolamentazione quando questa ha posto fine alle categorie bancarie, omogeneizzandone le condotte operative, sulla base del modello della società per azioni e della creazione di valore per gli azionisti.

Giordano Dell’Amore[3] è stato tra i maggiori sostenitori che una buona gestione bancaria, sia nel settore pubblico che in quello privato, è legata non solo alle capacità e alle competenze tecniche e manageriali ma anche e soprattutto alla responsabilità personale dei rispettivi esponenti bancari. E nel coniugare la sostenibilità economica con la sostenibilità sociale, affermava che le banche non debbano perseguire il massimo profitto ma indirizzare il pubblico risparmio verso gli investimenti più proficui per la collettività nazionale.

Ritenuto paternalistico, il “banchiere sociale”, che valutava i prestiti sulla base non solo della solvibilità delle imprese ma anche degli “effetti immediati e lontani sull’economia del paese” [4], verso la fine del secolo scorso venne criticato dalle stesse autorità di vigilanza. Con la deregolamentazione, le privatizzazioni e il primato del mercato, prevalse la teoria dell’efficienza del capitale. La “banca sociale” fu messa così fuori gioco. Sembra, tuttavia, che il concetto di banchiere socialmente responsabile, almeno a parole, sia riemerso con i principi della responsabilità sociale e l’applicazione dei criteri ESG nella valutazione dei prestiti.

La visione del “banchiere sociale” può essere in effetti riconducibile alla CSR e ai criteri ESG che dovrebbero guidare la politica creditizia delle banche europee. Come ricordato, il regolatore ha imposto alle banche di valutare il rischio di credito tenuto conto dei rischi ambientali, sociali e di governance a cui sono soggette le imprese finanziate, imponendo alle banche di adeguare il capitale anche alla copertura di questi rischi. Di conseguenza, le banche dovrebbero trovare maggiormente conveniente l’allocazione delle risorse alle imprese più attente all’ambiente e agli interessi collettivi favorendo così la transizione ecologica e lo sviluppo di una nuova economia.

 Ma siamo sicuri che si possa avere in tal modo un ritorno effettivo al banchiere sociale? Se le banche devono selezionare le imprese assegnando un rating ESG, non è detto che decidano di fatto di escludere e di non finanziare quelle più rischiose sul piano sociale. Anzi, potrebbero addirittura farlo lucrando maggiori tassi di interesse e remunerare pure meglio il capitale. Comunque, se è vero che la normativa ESG può scoraggiare il finanziamento delle imprese non sostenibili, non è altrettanto vero che promuova in via prioritaria il finanziamento degli investimenti socialmente utili e più vantaggiosi per la crescita sostenibile del Paese. Il “banchiere sociale” è ben altra cosa sul piano culturale e dei valori manageriali.

Il ruolo della governance

Oggi i banchieri “illuminati” non sono diffusi ma non lo erano nemmeno in passato. Una loro maggiore attuale presenza contribuirebbe a ripristinare un pluralismo finanziario che è stato affossato dal pensiero unico dello shareholder value. E sarebbero certamente utili in uno scenario che richiede lo sviluppo della finanza socialmente sostenibile.

 Le nuove regole di Basilea III non vanno però in tale direzione. La creazione di valore per gli azionisti resta la funzione-obiettivo delle banche. Una maggiore sensibilità al ruolo sociale e una gestione meno centrata sugli interessi dei portatori dei diritti proprietari potrebbero derivare dall’allargamento della governance ai rappresentanti degli altri stakeholder compresi i lavoratori. La partecipazione dei dipendenti nei consigli di amministrazione delle banche rafforza la responsabilità sociale quando funziona come controllo del rispetto dei criteri ESG in una prospettiva di maggiore corporate democracy.

La funzione obiettivo del rischio/rendimento della banca non può essere d’altra parte lasciata alla completa discrezionalità degli amministratori e del management. Le recenti crisi finanziarie lo hanno insegnato. Sollecitate da incentivi e premi di redditività, le direzioni bancarie sono state indotte a strategie eccessivamente rischiose che hanno danneggiato gli stessi azionisti. Gli azionisti dovrebbero pertanto poter esprimere qual è il rischio massimo che sono disposti a correre[5]. E in realtà essi possono condividere le strategie della “banca sociale” che può diventare quindi un modello appetibile ai risparmiatori-investitori che sposano la causa della finanza sostenibile.

 La “massimizzazione dei profitti” non è, e non può essere, un concetto assoluto. Anche i dipendenti e gli altri stakeholder dovrebbero essere sentiti. Rischi troppo alti possono compromettere seriamente la stabilità e continuità dell’attività della banca e quindi l’occupazione, in contrasto con interessi che vanno ben oltre quelli degli azionisti e riguardano l’intera collettività. La disciplina sull’ informativa di mercato delle banche dovrebbe prevedere, accanto agli indicatori di redditività e di rischio, anche indicatori sulla CSR. Ciò al fine di poter valutare come la redditività sconti l’orientamento della banca alla responsabilità sociale anche ai fini di un corretto confronto competitivo.

Verso una vigilanza sostenibile?

I criteri ESG che le banche applicano ai finanziamenti sono sufficienti a promuovere la responsabilità sociale? Sulla base delle riflessioni svolte, occorre un cambio di passo. Anzitutto è auspicabile un allentamento dei requisiti di capitale in rapporto alla migliore qualità manageriale e organizzativa. La stabilità di una banca e il suo sviluppo derivano infatti dalle capacità del vertice direzionale; se si continua a imporre aumenti patrimoniali si frena l’attività creditizia specie quella a sfondo sociale. Inoltre, il regolatore deve aprirsi ai modelli della “governance allargata”. Sono quelli più appropriati a sostenere il modello della banca sociale e nel trovare un equilibrio tra creazione di valore per gli azionisti e responsabilità sociale.

 Se un’economia sostenibile richiede una finanza sostenibile, occorre di conseguenza anche una “vigilanza sostenibile”. Il quadro normativo deve favorire la coesistenza dei diversi interessi in gioco, quelli degli azionisti da un lato e quelli del benessere economico-sociale dall’altro lato. Andare verso modelli inclusivi e collaborativi tra capitale e lavoro è quindi la sfida da intraprendere per assicurare la stabilità e al tempo stesso strategie bancarie economicamente e socialmente sostenibili.

 E’ necessario però anche un cambiamento culturale generale. Si deve partire dall’educazione finanziaria e coinvolgere l’intera società soprattutto sui valori etici che devono guidare la finanza. Un’educazione finanziaria anche nei confronti dei risparmiatori-azionisti che faccia comprendere il valore sociale delle scelte di impiego del risparmio. Una sfida certamente sfidante. Da affrontare se vogliamo in Europa non solo imprese ma anche banche, risparmiatori e investitori socialmente responsabili.


[1] G. Sabatini, Intervento al Convegno ABI “Supervision, Risks & Profitability”, 6 giugno 2023.

[2] M. Baravelli e L. Pilotti, Crisi bancarie: perché servono modelli manageriali virtuosi, Parole di Management, 28 marzo 2023.

[3] A. Ferrari, Giordano Dell’Amore. L’uomo e il banchiere”, Rusconi 1989.

[4] G. Dell’Amore, Le funzioni dei sistemi bancari nell’economia contemporanea, Giuffrè, 1955; Economia delle aziende di credito. I prestiti bancari, Giuffrè 1965.

[5] M. Baravelli, La banca multibusiness, Giappichelli 2011.