Un nuovo studio sottolinea l’enorme potenziale dell’agrivoltaico nella gestione dell’utilizzo di suolo. Pubblicata sulla prestigiosa rivista Earth’s Future, a firma dei ricercatori del Politecnico di Milano, l’analisi prende in esame la coesistenza tra tra pannelli solari e colture agricole, mettendo in evidenza i grossi vantaggi della nuova tecnologia, non solo in termini di valore energetico ma anche di impronta ecologica.
In un momento storico in cui le politiche climatiche e gli investimenti green si giocano tutto sul bilanciamento tra sostenibilità e produttività, i risultati dello studio offrono una base scientifica solida per orientare scelte politiche e strategie industriali verso un futuro in cui il suolo è risorsa condivisa, non terreno di scontro.
Energia e agricoltura si contendono lo stesso spazio
I dati raccolti dai ricercatori, accendono i riflettori su un fatto allarmante. Attualmente, una quantità compresa tra il 13% e il 16% degli impianti fotovoltaici a terra, nel mondo, sorge su terreni agricoli dismessi. Moltissimo, se si considera che le terre coltivabili sono una risorsa finita, sempre più sotto pressione a causa della crescente domanda di energia e alimenti.
Più nel dettaglio, Maddalena Curioni, Nikolas Galli, Giampaolo Manzolini e Maria Cristina Rulli, attivi nei Dipartimenti di Energia e di Ingegneria civile e ambientale dell’Ateneo scientifico, esplorano le diverse soluzioni esistenti per integrare impianti fotovoltaici e coltivazioni agricole, proponendo una terza via.
Convertire il 30% delle terre coltivate in sistemi agrivoltaici
Utilizzando un modello agro-idrologico spazializzato, i ricercatori del Politecnico hanno analizzato la risposta alla riduzione della radiazione solare (causata dai pannelli) su 22 colture non irrigue, distribuite in diversi contesti climatici e geografici.
Il risultato? Tra il 22% e il 35% delle superfici coltivate non irrigate nel mondo potrebbe essere convertito in sistemi agrivoltaici senza compromettere la resa agricola, continuando quindi a produrre cibo. Una scoperta che, coniugando due bisogni fondamentali, potrebbe cambiare il modo in cui pensiamo alla transizione energetica.
Nello specifico, il modello impiegato ha permesso di valutare la resa potenziale dei raccolti in diversi climi e aree geografiche, offrendo una mappa globale delle possibili applicazioni dell’agrivoltaico.
Agrivoltaico, quali vantaggi?
“Utilizzare il suolo sia per coltivazioni sia per impianti fotovoltaici consente di aumentare la producibilità complessiva per superficie occupata riducendo i costi di produzione. In aggiunta, l’installazione di colture sotto i pannelli fotovoltaici consente di ridurne la temperatura di funzionamento aumentandone l’efficienza” ha dichiarato Giampaolo Manzolini professore del Dipartimento di energia e co-autore dello studio.
Dalla ricerca emerge, dunque, che l’agrivoltaico non solo ottimizza l’uso del suolo, ma può anche migliorare la resa complessiva per metro quadro. I pannelli, infatti, ombreggiano le colture, riducendo lo stress idrico e abbassando la temperatura del suolo. Contemporaneamente, le piante contribuiscono a raffreddare i pannelli, aumentando la loro efficienza di produzione energetica.