La consultazione

La Rai che vorrei. S. Arcagni: ‘Identifichi il pubblico e poi offra il servizio’

di Simone Arcagni, Professore Associato Università Palermo - Studioso di cinema e new media |

Essenziale per la mission Rai: definire l'infosfera, identificare il cittadino/utente, le tendenze e i caratteri della società in cui vive.

Il 6 Maggio 2016 scade l’attuale Convenzione tra Rai – Radiotelevisione Italiana e lo Stato italiano. Ed è per questo che abbiamo deciso di lanciare su www.key4biz.it un confronto che contribuisca concretamente alla Consultazione attraverso la pubblicazione di articoli di studiosi, addetti ai lavori, esperti, che offra idee e sollecitazioni ai rappresentanti del Ministero dello Sviluppo Economico, alla Commissione Parlamentare di Vigilanza, ai vertici Rai.

Chi tra i lettori fosse interessato a contribuire al dibattito può scrivere all’indirizzo serviziopubblico@key4biz.it. Tutti i contributi saranno raccolti in un eBook dall’editore goWare. Clicca qui per leggere gli articoli precedenti. 

Correrò il rischio di essere didascalico ma vorrei provare a stilare in maniera sintetica una serie di punti fondamentali riguardanti il prossimo rinnovo della Convenzione tra la Rai e lo Stato Italiano con particolare attenzione al ruolo che deve avere il cittadino/utente.

  1. Un servizio per il nuovo pubblico

 

A partire dalla riflessione proposta da Flavia Barca per cui “ragionare sulla mission significa principalmente chiedersi che senso abbia oggi, in piena era digitale, che lo stato finanzi un servizio pubblico radiotelevisivo…” Si, nell’era della comunicazione globale e dell’informatizzazione dei dati e della conseguente informatizzazione della comunicazione, della cultura e della società, oggi più che mai, il servizio pubblico riviste per il cittadino un ruolo fondamentale. Seguendo il discorso sviluppato da Luca De Biase (1), la nostra società è il frutto di una serie di negoziazioni, di dialoghi, rotture ed evoluzioni influenzate dalla scienza e dalla tecnologia che devono trovare una sintesi e verso cui si deve rivolgere un servizio pubblico radiotelevisivo: non si può abdicare a una comunicazione unicamente privata, bisogna porre al centro un servizio di lettura, di dibattito, di traduzione e di supporto per i cittadini che definiscono il loro status di cittadinanza digitale proprio nella comunicazione (2).

  1. La società dell’informazione

 

Insomma il cittadino della società dell’informatica è un utente calato in un universo di dati e di informazioni che definiscono le pratiche sociali e la propria stessa esistenza in quanto civis. La cittadinanza oggi dipende tanto dalla presenza fisica quanto dalla costruzione identitaria offerta dai dati informatici e dalla comunicazione. Non si può essere cittadini senza essere utenti e viceversa, in questo senso una piattaforma mediale pubblica può e deve svolgere un ruolo centrale proprio nella definizione di appartenenza, di Stato e di cittadinanza (3).

Arriviamo, così, a ciò che è essenziale per definire la mission Rai: definire l’infosfera, identificare il cittadino/utente, i suoi ruoli, le pratiche e i suoi diritti, le tendenze e i caratteri della società in cui vive. Un servizio pubblico deve conoscere i cambiamenti in atto nella società, li deve interpretare, supportare e proporre, tanto più se questi cambiamenti sono radicali (4) o addirittura “rivoluzionari” (5).

  1. Io vivo nel futuro

 

E arriviamo quindi a un primo fondamentale ruolo che una piattaforma, un media player o un media service deve avere, e cioè quello di osservatorio permanente e incubatore. Osservatorio permanente sui fatti della comunicazione, sullo sviluppo delle tecnologie e sulle ricadute culturali economiche e politiche che hanno nella nostra società. Un osservatorio in grado di delineare tendenze, identificare sviluppi del pensiero, essere aggiornato e proporre interrogativi, pratiche e questioni ai propri utenti. Un osservatorio che permetta di capire il presente e quindi di stare nel dibattito del presente. Ma anche un osservatorio in grado di identificare i temi che i palinsesti possono e debbono sviluppare così come le tecnologie. E inoltre un incubatore… proprio come gli incubatori universitari che mettono la ricerca al servizio dell’impresa. La Rai può diventare incubatore di progetti e pensieri sulla comunicazione e sui contenuti mediali. Non solo esprimerli ma anche farli crescere, vederli sviluppare. Pensare il racconto dell’informazione contemporanea e trovare collaborazioni nell’ambito della ricerca e nel mercato, magari sviluppando start-up o raccogliendo le migliori energie per poi permettergli di sviluppare nell’ambiente che preferiscono. Un portale in cui si fanno crescere progetti, idee e comunicazioni in sintonia con il tempo che viviamo.

Non si tratta di correre dietro alle mode tecnologiche ma proporre letture della complessità, individuare le tendenze, offrire risposte ai cittadini. Mi immagino una Rai in grado di spiegare e di sperimentare il web 2.0 e il web 3.0 prossimo venturo di “Internet delle cose” (6), in grado di supportare la comunicazione dello Stato digitale, di proporsi come organo solido, efficace e degno di fiducia per il cittadino del futuro che vive in una dieta mediologica ricchissima (con il rischio del cosiddetto “information overload”) trasformandole in opportunità. “Vivere nel futuro”, secondo le parole di Nick Bilton (7), significa allora assecondare, accompagnare e supportare un cittadino/utente che vuole sapere, conoscere, vuole una guida, un supporto oppure nuovi stimoli per le sue navigazioni negli ecosistemi della comunicazione spesso interattive, condivise in maniera social e immersive (8).

  1. Media player

 

Questo non è sicuramente il ruolo di un broadcaster bensì di un media player che pensa in maniera convergente. E infatti, questo sembra essere il destino dei broadcaster pubblici (da BBC a RSI)… diventare media player al servizio di  un cittadino/utente 2.0 che vuole servizi ma soprattutto necessita di piattaforme per affrontare la complessità (9). La complessità del digitale 2.0 caratterizzato dalle connessioni e dal cosiddetto prevasive e ubiquitous computing può essere affrontata da un servizio pubblico che non abdica alla sua funzione di guida e supporto, ma che anzi si pone al centro di questo sistema senza paura e senza pregiudizi, conscio dei pericoli ma soprattutto delle opportunità.

  1. Una questione “complessa”

 

La parola chiave è proprio “complessità”: una complessità che spesso spaventa i cittadini e che invece può essere fonte di stimoli e di sviluppo. Non si tratta solamente di conoscere il panorama mediale e non si tratta certamente di conoscerlo per entrare in concorrenza con gli altri media player, bensì per svolgere un ruolo diverso, da servizio pubblico in grado di utilizzare sistemi, tecnologie e strategie di comunicazione contemporanei, svilupparne di nuovi e supportare il cittadino/utente nella sua personale, sempre più individuale e allo stesso tempo “social”, dieta mediatica oltre che nel suo diritto dovere di accesso alle informazioni. Supportare quindi e spiegare la complessità al fine di favorirne gli aspetti migliori e strategici per la crescita culturale del cittadino e del Paese.

  1. Sfide

 

Le sfide sono quelle che già sono qui, nel presente: sono la social TV del cosiddetto “second screen” (10), la connected TV, la tecnologia della Smart TV, che trasforma lo schermo casalingo in un portale dalle potenzialità in cui digitale, satellitare e web coesistono e in cui lo spettatore è sempre più soggetto attivo di azioni, programmazioni e scelte (11).

La sfida si chiama Over the Top TV, VOP IP TV, si chiamano archivi e database, mobile TV, live streaming… tutto un mondo di forme, modi, pratiche e tecnologie che l’utente è sempre più in grado di maneggiare e da cui il servizio pubblico rischia di essere estromesso. Non si tratta di una sfida di mercato ma di collocarsi al centro di questo sistema in maniera attiva, non per contrastare ma per essere efficaci nella comunicazione e nella veicolazione di contenuti e per proporre modelli di comunicazione (spettacolo, informazione, intrattenimento…) alternativi e non soggiacenti per forza a logiche di mercato.

  1. Essere nell’infosfera

 

Lo voglio ricordare ancora una volta: bisogna essere nell’infosfera perché l’infosfera è la nostra società, la nostra cultura, definisce il nostro rapporto con gli altri e le Istituzioni, in una parola la nostra “cittadinanza”. Non è più possibile non esserci laddove ci sono gli utenti. Ma la sfida ulteriore è come esserci… come supporto, come luogo della negoziazione, dell’aggiornamento, dell’educazione.

  1. Pratiche

 

In qualche modo alcune sfide sono già state individuate e affrontate ma non in maniera organica, non all’interno di una mission chiara. Una mission chiara significa non affrontare più i diversi aspetti della società digitale e il ruolo del cittadino digitale in maniera periferica o episodica, bensì in maniera strutturale e centrale. Qualcosa è stato fatto, dalla collaborazione di Rai Teche e Rai Educational con progetti di computer vision, le piattaforme sviluppate da Educational con le scuole, Rai Movie e lo streaming che valorizza il potenziale degli archivi Rai, i tentativi di convergenza con il web come nel caso di Ray o della “macchina” comunicativa transmediale messa in campo per Expo (con tanto si strategie social, droni, app, webdoc etc.)…

  1. Ulteriori pratiche

 

Se invece si individuasse la mission di trasformazione del servizio pubblico radiotelevisivo in un media player, allora ecco che sarebbero organici al progetto, per esempio, l’educational per il digital divide, un servizio per affrontare le sfide della complessità, pratiche nuove come il “citizen journalism”, il “fandom” la “gamification” (12) in un ambiente in qualche modo protetto. Si procederebbe a facilitare le utenze per qualunque fascia di età: da una parte approfondendo e supportando le abilità già acquisite (penso ai cosiddetti “millenials”), dall’altra facilitando l’accesso (contrastando quindi il digital divide). La Rai come centro di una rete di relazioni…  con l’università, per esempio, per sviluppare osservatori e incubatori e in questo modo, non solo aggiornare e tenersi aggiornato ma anche riuscire a leggere e comprendere i mutamenti. Con i Beni culturali, sviluppando strategie per dare rilievo al cultural heritage (assecondando in tal modo i trend europei), costruendo un servizio didattico non scontato per la definitiva adozione dell’inglese come seconda lingua, ma anche sviluppando il lavoro sulle lingue minoritarie presenti nel paese. Lavorando sull’identità europea che permetterebbe anche di aggiornare e rendere davvero internazionali i nostri immaginari e i nostri racconti. Lavorare sui contenuti amatoriali e sugli “user generated contents”, andando incontro alle esigenze di un pubblico che Bilton ha definito dei “consumivori” (13), offrendo loro non solo altri contenuti (“altri” in quanto diversi ma soprattutto alternativi) ma anche chiavi di lettura (l’Informazione con la “I” maiuscola)… non si tratta di un sogno, solo della concretizzazione di un servizio pubblico al passo con i tempi e concentrato su uno scopo definito.

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NOTE

(1) Si veda in particolare Luca De Biase, Homo pluralis. Essere umani nell’era tecnologica, (Codice, Torino 2015) laddove disegna i caratteri della società digitale e porta avanti il discorso sulla cittadinanza digitale già iniziato con I media civici. Informazione di mutuo soccorso (Apogeo, Milano 2013).

(2) Sull’argomento vale anche la pena leggere il volume di Nick Bilton Io vivo nel futuro (Codice, Torino 2011) dove l’autore definisce i tratti del nuovo ruolo del fruitore, utente, lettore del web 2.0. Vorrei anche citare il volume di Fabio Chiusi Critica della democrazia digitale (Codice, Torino 2014) sui pericoli per la democrazia insiti in alcune strategie di comunicazione caratteristiche dei media digitali.

(3) Si veda a questo proposito il saggio introduttivo di Mario Ricciardi nel volume da lui curato, La rete e i luoghi (Aracne, Roma 2014).

(4) Manuel Castells forse più di ogni altro ha saputo descrivere e interpretare i cambiamenti sociali dovuti all’impatto del digitale: L’età dell’informazione: economia, società, cultura (Università Bocconi, Milano 2004). Ma non dimenticherei anche le accurate, quanto spesso caustiche, riflessioni di Evgeny Morozov: Internet non salverà il mondo: Perché non dobbiamo credere a chi pensa che la Rete possa risolvere ogni problema (Mondadori, Milano 2014).

(5) “Quarta rivoluzione”, si intitola il saggio di Luciano Floridi che descrive l’infosfera e il ruolo dell’ “inforg”, la persona la cui identità di cittadino è aumentata dai dati informatici: The Fourth Revolution: How the Infosphere is Reshaping Human Reality (Oxford University Press, Oxford 2014)

(6) Un’ottima sintesi di cosa potrebbe essere il web 3.0 la si trova nel volume di Rudy Bandiera, Rischi e opportunità del web 3.0 e delle tecnologie che lo compongono (Dario Flaccovio Editore, Palermo 2014).

(7) Cfr. Nick Bilton, op. cit.

(8) Mi permetto di rimandare al mio volume Visioni digitali: Video, web e nuove tecnologie (Einaudi, Torino 2016) dove mappo forme, modi, pratiche dei contenuti audiovisivi contemporanei con una particolare attenzione alle tecnologie: dal web al mobile fino alla realtà aumentata e la realtà virtuale.

(9) A proposito della complessità contemporanea vale la pena leggere il volume di Edgar Morin, Pensare la complessità. Per un umanesimo planetario (Mimesis, Sesto San Giovanni (MI) 2012). Mentre per capire i meccanismi “complessi” di diffusione dei contenuti in Rete il rimando d’obbligo è al libro del fisico Albert-László Barabási, Link. La scienza delle reti (Einaudi, Torino 2004).

(10) Riguardo la Social TV rimando a Giampaolo Colletti e Andrea Materia, Social TV. Guida alla nuova TV nell’era di Facebook e Twitter (Il Sole 24Ore, Milano 2012).

(11) Sulle trasformazioni in atto nella tecnologia televisiva e negli usi sociali della TV contemporanea si raccomanda: Alberto Marinelli e Giandomenico Celata, Connecting Television. La televisione al tempo di Internet (Guerini e Associati, Roma 2014).

(12) A questo proposito si vedano: Henry Jenkins, Cultura convergente (Apogeo, Milano 2014); Henry Jenkins, Sam Ford e Joshua Green (a cura di), Spreadable media. I media tra condivisione, circolazione, partecipazione (Apogeo, Milano 2013); Simone Arcagni (a cura di), I media digitali e l’interazione uomo-macchina (Aracne, Roma 2015); Frank Rose, Immersi nelle storie. Il mestiere di raccontare nell’era di Internet (Codice, Torino 2013).

(13) Cfr. Nick Bilton, op. cit.