La consultazione

La Rai che vorrei. L. Zanardo: ‘Rai1 senza pubblicità’

di Lorella Zanardo, Scrittrice - Documentarista |

E’ necessario che almeno un canale tra quelli generalisti sia liberato dalla pubblicità. La scelta non può essere che quella di Rai1 in quanto principale e più visto canale della tv italiana.

Il 31 ottobre 2016, come stabilito dal Decreto legislativo n.50 del 18 aprile 2016, scade l’attuale Convenzione tra Rai – Radiotelevisione Italiana e lo Stato italiano. Ed è per questo che abbiamo deciso di lanciare su www.key4biz.it un confronto che contribuisca concretamente alla Consultazione attraverso la pubblicazione di articoli di studiosi, addetti ai lavori, esperti, che offra idee e sollecitazioni ai rappresentanti del Ministero dello Sviluppo Economico, alla Commissione Parlamentare di Vigilanza, ai vertici Rai.

Chi tra i lettori fosse interessato a contribuire al dibattito può scrivere all’indirizzo serviziopubblico@key4biz.it. Tutti i contributi saranno raccolti in un eBook dall’editore goWare. Clicca qui per leggere gli articoli precedenti. 

Un canale senza pubblicità

Perché il servizio pubblico possa svolgere il proprio ruolo e abbia un futuro legittimato e da protagonista davanti a sé, è necessario che almeno un canale tra quelli generalisti sia liberato dalla pubblicità e utilizzato per svolgere fino in fondo il ruolo che gli compete, ovvero fare una programmazione popolare di qualità con l’obiettivo chiaro di fornire cultura ed educazione al pubblico attraverso idee e linguaggi al passo con i tempi e liberati dalla tirannia degli ascolti, che in questi anni ha costituito uno dei principali fattori di decadenza del servizio pubblico.

La scelta non può essere che quella di Rai1 in quanto principale e più visto canale della tv italiana e non Rai3 come da alcuni proposto, in quanto la Tv di qualità deve essere la più popolare possibile, mentre Rai3 svolge già un eccellente ruolo di rete con una programmazione (quasi del tutto) dedicata ad un pubblico “colto,” che riesce a tenere posizione alte nel mercato degli ascolti. Rai 1 perché deve essere anche una scelta decisa e forte quella di destinare il canale principale alla Tv popolare di qualità senza pubblicità, e non un ripiego che cerchi di rompere gli equilibri della programmazione Tv. Gli equilibri andrebbero rotti e rigenerati proprio attraverso il ruolo forte e propositivo della prima rete nazionale.

 

Educazione, Genere e cambiamento

 

L’Italia detiene oggi posizioni molto preoccupanti a livello europeo: uno dei più alti tassi di abbandono scolastico e analfabetismo di ritorno tra gli adulti; bassissima percentuale di lettori di quotidiani e libri; la più bassa percentuale di laureati in Europa.
L’unico potentissimo agente di socializzazione e formativo di cui disponiamo e che potrebbe raggiungere realmente tutti e tutte le cittadine è il sistema dei media con la televisione, che ne costituisce ancora il fulcro, presente non solo in tutte le case ma spesso in tutte le stanze.

Dedicare un canale alla tv popolare di qualità senza pubblicità non esaurisce dunque il compito e gli obblighi del servizio pubblico.

L’educazione, o meglio l’empowerment delle cittadine e dei cittadini, deve essere tra gli obbiettivi di tutte le reti pubbliche per mezzo della scelta dei format delle trasmissioni, degli argomenti da trattare, del linguaggio verbale e audiovisivo che viene utilizzato.

Citiamo a questo proposito anche quanto affermato nella ricerca Censis “Donne e Media in Europa” da dove emerge come la non realista e spesso umiliante e banalizzante rappresentazione delle donne nella televisione pubblica, contribuisca in modo grave e determinante alla creazione di modelli umilianti.

La presunta distinzione tra una Tv alta e culturale e una bassa e volgare, giustificata dall’idea che il grande pubblico si possa raggiungere solo con la semplificazione, la ripetitività e la spettacolarizzazione, è una distinzione di comodo per giustificare il basso livello del servizio pubblico piegato da scelte sbagliate della politica alle logiche della tv commerciale. Come dimostrano il passato della Rai stessa e la programmazione dei primi canali degli altri principali Paesi europei, si può fare (e in Rai saprebbero benissimo fare) televisione alla portata di tutti ma con idee, visioni innovative, apertura al resto del mondo, approfondimento, che sono poi le cose che se fatte in modo comprensibile e divulgativo, interessano tutto il pubblico e non solo quello più progredito. Fare buona televisione è fare televisione popolare di qualità.

Riforma dell’Auditel

La Rai dovrebbe farsi promotrice di una riforma della società di rilevazione degli ascolti, l’Auditel, che controlla per un terzo, con due obiettivi:

  • reintrodurre il giudizio qualitativo da affiancare al puro dato di ascolto: non basta sapere quanti hanno guardato, occorre sapere anche se hanno apprezzato, altrimenti come si può pretendere di orientare un servizio che deve essere pubblico?
  • programmare un progressivo passaggio dalla “rilevazione a campione percentuale” ad una “rilevazione effettiva” del pubblico oggi possibile grazie al segnale e ai dispositivi digitali di trasmissione e ricezione. Perché continuare a supporre quale sia il pubblico quando possiamo sapere quale è realmente?

I problemi di privacy e tutela dei dati dei consumatori, che si profilano indubbiamente con una tale soluzione, possono essere affrontati e risolti in modo relativamente semplice.

Non va dimenticato, come sostenuto da eminenti studiose e studiosi, che il modello di Auditel attuale (lo stesso dal 1986) è quello responsabile del progressivo e inesorabile deterioramento della qualità della televisione italiana.

Rai e informazione

La pluralità delle testate di informazione ha rappresentato nella storia della Rai una progressiva conquista e apertura ad idee ed istanze differenti e alternative. Questo è il ruolo che il pluralismo dell’informazione ha storicamente svolto nelle democrazie moderne. Oggi però la frammentazione e proliferazione di testate, redazioni, rubriche, ha condotto a discrepanze evidenti nella proposta giornalistica del servizio pubblico: all’alta qualità di canali dedicati come RaiNews24 e ad alcuni approfondimenti di alto livello culturale, si alternano Tg e rubriche sempre più inabissate nella logica della semplificazione (non divulgativa per di più) e della spettacolarizzazione, schiacciate sulla cronaca nera e sul gossip e prive di finestre sul Mondo.

Inoltre questa moltiplicazione oltre alle conseguenze appena descritte costituisce anche un peso economico eccessivo per l’Azienda a fronte di quanto viene realizzato.

La riunione dell’informazione Rai in una unica testata suddivisa in vari Tg (sempre uno per canale), in pochi e rilevanti programmi di approfondimento e in uno (RaiNews24) o più canali all-news gioverebbe alla qualità e all’autorevolezza del servizio pubblico.

Inoltre sarebbe interesse collettivo promuovere una ricerca che vada a verificare il livello qualitativo e deontologico della proposta informativa dell’informazione della Rai in modo da rendere conto ai cittadini e alle cittadine dell’impiego delle risorse pubbliche. Infatti i parametri deontologici e qualitativi del giornalismo non sono concetti astratti ma indicatori ben chiari e valutabili sui quali poter formulare un giudizio oggettivo. Una particolare attenzione all’informazione del Servizio Pubblico si rende necessaria anche alla luce della preoccupante situazione della libertà di stampa nel nostro paese: 73esimo nell’ultima classifica mondiale della libertà di stampa (Reporter sans Frontier).

 

Le risorse interne

Frequentando la Rai come ospite e relatrice, incontrando in occasioni pubbliche o riflessioni private i suoi autori, tecnici e realizzatori, emerge forte la sensazione, testimoniata dai professionisti del servizio pubblico, che le possibilità sia ideative che produttive del servizio pubblico non siano sfruttate a dovere. La proposta di una televisione dipende innanzi tutto da chi realizza concretamente i contenuti e non sfruttare a dovere talenti e proposte interne, si traduce in costi maggiori, minore creatività e un progressivo allontanamento dal proprio ruolo di produttore di programmi e non solo di emittente. Abbiamo avuto in passato una delle migliori Televisioni del mondo, ma senza controllare direttamente la propria proposta, un servizio pubblico non può svolgere il proprio compito.

 

Uscita dei partiti dalla Rai

Per dare speranza a qualsiasi riforma e riorganizzazione del Servizio Pubblico, sarebbe necessario un passo indietro del Governo, del Parlamento e dei partiti dalla Rai con una effettiva uscita dalle stanze di controllo della Tv pubblica e la messa a punto di un sistema di gestione che sia autonomo e “irraggiungibile” da parte degli stessi partiti e istituzioni. Il modello di riferimento è naturalmente il Trust della BBC. Dunque la direzione opposta di quella finora seguita e ribadita con l’ultima legge sulla Rai.