L'analisi

La crisi si aggrava. Requiem per il cinema in sala?

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La crisi si aggrava pesantemente. Nel 2020 siamo al 25 % degli spettatori del 2019 e lo Stato continua a peccare di strategia lungimirante rinnovando interventi assistenziali a pioggia.

Nel silenzio dei più (incluse – incredibilmente – le associazioni di settore), si assiste ad una aggravata crisi del consumo nelle sale cinematografiche italiane: gli interventi finora assunti del Governo Conte 2 non hanno sortito gli effetti sperati, e gli operatori sembrano inerti, storditi, imbambolati.

Il “box office” crolla a picco.

Martedì 22 settembre 2020 è stato il giorno n° 100 dalla “riapertura” delle sale cinematografiche italiane (15 giugno) post-chiusura da pandemia, ma la quattordicesima settimana di riapertura del botteghino è stata caratterizzata da un numero di spettatori pari a soltanto 364.439, un decremento del 36 % rispetto alla settimana precedente, e già questo dato evidenzia le dimensioni della crisi in atto…

Ancora più preoccupante questo indicatore: le “presenze per sala” nella settimana che va dal 14 al 20 settembre 2020 sono state mediamente 138 al giorno, a fronte delle 553 della settimana “omologa” del 2019 (dal 16 al 22 settembre): un livello 2020 corrispondente quindi al 25 % del 2019 (fonte: elaborazioni Cineguru su dati Cinetel).

Siamo ad un quarto dei livelli di consumo dell’anno scorso: se il mercato continua a mostrare questi numeri, presto si dovrà intonare un diffuso requiem per il cinema in sala…

Lentamente, il numero di schermi in funzione sta tornando ai livelli standard, ma va segnalato che – ad oggi – ha riaperto soltanto un 80 per cento del totale delle sale cinematografiche italiane, e va lamentato che in Regioni come la Liguria, la Sardegna, le Marche mancano all’appello fino ad un 40 % delle sale…

Pochi film di grande “appeal” in uscita…

La criticità maggiore è data comunque dalle nuove uscite: i film di grande “appeal” (quelli che, nel bene e nel male, trainano il mercato e la sua naturale logica prevalentemente commerciale) sono pochi e l’intrigante “Tenet” di Christopher Nolan è stato finora l’unica eccezione (va ricordato che il film viene distribuito – per insistenza del regista e condivisa volontà di Warner Bros –esclusivamente nelle sale cinematografiche)… Le società di distribuzione sembrano preferire tenere i nuovi titoli chiusi nel cassetto, forse in attesa di una ripresa del mercato, che però continua a non concretizzarsi. Ed il rischio di molti “colli di bottiglia” è imminente, con listini sovraccarichi e prevedibile intasamenti nelle uscite delle prossime settimane: cronaca di una morte annunciata, soprattutto per i film italiani indipendenti.

Non si leggono però né proclami di protesta, né appelli alle istituzioni preposte.

Questa incredibile passività degli operatori del settore è una delle concause della aggravata crisi: se il dicastero retto da Dario Franceschini è evidentemente preso da altre priorità, chi dovrebbe fungere da pungolo, se non le varie lobby (produttori, autori, critici…) che caratterizzano il “piccolo mondo” dei cinematografari italiani?! Eppure, silenzio assoluto. Tacciono o flebile giunge la loro eco lamentativa: Anica, Agis, Anec, 100autori, Anac, Sncci… etcetera.

Lo Stato inietta danari pubblici nel sistema (245 milioni di euro), ma in modo conservativo, frammentario, dispersivo

Paradossalmente, potrebbe trattarsi di una sorta di effetto narcotizzante determinato dalle iniezioni di sovvenzioni statali nel settore, tra Stato centrale e Regioni: una parte degli esercenti riescono a sbarcare il lunario grazie ai sostegni pubblici (i cosiddetti “ristori”), ma temiamo che si tratti di palliativi, forse efficaci nel brevissimo periodo però verosimilmente pericolosi in una prospettiva di medio-lungo periodo.

Qualche schermaglia – sui media – emerge, ovvero si trascina su una vicenda piccola eppur sintomatica, qual è la “battaglia” de I Ragazzi del Cinema America, una storia tipicamente italiana, sulla quale ci siamo già ampiamente espressi su queste colonne (vedi “Key4biz” del 26 giugno 2020, “Dal Cinema America alla Rai, da Cinecittà alla Regione Lazio: 4 casi di scarsa trasparenza”). Con quale logica lo Stato sostiene il cinema gratis nelle arene, non comprendendo che ciò de-stimola meccanicamente il consumo nelle normali sale cinematografiche?!

Eppure, per la ripresa del settore, risorse pubbliche ne sono state messe in campo, e tante, almeno sulla carta (il problema costante è il ritardo che si registra tra la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di una nuova norma e la sua concreta attuazione attraverso gli indispensabili decreti ministeriali): il decreto legge n. 34 del 19 maggio 2020 (convertito nella Legge n. 77/2020), ha ampliato alcuni interventi previsti da un precedente decreto legge, ed ulteriori ampliamenti ci sono stati successivamente. In particolare, il D. L. 34/2020 ha incrementato da 130 milioni a 245 milioni di euro la dotazione complessiva dei Fondi di parte corrente e in conto capitale introdotti per il 2020 dal D. L. 18/2020 (Legge 27/2020: art. 89), destinati al sostegno delle emergenze dei settori dello spettacolo, del cinema e dell’audiovisivo. In particolare, il Fondo di parte corrente è passato da 80 milioni a 145 milioni; il Fondo in conto capitale è passato da 50 milioni a 100 milioni…

Con il Decreto Ministeriale n. 273 del 5 giugno 2020, si è provveduto ad assegnare al Fondo per lo Sviluppo degli Investimenti nel Cinema e nell’Audiovisivo 100 milioni per il 2020, provenienti dal Fondo in conto capitale, destinati agli interventi di cui al Capo III della “Legge Franceschini”, ovvero la n. 220/2016. Su più fronti: incentivi fiscali, contributi automatici, contributi selettivi, contributi alle attività e alle iniziative di promozione cinematografica e audiovisiva… Con l’immediatamente successivo D. M. 274 del 5 giugno 2020, sono stati destinati 20 milioni, quota parte del Fondo di parte corrente, al sostegno delle sale cinematografiche. Ulteriori 20 milioni di euro sono stati destinati alle sale cinematografiche, sempre a valere sul Fondo di parte corrente, al fine di potenziare il ristoro dei mancati introiti da biglietteria, con il D. M. 10 luglio 2020; inoltre, lo stesso decreto ha destinato ulteriori 2 milioni, sempre del Fondo di parte corrente, al sostegno della programmazione delle sale all’aperto nella stagione estiva…

Insomma, si deve dare atto al Ministro Franceschini – ed ai suoi consiglieri apicali, il Capo di Gabinetto Lorenzo Casini ed il Segretario Generale Salvo Nastasi – di aver indubbiamente aperto i cordoni della borsa.

La questione è però altra: al di là dell’apprezzabile incremento numismatico dell’intervento pubblico, questi danari della mano pubblica sono allocati in modo adeguato ed efficace rispetto alle effettive esigenze del settore?!

Prevale una logica inerziale nelle politiche di sostegno pubblico

Si nutrono dubbi, e qui torniamo a rimettere il dito in una piaga che sembra essere trascurata dai più (vedi supra, alla voce “narcosi” da sovvenzione pubblica?!): non esiste ancora in Italia un sistema di monitoraggio e di valutazione degli interventi pubblici nel sistema culturale.

Quindi, la logica che “governa” il sistema è di rinnovare l’entità budgetaria degli anni precedenti – o, come nel caso della reazione alla pandemia – nell’incrementarla, ma sostanzialmente mantenendo intatti i criteri di assegnazione delle risorse.

Si tratta di una logica inerziale, che determina risultati conservativi: una logica che non può funzionare, ancor più di fronte ad una emergenza che è radicale, e che richiederebbe una revisione radicale delle politiche pubbliche.

Revisione radicale che è paradossalmente quasi impossibile praticare giustappunto per l’assenza di un sistema di monitoraggio e valutazione: una sorta di cane che si morde la coda

La “cassetta degli attrezzi” è vuota: mancano strumenti di monitoraggio e valutazione

Abbiamo denunciato – anche su queste colonne – come il Ministero sia privo di una adeguata “cassetta degli attrezzi”, a partire dal perdurante deficit totale della quasi inutile “Relazione annuale” al Parlamento sul Fus – Fondo Unico per lo Spettacolo, per arrivare alla evidente inefficacia delle prime edizioni della “valutazione di impatto” della Legge Franceschini (vedi “Key4biz” del 17 settembre 2020, “Pubblicata la relazione Fus, ma manca la valutazione d’impatto”).

Riprova della debolezza assoluta di questi “strumenti” cognitivi è data dal totale disinteresse della comunità professionale e dei media rispetto a questi rapporti, sui quali – se fossero invece ben realizzati – dovrebbe essere invece basato sia il “policy making” sia la riflessione critica (aperta, plurale, pubblica) dei “player” e “stakeholder”.

Ribadiamo: si tratta di un disinteresse veramente ai limiti dell’incredibile: della Relazione annuale sul Fus (pubblicata giovedì della scorsa settimana, in sordina, sul sito delle Dg Cinema e Audiovisivo e della Dg Spettacolo dal Vivo) ha scritto soltanto “Key4biz”, e, l’indomani, l’agenzia stampa specializzata “AgCult” (diretta da Ottorino De Sossi). Non una riga sui media “mainstream”, ma nemmeno su web. Stessa sorte la “valutazione di impatto” della legge sul cinema e l’audiovisivo: in questo caso, dovrebbe essere imminente la pubblicazione della nuova edizione, e ci si attende un salto di qualità.

Questo nostro Paese sembra ormai disinteressarsi delle ricerche, degli studi, delle analisi, delle valutazioni.

Il Governo procede “autocraticamente”, sulla base delle preferenze, delle intuizioni, delle soggettività del Ministro pro tempore, adoprandosi nelle raffinate arti della propria soggettiva nasometria. E, quando produce “documentazione” (in verità, “rara avis”), essa emerge nelle sue caratteristiche di rendicontazione asettica a acritica.

Nessuno “controlla” il suo operato.

Anche perché non ci sono giustappunto gli strumenti per conoscere e quindi controllare.

In questo modo, ovviamente, nessuno disturba il manovratore.

Tutto procede inerzialmente.

 Patologie diffuse da deficit cognitivo: il caso del “bilancio sociale” Rai

La patologia non riguarda soltanto il cinema, ovviamente: abbiamo segnalato quanto uno strumento importante e strategico per il “buon governo” della Rai sarebbe rappresentato dal suo “Bilancio Sociale”. Eppure, anche in questo caso, pubblicazione semi-clandestina (nemmeno un comunicato stampa di Viale Mazzini!), e nessuna pubblica discussione, nessun confronto con i portatori di interesse (vedi “Key4biz” del 24 luglio 2020, “Rai pubblica il bilancio sociale, ma solo per pochi”).

Suscita un sorriso (amaro) la sortita del Capo Gruppo di Fratelli d’Italia in Commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone (è anche Responsabile nazionale “Cultura e Innovazione” del partito guidato da Giorgia Meloni):in un suo comunicato stampa di martedì scorso, ha dichiarato “soddisfazione per istituzione Osservatorio sulla cultura e spettacolo in crisi” (così titolava AgCult). Leggendo le sue parole, si resta sconcertati: “siamo soddisfatti per l’indicazione da parte del ministro Franceschini della costituzione di un Osservatorio sulla cultura e lo spettacolo dal vivo in crisi, con le principali associazioni di categoria, come richiesto da Fratelli d’Italia. Apprezziamo le aperture del Ministro alle nostre proposte, ora collaboreremo e vigileremo sulla realizzazione”. Affermazione manifestata nel corso dell’audizione nelle Commissioni Riunite Cultura e Attività Produttive della Camera, sull’individuazione delle priorità nell’utilizzo del “Recovery Fund”, con il Ministro Dario Franceschini.

Un altro “Osservatorio”, egregio onorevole Mollicone… “sulla cultura e spettacolo in crisi”?!

Non sarebbe preferibile assegnare risorse adeguate, e professionalità all’altezza, ad una struttura già esistente presso il Mibact, ovvero giustappunto l’Osservatorio dello Spettacolo?!

Non sarebbe più semplice fare in modo che gli uffici ministeriali preposti realizzino finalmente al meglio quel che la legge assegnerebbe loro come compiti, di studio, analisi, ricerca, valutazione?!

Carbonaro (M5S) e Lattanzio (Misto): l’Osservatorio dello Spettacolo è obsoleto, serve un “sistema nazionale a rete”, dotato delle più evolute tecnologie

E che dire, in argomento, della deriva che ha registrato una proposta di legge che cercava, a modo suo, di superare i deficit del ministeriale Osservatorio dello Spettacolo attraverso la costruzione di un “sistema nazionale a rete” degli “osservatori dello spettacolo” (alcuni attivi a livello regionale, a partire dall’Osservatorio Culturale curato dalla Fondazione Fitzcarraldo per la Regione Piemonte)? I parlamentari grillini Alessandra Carbonaro e Paolo Lattanzio (il secondo – già Capo Gruppo M5S in Commissione Cultura – è fuoriuscito dal Movimento nelle scorse settimane, ed è passato al Gruppo Misto) hanno presentato una specifica proposta di legge (Atto Camera n. 1582) nel febbraio 2019, ma l’iter legislativo si è insabbiato…

Scrivevano nella relazione di accompagno al testo, rispetto all’Osservatorio dello Spettacolo del Mibact: “l’Osservatorio dello Spettacolo, istituito dalla legge 30 aprile 1985, n. 163, presso il Ministero per i beni e le attività culturali, nel tempo è stato largamente sottoutilizzato rispetto alle proprie finalità istitutive ed è, ad oggi, uno strumento obsoleto rispetto ai metodi di analisi più moderni” (…); “la proposta di legge interviene sull’attuale assetto dell’Osservatorio dello Spettacolo, ampliandone le competenze e la possibilità di collaborazione con il sistema universitario nazionale, con gli istituti di statistica, i centri di ricerca e documentazione, le banche dati delle organizzazioni rappresentative degli operatori del settore, con i centri di formazione artistica e professionale per lo spettacolo dal vivo e con altri soggetti pubblici e privati la cui attività, direttamente o indirettamente, si riferisca allo spettacolo dal vivo”.

Encomiabili intenzioni, ottimi obiettivi, ma la stagnazione a Montecitorio della proposta di legge è sintomatica del disinteresse dello stesso Parlamento. Vanno a finire su binari morti anche eccellenti iniziative che meriterebbero ben altro destino. Ma forse… il manovratore preferisce continuare ad operare indisturbato, ed il Parlamento – nel suo complesso – sonnecchia.

Sabino Cassese: Covid, norme dai nomi altisonanti, ma… “bric-à-brac” di interventi, con la tecnica dell’“inscatolamento”, un disordinato “elenco del telefono”

In un quadro più generale, segnaliamo lo stimolante editoriale di Sabino Cassese, nella prima edizione del nuovo supplemento del quotidiano “il Riformista” (diretto da Piero Sansonetti e Deborah Bergamini) dedicato all’economia, lunedì scorso 21 settembre, dal titolo “ll futuro della nostra comunità. Le riforme? Ecco come bisogna farle”. L’illustre studioso segnala come “decenni di errori hanno impedito all’Italia di diventare più moderna”, ed auspica che questi errori non vengano ripetuti, “altrimenti anche il Recovery Fund si rivelerà un flop”.

Errori di analisi, di programmazione, di strategia, di valutazione.

Vale per le dinamiche socio-economiche in generale, così come per le politiche culturali anche

Scrive Cassese: “primo errore da evitare è di procedere come nel passato anche recente, con i provvedimenti dai nomi altisonanti (Cura Italia, Rilancio, Semplificazioni) che contengono però un “bric-à-brac” di misure. I ministeri hanno aperto i loro cassetti e hanno riempito questi provvedimenti di ogni sorta di vecchia e nuova idea (Francesco Giavazzi, sul Corriere della Sera, ha osservato che, tra i 600 progetti inviati dai ministeri per il nuovo Programma, non c’è quasi nessuna vera riforma). Oppure raccogliendo “desiderata” da questa quella organizzazione di categoria o gruppo di interesse. Chi più aveva, più ci metteva. Il risultato è un disordinato elenco del telefono”.

Questo “elenco del telefono” lo troviamo anche negli interventi del Governo Conte 2 per reagire alla crisi del settore culturale: troppi, frammentati, dispersivi, e comunque ricalcanti le vecchie regole.

Continua Cassese: “Valerio Di Porto e Fabio Pammolli, in un articolo su il Foglio del 2 settembre scorso, l’hanno definita “la tecnica dell’inscatolamento”. Ha un precedente illustre nella preparazione delle minestre del venerdì – raccontata nel “Giornalino di Gian Burrasca” – che era fatta con la risciacquatura dei piatti di tutta la settimana precedente. Per evitare questo errore, occorre avere una strategia e fare quello che gli anglosassoni chiamano “goal setting”: sapere quali sono le priorità del Paese, scegliere quelle principali, redigere progetti, calcolare tempi, costi, protagonisti, beneficiari, scadenze”.

Esigenza di una campagna promozionale coraggiosa e imponente per il cinema in sala

Tornando al “piccolo mondo” del cinema… Strumentazione tecnica a parte, riteniamo che, di fronte a questa emergenza estrema del cinema “theatrical”, dovrebbero essere ideati e messi in atto interventi estremi per stimolare il consumo di film nelle sale cinematografiche, nel “post-Covid”: è indispensabile una robusta e intensa, anzi imponente, campagna mediatica promozionale, forte di un budget adeguato e di una strategia mirata, per stimolare gli italiani a “tornare in sala”, e magari convincere chi non ci va da anni (e finanche chi non c’è mai entrato) ad entrare in un cinematografo… Si deve ri-stimolare, in modo deciso, l’abitudine perduta di andare al cinema.

Si deve agire – in modo integrato – sia sul fronte della domanda, sia sul fronte dell’offerta.

Il “lockdown” ha generato un’impennata dei servizi “streaming”: si deve reagire con grande intelligenza strategica (e con un approccio mediologico organico) rispetto a questa dinamica, se si vuole evitare la decadenza e morte dei cinematografi. Si deve inserire la politica pubblica a favore del cinema, e la sua economia, in un ragionamento di ecologia mediale complessiva.

Si deve sicuramente agire su tutte le leve del marketing (dalla comunicazione sui media – assegnando un ruolo particolarmente preminente alla Rai – e sui social alle politiche di prezzo, senza dimenticare le tecniche sul “punto vendita” ovvero le sale…), allocando un budget adeguato che garantisca visibilità alla campagna promozionale (servono almeno 10 milioni di euro) e bandendo una pubblica gara alla quale invitare le più qualificate ed innovative agenzie pubblicitarie, previa analisi accurata degli elementi di crisi più acuti.

Si deve anche assolutamente studiare un sistema premiale per gli esercenti cinematografici più coraggiosi: le monosale e comunque i piccoli cinema (nelle periferie delle metropoli o nelle lande della italica provincia), che resistono con coraggio alla crisi in atto, offrendo una programmazione spesso alternativa a quella – prevalentemente commerciale – dei multiplex (in argomento, ci piacerebbe leggere uno studio – mai realizzato – sulla percentuale di film italiani offerti dai multiplex rispetto ai cinema più piccoli, e ci domandiamo se il Mibact non debba opportunamente intervenire a sostegno dei secondi, per promuovere concretamente il cinema “made in Italia”)…

Il cinema “Il Piccolissimo” di Ciampino: caso di studio ed esempio da emulare

Ci piace qui segnalare un possibile “caso di studio”, risultato anche di una esperienza personale: da fan di attori eterodossi (antitetici rispetto al “modello standard” di maschia bellezza à la Raoul Bova) quali sono Stefano Fresi e Giuseppe Battiston, a metà settembre volevamo vedere – al cinema! – il film “Il Grande Passo”, una delicata commedia… una “favola lunare” firmata da Antonio Padovan (produzione Ipotesi Cinema, Stemal Entertainment, Rai Cinema; distribuzione Tucker). Uscito clandestinamente in sala, scopriamo che su Roma era stato “staccato” prematuramente, bloccando quella ossigenazione di cui alcuni titoli “difficili” hanno necessità per qualche settimane (ed in questo lo Stato continua ad intervenire poco e male). Scopriamo però che è proposto a Ciampino (comune limitrofo a quello di Roma), e quindi andiamo a cercare un cinematografo finora a noi ignoto: “Il Piccolissimo”, in via Palermo. Il 13 settembre, vediamo (e ci piace) “Il Grande Passo”, apprezzando una decina di spettatori (in una delle due piccole – giustappunto – salette), e conosciamo questo “piccolo eroe” del cinema italiano: Claudio Riva, ex dirigente di un’impresa informatica, appassionato cinefilo, che ha deciso di investire nel 2011 la propria liquidazione in… un cinema! Un piccolo ma ben curato “cinemino” di periferia (“Il Piccolissimo” è l’unica sala del Comune di Ciampino, che conta circa 40mila abitanti), che può essere considerato un esempio di prezioso presidio sociale di fronte alla crescente desertificazione del tessuto culturale nazionale. Ci piacerebbe che iniziative come questa venissero valorizzate, sostenute, inserite in un “catalogo” delle “buone pratiche” culturali che possano stimolare sane emulazioni (vedi – anche in questo caso – alla voce “monitoraggio e valutazione”).

Clicca qui, per leggere il dossier del Servizio Studi della Camera. “Le misure adottate a seguito dell’emergenza Coronavirus (Covid-19) per il settore dei beni e delle attività culturali”, del 19 agosto 2020

Clicca qui, per leggere la proposta di legge d’iniziativa dei deputati Alessandra Carbonaro e Paolo Lattanzio, A. C. n. 1582, “Istituzione del Sistema nazionale a rete degli osservatori dello spettacolo”, presentata il 7 febbraio 2019