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La crisi del sistema culturale tra effetto pandemia e disruption digitale

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Lo Stato allarga i cordoni della borsa, ma in ottica inerziale. Urgono interventi radicali di rigenerazione, a partire da una potente campagna comunicazionale e promozionale per ristimolare la domanda.

Dal “fronte pandemia”, arrivano segnali numerico-statistici discretamente preoccupanti, a fronte di un Comitato Tecnico Scientifico (Cts) della Protezione Civile (Presidenza del Consiglio dei Ministri) che continua a dimostrarsi assolutamente non in grado di comunicare in modo netto e chiaro. Anche la questione dei verbali del Cts, finalmente in parte de-secretati, è stata gestita in modo approssimativo e poco trasparente, come ha denunciato l’avvocato Andrea Pruiti Ciarello sulle colonne del quotidiano “il Riformista” mercoledì 7 ottobre, in un articolo molto critico ben sintetizzato dal titolo “La trasparenza del Governo piena di omissis”. L’esponente della Fondazione Luigi Enaudi lamenta come “a discapito delle promesse dell’esecutivo, i verbali del Comitato Tecnico Scientifico sono stati pubblicati solo in parte e per giunta sono infarciti di dati secretati e cancellature”. Una tesi che conferma la denuncia che abbiamo tante volte manifestato su queste colonne (vedi “Key4biz” del 28 aprile 2020, “Covid-19, ma perché i verbali del Comitato Tecnico Scientifico non vengono pubblicati?”).

Questi confusionali segnali di allarme preoccupano ovviamente tutti i settori della società e dell’economia, ma, su queste colonne ci interessiamo soprattutto delle attività culturali, artistiche, mediali. Attività che, più di altre, soffrono moltissimo le conseguenze della pandemia e del crollo dei consumi.

Nastasi (Segretario Generale Mibact): “tutto va ripensato completamente”

La crisi da Covid 19 ha determinato effetti tremendi in tutti i settori del sistema culturale, ed i segnali di ripresa sono veramente pochi, anche se il Segretario Generale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, Salvo Nastasi, in un’intervista di mercoledì 7 al “Corriere del Mezzogiorno” manifestava ottimismo, soprattutto in relazione alle chance di ripresa del settore cinematografico, citando come la Suburra romana sia in questi giorni presa d’assalto dalla troupe dell’ennesimo kolossal hollywoodiano, ovvero “Mission Impossible 7”, con Tom Cruise (budget in verità non enorme, “soltanto” 35 milioni di dollari; produzione Paramount Pictures, Cruise/Wagner Productions; distribuzione in Italia, Fox).

Ci auguriamo che si tratti di rondine che fa primavera.

Nastasi stesso rispondeva così alla domanda della collega Mirella Armiero “Ora, guardando al futuro, i modelli del settore sono da ripensare?”: “Assolutamente sì. Tutto va ripensato completamente”. Giuste parole, auguriamoci che questo “ripensamento” venga promosso con un dibattito pubblico, approfondito plurale trasparente, chiamando a raccolta gli operatori del settore culturale, sia sul versante imprenditoriale sia sul versante creativo, e magari basandosi su dataset ed analisi accurate.

Nella stessa giornata, il Direttore Generale del Cinema e dell’Audiovisivo del Mibact Nicola Borrelli, enfatizzava – intervenendo agli “Incontri del Cinema dell’Essai” a Mantova – che “per far fronte all’emergenza, sono stati messi in campo sostegni per la programmazione, sono stati erogati 40 milioni di euro ed è stato avviato il tax credit per la programmazione”.

Come abbiamo segnalato anche su queste colonne, è assolutamente indubbio che “il Principe” – ovvero nel caso in ispecie il titolare del dicastero che governa il sistema culturale italiano – abbia allargato i cordoni della borsa: sono stati iniettati (o stanno per essere iniettati) nel sistema decine e decine di milioni di euro, ma si lamenta che è di difficile comprensione l’esistenza o meno di una “vision” strategica, globale ed organica.

In sostanza, si assiste ancora una volta a (sia consentito il gioco di parole…) interventi-tampone, frammentati, piuttosto che ad una cura rigenerativa complessiva. Ancora una volta, il rischio è quello dei pannicelli caldi al capezzale del paziente…

Quella della pandemia poteva essere – ed ancora potrebbe essere – l’occasione per una riflessione critica approfondita sul ruolo dello Stato nel settore culturale. Una riflessione su una analisi accurata di pregi e difetti dell’attuale sistema, a partire dal sempre controverso immarcescibile Fondo Unico per lo Spettacolo – Fus (che – come abbiamo spiegato – non è più “unico”, dato che, dal 2017, gli è stato affiancato – grazie alla legge tanto voluta da Dario Franceschini – il Fondo per lo Sviluppo degli Investimenti nel Cinema e dell’Audiovisivo) per arrivare alle decine di interventi, frammentati – talvolta polverizzati – determinati da leggi e leggine che sono andate sedimentandosi, di legge di bilancio in legge di bilancio, nel corso dei decenni.

Manca una visione strategica, un approccio olistico al sistema culturale

In sintesi, manca una visione sintetica e strategica del sistema culturale ovvero un approccio olistico, delle interazioni tra i settori. Pensiamo soltanto ad uno dei segmenti ancora trascurati, qual è il sostegno ai videoclip musicali, strumenti trainanti le attuali modalità di fruizione e promozione della musica..

E quindi “in emergenza” perdurante, si sta intervenendo con una logica che è contingente ed a pioggia. Tendenzialmente si assegnano risorse pubbliche in funzione di una valutazione (ottimistica?!) dei minori ricavi degli operatori del settore, nella primavera-estate 2020, mettendo in atto processi di compensazione da parte dello Stato rispetto ai deficit di incassi. È un metodo senza dubbio utile, à la Keynes, nel breve periodo cioè nell’immediato, ma che non stimola una rigenerazione dal profondo delle attività.

Ed i risultati, non esaltanti, si vedono: per quanto si assegnino agli esercenti cinematografici, e finanche ai distributori, interventi contributivi ed assistenziali (vedi quel che Borrelli richiamava mercoledì scorso in quel di Mantova), la domanda “theatrical” continua ad essere assolutamente modesta, ed i consumi arrancano (vedi “Key4biz” del 25 settembre 2020, “La crisi si aggrava. Requiem per il cinema in sala?”).

Cosa serve per rigenerare la domanda di consumi culturali?

Cosa manca, al di là di una quanto mai opportuna revisione dell’intero sistema dell’intervento pubblico?!

Manca anzitutto una potente campagna comunicazionale e promozionale, che riguardi l’insieme dei consumi culturali: cinema, teatro, musica, editoria, musei…

Eppure non mancherebbero le risorse economiche, al Mibact, né le risorse comunicazionali, alla Rai, per impiantare una simile azione d’urto.

In questi mesi, non è stata avviata nessuna iniziativa di comunicazionale minimamente significativa: perché questo deficit totale di sensibilità?!

La domanda, in una fase così critica, deve essere ri-stimolata, con gli strumenti classici del marketing-mix ed anche con processi innovativi, utilizzando al meglio anche le logiche dei “social media”: tutto questo manca, e si assiste invece soltanto a tante piccole/grandi iniezioni di risorse sul fronte della produzione-distribuzione-commercializzazione, senza che il tutto venga elevato “a sistema” con una opportuna orchestrazione comunicazionale e promozionale.

Qual è il senso dei festival cinematografici in questa fase storica del sistema mediale?!

Anche i festival cinematografici riprendono le loro attività, ma, anche in questo caso, nessuno sembra interrogarsi sul loro “nuovo” senso, in una fase così critica della domanda: a chi si rivolgono, a quali spettatori, a quale target?!

Il caso più evidente è quello della imminente Festa del Cinema di Roma (dal 15 al 25 ottobre), una kermesse il cui senso complessivo continua peraltro a sfuggire a molti: che cosa produce realmente nel tessuto del sistema cinematografico nazionale?! Non è dato sapere. Nessuno l’ha mai studiato.

E non sarebbe stato piuttosto meglio – in una prospettiva strategica di ampio respiro – rafforzare la Mostra del Cinema di Venezia, dotando l’Italia finalmente di una kermesse veramente di grande respiro nazionale ed internazionale?! E, a proposito anche del festival veneziano: cosa ha prodotto la grancassa festivaliera, in termini concreti, al di là di aver ri-alimentato la simpatica compagnia di giro dei cinefili? Esiste una qualche relazione tra la mostra “d’arte” ed il “mercato”? Chi può dirlo?!

E che dire – ancora – di “agenzie” dello Stato come Cinecittà Istituto Luce? Qualcuno è in grado di spiegare qual è attualmente – proclami retorici a parte – il suo ruolo nella complessiva economia del sistema audiovisivo nazionale, se non garantire la sopravvivenza del suo apparato?!

Non ci sembra che qualcuno stia ragionando alla costruzione di una grande agenzia per la promozione del cinema e dell’audiovisivo italiano nel mondo… L’Italia è uno dei pochi Paesi, tra i “Big 5” d’Europa, a non esserne ancora dotata.

In verità, sarebbe necessaria, anzi indispensabile, una Agenzia per la Promozione Internazionale delle Industrie Culturali e Creative italiane, a tutto tondo, inter-settorialmente e sinergicamente: dal cinema alla lirica passando per la moda ed il design…  

E tralasciamo le polemiche da “bassa cucina” sulla assurdità di una guida della società di via Tuscolana affidata ad una dirigente apicale della Rai, Maria Pia Ammirati, che mantiene un piede in due staffe: ma come diavolo può svolgere al meglio l’incarico di Presidente di Cinecittà e di Direttrice delle Teche Rai?! La questione è stata oggetto di critiche anche da parte di una delle più qualificate testate giornalistiche specializzate, qual è “Box Office” edito da e-duesse (vedi l’editoriale del 30 settembre 2020, a firma di “Un patrimonio da non perdere…”). Scrive il direttore della testata, Vito Sinopoli, rispetto alla Ammirati che non ha lasciato la direzione delle teche: “incarico, quest’ultimo, che drena inevitabilmente tempo ed energie a un lavoro che dovrebbe richiedere il massimo della concentrazione. Allo stesso tempo il ritardo nell’assegnazione delle deleghe al nuovo Consiglio di amministrazione, nominato dall’Assemblea dei soci a inizio giugno, dimostrerebbe come ai vertici non ci sia una visione chiara sul rilancio di Cinecittà (e qui il ministro Franceschini deve fare chiarezza)”.

Anche questo è un esempio sintomatico, uno dei tanti, dell’assenza di visione strategica organica.

Prevale una logica di conservazione inerziale.

Non emerge una sana volontà di mettere “in discussione” l’architettura complessiva dell’intervento pubblico a favore della cultura.

Eppure, tra effetti (nel breve periodo) della pandemia, ed effetti (nel medio-lungo periodo) della “disruption” determinata dalla rivoluzione digitale, stanno avvenendo radicali modificazioni sul fronte della domanda, delle modalità di consumo: nessuno, in questi mesi, si è preso cura di studiare, analizzare, ricercare… Soltanto qualcuno ha osservato, piuttosto banalmente, come siano nei mesi scorsi, con il “lockdown”, siano (come ovvio) aumentati i consumi di fiction sulle piattaforme come Netflix. E, a proposito di… Netflix, ancora ci sfugge il senso di quei 10 milioni di euro che il Ministro Franceschini ha assegnato, in un recente intervento, per lo studio di una piattaforma che possa porsi come “Netflix italiana della cultura” (prospettiva peraltro evocata nel corso del tempo – seppur confusamente – anche da Luigi Di Maio, che nel luglio 2018 evocò questo “modello” per una rigenerazione della Rai).

E quindi, ancora una volta, anche lo Stato naviga “a vista”, confusamente: non basta però allargare i cordoni della borsa – seguendo peraltro vecchie logiche prevalentemente assistenzialistiche – per rivitalizzare il sistema culturale nazionale.