Un nuovo paradigma di sicurezza in risposta al MAGA di Trump, con al centro tecnologia e cyberspazio
Il nuovo libro bianco pubblicato dall’Ufficio informazioni del Consiglio di Stato cinese (State Council Information Office), dal titolo “China’s National Security in the New Era”, riafferma l’approccio olistico adottato dal Partito Comunista Cinese (PCC) nella ridefinizione della sicurezza nazionale.
Al cuore di questa strategia vi è una concezione ampliata della sicurezza, in cui la sicurezza tecnologica e cibernetica assume un ruolo centrale, accanto a quella politica, economica, sociale e culturale.
Nel documento, la sicurezza tecnologica è esplicitamente indicata come pilastro chiave per lo sviluppo nazionale e la modernizzazione cinese, in una fase storica segnata da rischi sistemici interni ed esterni. L’approccio del PCC prevede l’integrazione sinergica tra innovazione tecnologica, cybersicurezza, protezione dei dati e sviluppo industriale per sostenere la crescita economica e garantire l’integrità dello Stato.
Un documento che può essere interpretato — da una prospettiva strategica — come una risposta strutturale e ideologica al progetto “Make America Great Again” (MAGA), promosso negli Stati Uniti a partire dal 2016 e rafforzato con la nuova amministrazione Trump. Non si tratta di una replica diretta sul piano retorico, ma piuttosto di una reazione sistemica e concettuale a un contesto globale che, dal punto di vista cinese, è segnato da instabilità, unipolarismo declinante e crescente antagonismo strategico, a cui si aggiunge la nuova politica tariffaria decisa sempre da Trump negli ultimi mesi, che solo in questi ultimi giorni sembra aver trovato un momento di tregua con Pechino.
Il libro bianco cinese, pur con una narrativa diversa, promuove anch’esso l’autosufficienza, la sovranità assoluta e una visione del mondo centrata su interessi nazionali “non negoziabili”, in particolare per quanto riguarda l’integrità territoriale (Taiwan, Hong Kong, Mar Cinese Meridionale) e la sicurezza tecnologica.
Una forma di nazionalismo che punta dritto sulle tecnologie di punta e le industrie più avanzate, che Cina declina in sovranità tecnologica, sicurezza politica centralizzata e autoritarismo algoritmico.
Investimenti massicci in cybersecurity
Secondo un report di Mordor Intelligence, il mercato della cybersecurity in Cina è stato stimato a 21,78 miliardi di dollari nel 2024 e si prevede che raggiungerà i 71,84 miliardi di dollari entro il 2030, con un tasso di crescita annuale composto (CAGR) del 21,09% nel periodo 2025-2030.
Un’analisi di IDC indica che la Cina rappresenta oltre il 40% della spesa totale in sicurezza informatica nella regione Asia/Pacifico (escluso il Giappone) nel 2024, con un CAGR quinquennale del 13,5%.
Tecnologie strategiche: AI, crittografia quantistica e reti 6G
In parallelo con la cybersicurezza, il libro bianco si inserisce in un quadro più ampio di sicurezza tecnologica, che include investimenti rilevanti in settori come:
- Intelligenza Artificiale: come riportato da South China Morning Post (SCMP, febbraio 2024), il governo cinese ha creato un fondo per l’AI sovrana, focalizzato su algoritmi etici, IA per la difesa e sistemi di sorveglianza automatizzata.
- Crittografia quantistica: la Cina è leader mondiale nello sviluppo di reti quantistiche sicure, come dimostrato dal progetto Beijing-Shanghai quantum network, operativo dal 2023 e ampliato nel 2024 per coprire rotte transfrontaliere.
- Tecnologie 6G: secondo il China Academy of Information and Communications Technology (CAICT), il paese ha già attivato decine di programmi pilota per reti 6G in collaborazione con Huawei, ZTE e istituzioni accademiche, anticipando il lancio commerciale per il 2029.
Una strategia normativa e geopolitica che va a rafforzare la frammentazione globale
Il quadro giuridico rafforzato dalla Legge sulla Sicurezza Informatica (Cybersecurity Law), dalla Legge sulla Sicurezza dei Dati e dalle direttive del National Security Commission, riflette un preciso orientamento verso la sovranità digitale e la riduzione della dipendenza da tecnologie straniere, in particolare statunitensi.
Il Libro Bianco enfatizza la necessità di ridurre la dipendenza tecnologica dall’estero, promuovendo una “sovranità digitale made in China” che mira all’autosufficienza in settori chiave.
Questa strategia di decoupling tecnologico è percepita in Occidente come una sfida all’interdipendenza economica globale e potrebbe portare a una frammentazione geopolitica dell’ecosistema tecnologico internazionale, con implicazioni per la sicurezza e la cooperazione transnazionale.
Come evidenzia un’analisi del Center for Strategic and International Studies (CSIS) (marzo 2024), la Cina interpreta la sicurezza tecnologica come una componente essenziale della propria proiezione geopolitica e della nuova architettura multipolare, che mira a ridurre l’asimmetria di potere con l’Occidente in ambito digitale.
Un modo per leggere anche la necessità di tutelare maggiormente iniziative come la Belt and Road Initiative (che ha superato da poco il decennale) e la Global Security Initiative, tramite cui la Cina cerca di espandere la propria influenza e proporre un modello alternativo a quello occidentale in termini di ‘ordine globale’.
Pechino in questo modo sembra accelerare la sua natura autocratica, per alcuni inevitabile (sia per tenere insieme un Paese enorme, sia per rispondere alle minacce esterne e per competere con il gigante americano), per altri sempre più pericolosamente alimentata dall’élite al potere.
Di fatto, si sta proponendo una visione in cui lo Stato assume drasticamente un ruolo predominante nella gestione di una vasta gamma di questioni, dalla tecnologia alla cultura, che da lontano sembrano convergere tutte sul controllo totale e totalizzante in nome della sicurezza nazionale.