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IoT insostenibile: butteremo nella spazzatura 80 milioni di batterie all’anno

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Il progetto EnABLES dell’UE: “Lavorare per raccogliere energia ambientale come quella luminosa, il calore e le vibrazioni, convertendola in elettricità per ricaricare le batterie. Contemporaneamente, concentrarsi sulla riduzione al minimo del consumo energetico dei sensori IoT”.

Internet delle cose e batterie

In questo momento ci sono più o meno 9 miliardi di dispositivi elettronici connessi in rete in tutto il mondo, ognuno di essi è alimentato da batterie. Entro il 2030 si potrebbero avere 25 miliardi di apparecchi connessi tra loro e in rete, secondo stime Transforma.

A questi numeri, possiamo anche sommare il miliardo di oggetti connessi in rete mobile, che arriveranno a toccare i 5,3 miliardi entro il 2030, di cui 3,3 miliardi in rete 5G.

Attualmente, la maggior parte dei dispositivi in questione ha una durata di funzionamento di oltre dieci anni, mentre le batterie che li alimentano hanno una vita utile di due anni o meno.

Una montagna di connessioni dell’Internet of things (IoT) che continua ad aumentare di volume ad un tasso di crescita medio annuo atteso del +11% (Cagr 2020-2025). La domanda è, ma dove finiranno tutte le batterie che alimentano questa internet delle cose globale una volta esaurite?

Il progetto UE “EnABLES

La risposta l’ha fornita il team di ricerca del progetto “EnABLES”, acronimo per European Infrastructure Powering the Internet of Things, finanziato con oltre 5 milioni di euro dall’Unione europea, che ha lo scopo di rendere l’Internet degli oggetti più sostenibile a livello ambientale e più efficiente a livello energetico.

Se nulla verrà fatto per aumentarne la vita utile, entro il 2025 ogni giorno si getteranno 78 milioni di batterie che alimentano i dispositivi dell’Internet degli oggetti”, è spiegato in una nota stampa diffusa da Cordis Europe.

Dobbiamo rivoluzionare il modo in cui progettiamo, produciamo, usiamo e smaltiamo gli oggetti”, ha osservato Mike Hayes dell’Istituto Tyndall, aggiungendo: “Ciò significa che dobbiamo pensare alla vita della batteria fin dal principio, nelle prime fasi della progettazione del prodotto”.

La strada da prendere tutti in Europa è individuare ed implementare rapidamente un’infrastruttura di alimentazione sostenibile dell’Internet delle cose a lungo termine, cioè rendere autonoma questa rete in termini di ricarica energetica.

Facile a dirsi, ma come realizzare un’infrastrutture così avanzata e in breve tempo? In realtà non si parte proprio da zero e la soluzione va solo innovata quel tanto che basta per adattarla e renderla efficace in base alle nostre esigenze (ad esempio consumer, industriali, della smart city, commerciali, sanitarie, per la sicurezza).

Batterie che si ricaricano da sole, “raccogliendo energia dall’ambiente”

I ricercatori suggeriscono che la cosa migliore per rendere tale IoT più sostenibile sotto diversi punti di vista è sviluppare batterie in grado di ricaricarsi da sole, estraendo energia dall’ambiente circostante.

I partner del progetto stanno lavorando per raccogliere energia ambientale come quella luminosa, il calore e le vibrazioni, convertendola in elettricità. Contemporaneamente, si stanno concentrando sulla riduzione al minimo del consumo energetico dei sensori IoT”, è specificato nella nota.

Come? Un esempio pratico è l’impiego di un pannello solare, grande la metà di una carta di credito, che potrebbe alimentare un sensore di temperatura e umidità in un ufficio senza limiti temporali.

La sostenibilità ambientale e l’efficienza energetica dovranno quindi essere i driver principali della diffusione attuale e futura dell’IoT.

A sostegno di questo percorso, secondo un altro report realizzato da Tansforma e 6GWorld, per conto di InterDigital, entro il 2030 lo sviluppo dell’Internet delle cose e la sua applicazione in diverse industry verticali consentirà di ridurre di 8 volte l’energia che si consuma oggi, con 230 miliardi di metri cubi di acqua risparmiata e l’eliminazione di un gigatone di emissioni di CO2.

I casi d’uso del progetto “EnABLES” saranno portati avanti fino al 31 dicembre 2021, poi ci saranno le conclusioni dei ricercatori. Per l’Italia partecipano il Politecnico di Torino, l’Università Alma Mater di Bologna e l’Università degli Studi di Perugia.

Al progetto hanno preso parte università e centri di ricerca di Irlanda, Gran Bretagna, Italia, Germania, Olanda e Francia.