Gap digitale

Internet@Italia 2013. ISTAT-FUB: il 40% degli Italiani non va mai online

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Sono più di 23 milioni gli italiani che non hanno mai usato Internet nel 2013. E’ quanto emerge dalla ricerca ‘Internet@Italia 2013. La popolazione italiana e l’uso di Internet’ realizzata dall’ISTAT in collaborazione con La FUB (Fondazione Ugo Bordoni).

Il 40,7% degli italiani, pari a 23,3 milioni di persone sopra i 6 anni, sono ‘non utenti’ di Internet, cioè non usano mai il web. Sono invece 19 milioni, pari al 33,1% della popolazione, gli ‘utenti forti’ della Rete, che tuttavia viene utilizzata per lo più per  attività poco sofisticate, come la posta elettronica e il reperimento di news online. Il digital gap dell’Italia rischia di allargarsi ulteriormente in futuro rispetto alla media Ue. Servono interventi strutturali in termini di nuove reti a banda ultra larga e reti Wi-Fi nelle scuole perché senza politiche adeguate per la crescita della domanda di nuovi servizi online l’Italia resta di rimanere ferma al palo. Questo in sintesi il messaggio che emerge dal convegno che si è tenuto oggi all’Istat per la presentazione della ricerca  ‘Internet@Italia 2013. La popolazione italiana e l’uso di Internet’, realizzata dall’Istat in collaborazione con la FUB (Fondazione Ugo Bordoni).

Al convegno hanno partecipato  Giorgio Alleva, Presidente ISTAT; Mario Frullone, Direttore delle ricerche Fondazione Ugo Bordoni;  Cristina Freguja, direttore statistiche socio-economiche dell’Istat; il mediologo Alberto Abruzzese; lo psicologo cognitivo Sebastiano Bagnara.

Alla tavola rotonda sul ruolo delle istituzioni per una maggiore promozione di Internet coordinata da Alberto Zuliani hanno preso parte Mauro Bonaretti, Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri; Roberto Moriondo, rappresentante delle Regioni al Comitato di indirizzo AgID;  Antonio Nicita, Commissario alle infrastrutture e reti AGCOM;  Valerio Zingarelli, Chief Technology Officer RAI.

Gap generazionale

“Negli ultimi tre mesi il 58% della popolazione italiana ha usato Internet, rispetto alla media europea del 75% – dice Giorgio Alleva, Presidente ISTAT – Il nostro paese è agli ultimi posti per utilizzo del web nella Ue, sia nella fascia di età fra 55 e 74 anni sia in quella fra i 16 e i 24 anni”.

Le persone anziane e poco istruite sono l’anello debole della digitalizzazione, per questo, aggiunge Alleva, “per fornire servizi online bisogna fare attenzione a non escludere questa fascia della popolazione, l’alfabetizzazione digitale deve far parte del bagaglio minimo di tutti”.

Le cose non vanno meglio sul fronte delle aziende, visto che secondo la ricerca, appena il 7% delle aziende – grandi, medie e Pmi – pratica l’eCommerce.

I piani del Governo

Passi importanti per superare il gap digitale sono però sul tavolo del Governo. “La Presidenza del Consiglio ha da poco pubblicato due importanti documenti (La strategia per la crescita digitale 2014-2020 e La strategia per la banda ultralarga ndr) per invertire la rotta e pianificare la diffusione di Internet – ha detto Mario Frullone, Direttore delle ricerche Fondazione Ugo Bordoni (FUB) – Non sfugge l’importanza della domanda di servizi per la realizzazione delle nuove reti, ma è un dato di fatto che l’aumento del traffico è impetuoso e strettamente legato all’evoluzione di nuove reti più potenti come dimostra l’Lte”.

Secondo la ricerca, il numero di dispositivi connessi e di reti a banda ultralarga aumenterà in maniera sostanziale con il diffondersi dell’Internet delle Cose.

Per quanto riguarda il gap italiano, “età, titolo di studi e condizione professionale sono le variabili principali per l’uso di Internet” aggiunge Frullone, anche se c’è da dire che anche fra i giovani nativi digitali, nella fascia di età fra i 14 e i 18 anni, il 21% sono ‘utenti deboli’, che usano il web soltanto sporadicamente. “Wi-Fi nelle scuole e programmi di alfabetizzazioni sono auspicabili – chiude Frullone – Internet in Italia è usato in modo non sofisticato”. Il che di fatto rappresenta un danno economico non irrilevante per il Paese.

Esclusi digitali

Anche perché, come emerge dalla ricerca, “sono pochi gli italiani che hanno competenze digitali importanti e approfondite – ha detto Cristina Freguja, direttore statistiche socio-economiche dell’Istat – Il 29% degli italiani sono ‘primitivi digitali’, che hanno competenze di base, sono diplomati e per lo più vivono nel Mezzogiorno”.

I veri ‘esclusi digitali’ nel nostro paese sono 12 milioni e sono coloro che non hanno alcun membro della famiglia di appartenenza che va online. Di questi, 462 mila ragazzi fra gli 11 e i 24 anni sono ‘non utenti’.

Legame fra cinema e web

Il legame stretto fra cinema e Internet nell’intervento del mediologo Alberto Abruzzese: “La rete rappresenta una mutazione antropologica profonda che richiede tempi lunghi – ha detto – mi ha colpito il fatto che Internet sia usato da utenti esperti che sono esperte di cinema. Ciò significa che la narrazione di Internet è legata ad un linguaggio, quello del cinema, che arriva dal passato. Interessante anche il fatto che le maggiori resistenze all’uso del computer arrivino dalle donne”.

 

Internet va insegnato a scuola

 

Lo psicologo cognitivo Sebastiano Bagnara ha messo sotto i riflettori la categoria dei ‘non utenti’. “Problemi di alfabetizzazione ci sono anche fra i nativi digitali – dice Bagnara – ma in realtà anche i bambini fra i 6 e i 10 anni hanno bisogno di imparare internet a scuola. Nessuno nasce imparato, internet va insegnato a scuola”.

Un altro dato preoccupante, secondo Bagnara, è “quel 20% degli occupati che non ha mai usato internet – aggiunge – e quel 30% della nostra forza lavoro che non usa internet nei servizi. Sono fuori dal mondo. Nella fascia fra 19 e 34 anni, il 30% non ha mai usato internet e il 10% lo usa sporadicamente. I siti della PA, ad esempio quello dell’Inps, sono mal disegnati e poco fruibili, aggiunge Bagnara, che ricorda come la maggior parte delle start up in Italia si sviluppi non a caso al Nord.

 

L’Italia arranca

“L’Italia arranca, regrediamo anche rispetto a diversi paesi in transizione. Servono azioni di sistema per invertire il trend digitale – ha detto  Alberto Zuliani – un modello potrebbe essere la Francia”.

 

L’alibi delle risorse non c’è più

 

Raccoglie la palla Mauro Bonaretti, Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri: “Della ricerca di oggi mi ha colpito lo spaccato di grande divergenza sociale che emerge – ha detto Bonaretti – Gli utenti forti di Internet sono cittadini forti, quelli deboli sono cittadini deboli. Internet è un moltiplicatore di accesso ma rischia di diventare anche un moltiplicatore di divergenza sociale nel nostro paese”.

Interi settori in Italia rischiano di sparire con l’avvento del digitale: agenzie di viaggio e tutto l’indotto che ruota intorno alla fotografia sono due esempi su tutti. In prospettiva, “lo stesso succederà con lo sportelli bancario e la cassa – dice Bonaretti – il potere di disintermediazione di Internet in un primo momento distruggerà posti di lavoro e preoccupa quel 30% di occupati in Italia che non usa Internet. Per questo, al di là delle start up, bisogna intervenire sulla digitalizzazione delle Pmi”.

Tenendo conto però che i picchi di crescita registrati dai social network come Facebook in Italia avvengono solo ed esclusivamente via smartphone. “Secondo me il touch è un’opportunità per la crescita di Internet – dice Bonaretti – anche per rivedere i siti e i servizi della PA che sono poco funzionali”.

Detto questo, Bonaretti dice che l’accordo di partenariato 2014-2020 è una grossa opportunità per il paese, le risorse economiche sono disponibili, l’alibi delle risorse non c’è più, si tratta di capire se siamo in grado di intervenire e fare ciò che va fatto”

Serve una visione sistemica per le Regioni

A Bonaretti fa eco Roberto Moriondo, rappresentante delle Regioni al Comitato di indirizzo AgID: “I fondi veri della programmazione europea ora ci sono, bisogna tornare ad una visione sistemica sul digitale per le regioni – dice Moriondo – anche perché in Italia non solo Internet si usa poco, ma chi lo usa lo fa malissimo. Si resta passivi di fronte al mezzo come se il web fosse un succedaneo della televisione. Preoccupa anche la scuola, visto che i nativi digitali sono pochi”.

AGCOM, serve un tagliando per i poteri su Internet

Dal punto di vista del regolatore, in contesti così frastagliati dal punto di visto territoriale sul fronte dell’utilizzo di Internet e della presenza di infrastrutture di rete “sarebbe auspicabile la possibilità di adottare iniziative ‘taylored made’, specifiche per le esigenze di diverse situazioni territoriali a livello nazionale”, dice Antonio Nicita, Commissario alle infrastrutture e reti AGCOM.

In altre parole, per la diffusione della banda larga sarebbe auspicabile che l’Italia potesse muoversi in deroga alle rigidità del regolatore europeo, che per quanto riguarda gli obiettivi (rigorosi) dell’Agenda Digitale al 2020 non tiene in considerazione il punto di partenza dei diversi paesi (e l’Italia parte da un gap non indifferente).

Un paradosso per quanto riguarda il ruolo di AGCOM, che vigila sul mercato delle Tlc e dei media, è che “l’insieme dei poteri che le sono attribuiti su Internet sono pochi” dice Nicita. Basti pensare al recente ricorso al Tar di Google dopo la richiesta di AGCOM di comunicare i dati di bilancio che registra in Italia, ai fini della composizione del SIC e al conseguente ricorso al Tar di Google contro la richiesta, considerata indebita, dell’AGCOM che Sarebbe legittimata a fare richieste del genere soltanto agli editori e non agli OTT. “L’autorità può fare molto per la promozione di Internet, ma c’è bisogno di un tagliando per i nostri poteri”, aggiunge Nicita.

Il ruolo della Rai

“Internet in Italia oggi è subita dalla popolazione – dice Valerio Zingarelli, Chief Technology Officer RAI – Internet ad oggi è utilizzata molto per giocare. L’obiettivo della Rai è ribaltare questa situazione, che vede la Rete come distruttrice di posti di lavoro. In questo senso, bisogna guardare all’aspetto infrastrutturale di industria a banda larga e abbandonare lo schema secondo cui la televisione viene veicolata via radio, perché è uno spreco di frequenze che servono invece alle Tlc. E’ per questo che la Rai si sta trasformando, abbandonando le frequenze per diventare una media company, un modello che si basa su Internet e la banda larga. Bisogna puntare su servizi digitali, come l’education, perché Internet non è soltanto Twitter o Facebook”.