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“Insegnare a scuola anche cosa c’è dietro Instagram, oltre che il teorema di Pitagora alla lavagna multimediale”

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La diffusione massiva di device tecnologici a scuola non ha migliorato l’apprendimento degli studenti almeno in maniera sistemica. Per questo motivo occorre cambiare approccio. Più che la presenza delle tecnologie occorre una riflessione critica sulle tecnologie. Quindi puntare sulla media education: formare gli studenti ed insegnanti all’uso consapevole delle nuove tecnologie e dei social. È necessario riflettere insieme agli studenti su cosa c’è dietro ai social, quali sono i meccanismi, gli algoritmi e gli interessi che muovono Instagram, cosa implica per la vita privata e poi professionale dei giovani pubblicare determinati contenuti durante la loro adolescenza.

Questo è il parere di Marco Gui, professore associato presso l’Università di Milano-Bicocca, dove insegna Sociologia della cultura dei media, ed autore del volume“Il digitale a scuola. Rivoluzione o abbaglio?” (il Mulino).

Key4biz. Come giudica la politica sulla media education che la ministra Lucia Azzolina vorrebbe introdurre a scuola sia per gli insegnanti sia per gli studenti?

Marco Gui. Non ho visto ancora alcun progetto specifico sulla media education da parte della ministra. Tuttavia, al convegno ‘Media Education: più consapevolezza, più opportunità, più futuro’, che si è tenuto a Montecitorio il 3 febbraio scorso, Lucia Azzolina ha detto che, all’interno dell’educazione civica, sarà considerata in modo rilevante anche l’educazione ai media. Questo è un segnalo importante. Attendiamo dunque le novità, rinnovando la disponibilità come comunità scientifica che lavora su questi temi a contribuire al processo di costruzione di eventuali linee guida a riguardo.  

Key4biz. Negli anni si è sviluppata una retorica dominante, secondo la quale “le nuove tecnologie a scuola migliorano l’apprendimento ed incrementano l’efficienza”. È così?

Marco Gui. Sì, c’è stata una simile retorica come mostro nel libro. Si tratta di un discorso secondo cui le nuove tecnologie a scuola migliorano l’apprendimento ed incrementano l’efficacia della didattica, come scritto in moltissimi documenti ufficiali italiani ed europei dei primi anni 2000. Si è dato per scontato questo risultato. Così non è stato finora, a giudicare dai risultati della ricerca internazionale sul rapporto tra uso dei media digitali a scuola e livelli di apprendimento.

Key4biz. Le tecnologie nella didattica hanno prodotto “in media effetti nulli” o “lieve entità”, scrive lei nel libro, dopo aver passato in rassegna tante ricerche sul tema a livello globale. Come mai?

Marco Gui. Sì, le tecnologie in classe non hanno migliorato l’apprendimento almeno in maniera sistemica, cioè  la diffusione massiva di device tecnologici non ha portato a miglioramento nei livelli di apprendimento. Io penso che la tecnologia – di per sé – non aumenterà mai l’apprendimento, occorre usare la tecnologia affiancata a chiari obiettivi e metodologie didattiche. Tuttavia, il problema a mio avviso è che ci si è concentrati solo sulla didattica con le tecnologie, senza investire sullo sviluppo di un uso consapevole dei media. Una cosa è, quindi, usare la LIM (lavagna interattiva multimediale) per spiegare il teorema di Pitagora; altra cosa è discutere di come guadagna Instagram. Quest’ultimo concetto rientra nell’educazione digitale, rende le persone consapevoli del mondo in cui vivono. Io ritengo che prima ancora di usare direttamente le tecnologie la scuola debba favorire uno sguardo critico da parte degli studenti sulle innovazioni tecnologiche che ci circondano.

Key4biz. Allora le tecnologie in classe più che per migliorare l’apprendimento servono per insegnare agli studenti come vivere in un mondo sempre più iperconnesso?

Marco Gui. Più che la presenza delle tecnologie (che – chiariamolo – è in una certa misura indispensabile) occorre una riflessione critica sulle tecnologie. Occorre riflettere insieme agli studenti ad esempio su cosa sta dietro ai social, quali sono i meccanismi, gli algoritmi e gli interessi che muovono Instagram, cosa implica per la vita privata e poi professionale dei giovani pubblicare determinati contenuti durante la loro adolescenza. Tutto questo non è altro che una continuazione di quello che la scuola ha sempre fatto: fornire gli strumenti affinché gli studenti possano leggere la realtà che li circonda in maniera critica e consapevole.

Key4biz. Come dovrebbero essere usate in classe le tecnologie?

Marco Gui. Gli studenti italiani non possono essere cavie. Occorre che il ministero si faccia garante di una serie di sperimentazioni su un gruppo ristretto di studenti. In caso di risultati positivi allora la metodologia può essere estesa a livello nazionale. Gli studi mostrano che gli effetti migliori si manifestano quando gli insegnanti utilizzano le tecnologie per arricchire la preparazione della lezione, piuttosto che quando sono usate direttamente dagli studenti. Inoltre, occorre dare importanza agli usi più basilari, che proprio in virtù di questa loro caratteristica vengono considerati non più degni di attenzione: ad esempio la presentazione con le slide. Occorre formazione su questi usi, meno scintillanti, ma molto più diffusi. Sarebbe bello raccontare agli insegnanti italiani, per esempio, una ricerca che mostra che l’inserimento di una slide nera ogni 5 o 6 slide, con la funzione di ricapitolare, aumenta molto la memorizzazione.

Key4biz. Con gli studenti con disabilità quali sono i risultati ottenuti con l’utilizzo nella didattica delle tecnologie?

Marco Gui. I risultati in questo campo sono i più significativi, l’utilità è eclatante. In alcuni casi non si può neppure parlare di evidenze scientifiche, ma di auto-evidenze. In molti casi, le nuove tecnologie abilitano gli studenti con disabilità a pratiche che normalmente non sono alla loro portata.

Key4biz. Quali interventi specifici di educazione ai media?

Marco Gui. All’interno del progetto Benessere digitale’ abbiamo riflettuto molto su questo. Abbiamo ideato delle  buone abitudini digitali messe in atto dagli studenti insieme agli insegnanti. E abbiamo anche testato – con un esperimento controllato – gli effetti che un tale approccio produce. Le ricadute misurabili sono emerse sulla competenza digitale, l’uso problematico dello smartphone e il benessere soggettivo (il report della ricerca in PDF).
Ritengo sia giunto il momento di spostare una parte dei fondi e dell’attenzione pubblica dalla didattica con le nuove tecnologie allo sviluppo di un uso critico dei media.

Una buona abitudine digitale

Uno dei video del progetto ‘Benessere digitale – scuole’

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