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In Italia i consumi delle famiglie valgono il 57,3% del Pil

Se crollano i consumi delle famiglie crolla l’economia. Lo dicono i dati dell’Istat sulla composizione del Pil italiano. La maggioranza di esso, il 57,3%, è generato proprio dagli acquisti effettuati dai privati, come si vede dalla nostra infografica. Nel 2021 il loro valore è stato di 1.017 miliardi e 560 milioni di euro, su un totale di 1.775 miliardi e 436 milioni, ovvero l’ammontare complessivo del Prodotto interno lordo. Decisamente importanti, però, sono anche gli investimenti e la spesa pubblica. I primi valgono 351 miliardi e 471 milioni, il 20% del Pil, e la seconda 355 miliardi e 216 milioni, il 19,8% nel 2021.

La composizione del Pil italiano: il caso del no profit

Vi sono anche altre due voci minori, i consumi del settore no profit, solo 8 miliardi e 278 milioni, lo 0,5%, e le esportazioni nette, ovvero la differenza tra export e import: l’anno scorso è stata di 42 miliardi e 911 milioni di euro, cifra che corrisponde al 2,4% dell’economia italiana. Quest’ultima componente è piccola, ma più volte in passato è stata quella che ci ha salvato dalla recessione, o perlomeno l’ha attutita, perché è stata l’unica a vedere il segno più, mentre investimenti e consumi, per esempio, crollavano, come nel 2020.

La composizione del Pil italiano e la pandemia

Il Covid ha provocato una discesa del Pil dell’8,8% nell’anno più duro dell’emergenza pandemica. La peggiore recessione dalla Seconda Guerra Mondiale non ha cambiato l’economia italiana solo in senso quantitativo, ma anche qualitativo. Non tutte le componenti del prodotto interno lordo, infatti, hanno subìto una riduzione, e non tutte allo stesso modo.

A diminuire significativamente, e quindi a perdere anche peso, sono stati i consumi, depressi dai lockdown, dalle restrizioni, dalle chiusure di tante attività nei mesi con più contagi. Valevano 1.064 miliardi e 894 milioni di euro, il 59,3% del Pil nel 2019, e sono scesi di più di 100 miliardi, a quota 951 miliardi e 26 milioni, in 12 mesi. Nel 2020 si è anche ridotta la loro quota dell’economia italiana, che è diventata del 57,4%, una percentuale che, come abbiamo visto, non è cambiata molto nel 2021.

Qualcosa di simile è accaduto agli investimenti: l’incertezza ha fortemente limitato sia quelli interni che quelli esteri, le aziende hanno congelato le spese in contro capitale, e così il valore di questa componente, che nel 2019 era di 327 miliardi e 705 milioni, nel 2020 è diminuito a 293 miliardi e 340 milioni. La sua fetta della torta del Pil è passata dal 18,2% al 17,7%.

I consumi e gli investimenti stimolati dall’intervento pubblico

A differenza dei consumi, però, qui non siamo di fronte a un cambiamento che potrebbe essere strutturale, perché il rimbalzo del 2021, provocato anche dall’intervento pubblico, ha portato la quota degli investimenti al 20%. È quello che accade sempre nelle prime fasi delle riprese, quando le aziende, sulla scorta della maggiore fiducia, cominciano a spendere, ad acquistare macchinari, per esempio, i quali solo in un secondo momento creeranno lavoro, occupazione, migliori stipendi, e infine, si spera, maggiori consumi.

I consumi e il ruolo della spesa pubblica nel 2020

Tra le voci che caratterizzano la composizione del Pil italiano ve ne sono anche due che non hanno registrato il segno meno nel 2020. Una è la differenza tra export e import, che ha visto un aumento di poco meno di un miliardo. Si è trattato di una crescita determinata da una riduzione delle esportazioni leggermente minore di quella delle importazioni, trascinate verso il basso dai minori consumi.

Ben più importante è stato l’incremento della componente della spesa pubblica. Si tratta in sostanza sempre di consumi, ma a differenza di quelli privati questi sono collettivi, decisi dallo Stato, dagli stipendi dei dipendenti pubblici alle risorse per la difesa, l’istruzione e, soprattutto nell’anno della pandemia, la sanità.

Nel 2020 questa voce è cresciuta di circa 10 miliardi, arrivando a 344 miliardi di euro, e il suo peso sul totale è passato dal 18,6% al 20,8%, una percentuale che non aveva mai toccato negli anni precedenti. Ad alimentarla vi sono stati non solo gli aumenti della spesa nella sanità, ma anche i vari interventi a favore delle categorie più colpite dalla pandemia, come la cassa integrazione straordinaria, i sussidi, i ristori per le attività commerciali costrette allo stop.

Si è trattato di una scelta di politica economica in controtendenza rispetto a quelle fatte in passato in occasione di recessioni e crisi. Si è preferito lasciare aumentare il deficit e il debito, non fare politiche di austerità, parando con risorse pubbliche i colpi della crisi. Anche nel 2021 il ruolo dello Stato è rimasto importante, comunque, superiore a quello del periodo precedente al Covid.

La composizione del Pil italiano nei prossimi anni

Cosa succederà, invece, nel futuro, nei prossimi anni? Alle incognite della ripresa post-pandemica si sono sommate quelle della guerra in Ucraina e delle sua conseguenze economiche, e i problemi posti dall’aumento dei prezzi dell’energia e delle materie prime che stanno provocando un’inflazione mai così alta da 30 anni. L’ultimo Def (Documento di Economia e Finanza) del Governo dell’aprile 2022 prevede che tutto il Pil quest’anno dovrebbe crescere del 3,1%, meno di quanto ipotizzato nel 2021, ma più di quanto stimato da altri previsori, che credono che sarà difficile andare oltre un +2/2,5%.

Comunque vada a cambiare sarà anche la composizione del Pil stesso. L’esecutivo vede un aumento degli investimenti molto superiore a quello del prodotto interno lordo sia quest’anno, quando sarà del 7,3%, che i prossimi anni: cresceranno per esempio del 5,5% nel 2023, contro un incremento di tutta l’economia del 2,4%.

Le esportazioni non traineranno più la crescita

Al contrario dovrebbe ridimensionarsi il ruolo della spesa pubblica. Salirà discretamente, del 2,3%, ancora quest’anno, ma nel 2023 aumenterà solo dello 0,3%, nel 2024 dello 0,6% e nel 2025 del 0,2%. Sono anni in cui il Governo prevede un’espansione del Pil del 2,4%, dell’1,8% e dell’1,5% rispettivamente.

Un’altra voce che avrà meno importanza che in passato sarà quella delle esportazioni nette. Secondo il Def, anzi, nel 2022 e nel 2023 il contributo delle vendite all’estero sarà addirittura negativo, e, quindi, diminuirà il loro peso nella composizione del Pil italiano.

La ragione è che i maggiori investimenti favoriti dal Pnrr renderanno necessario l’acquisto di beni e servizi prodotti in altri Paesi. Non si tratterà, però, di un gran danno se effettivamente la maggiore spesa delle imprese riuscirà a produrre reddito e occupazione e a fare crescere il Paese più di quello che abbia fatto negli ultimi 25 anni di sostanziale stagnazione.

I dati si riferiscono al: 2021

Fonte: Istat

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