Il quadro

ilprincipenudo. Tv e cinema: avanza il ‘new deal’ renziano. Ma la consultazione Rai?

di Angelo Zaccone Teodosi (Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale - IsICult) |

Il Renzi-pensiero sulle politiche della tv e del cinema si concretizza: dalle nomine Rai all’avvio dell’iter del Ddl Franceschini-Giacomelli su cinema e audiovisivo. Si attendono però pubbliche consultazioni, su entrambi i fronti

ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

I tempi non sono esattamente quelli annunciati, ma va dato atto al Governo a guida Matteo Renzi che “le cose” le sta facendo, anche in materia di politica della televisione e del cinema.

Che si tratti di strategie e decisioni condivisibili o meno, è questione altra, affidata alla soggettiva valutazione degli operatori e dei portatori d’interesse, e – certamente – della collettività tutta.

La controversa riforma della Rai è divenuta legge dello Stato, e l’Amministratore Delegato Antonio Campo Dall’Orto ha nominato, ormai già da settimane, uno staff di suoi tecnici di fiducia, e, ieri l’altro, i neo-direttori delle tre reti generaliste.

La tanto attesa riforma dell’intervento pubblico nel settore cinematografico e – almeno in parte – nel settore audiovisivo ha prodotto un disegno di legge governativo a firma Franceschini-Giacomelli che sta per iniziare l’iter parlamentare.

Piacciano o non piacciano, si tratta di provvedimenti concreti e di iniziative politiche che evidenziano oggettivamente volontà non conservative. In un’Italia che, da molti anni, ci ha abituato a riforme superficiali (e sempre parziali), dettate da risposte contingenti a improvvise emergenze (spesso rappresentate dalla potente lobby di turno), la novità è indubbia ed incontestabile.

Su queste colonne, abbiamo più volte manifestato apprezzamento per la volontà riformatrice – sia rispetto al “public service broadcaster” sia rispetto all’architettura dell’intervento della mano pubblica nel cinema e nell’audiovisivo – ed al contempo perplessità per le modalità di gestazione degli interventi normativi, che non sembra si siano caratterizzate per innovazione procedurale (la logica “bottom-up”, le elaborazioni normative partecipate, la democrazia elettronica… sono dinamiche ancora lontane dal “decision making” renziano).

Si veda, in particolare, “Key4biz” del 29 gennaio 2016 (“Rivoluzione cinema: ma come saranno allocate le risorse?”) e del 28 gennaio 2016 (“La nuova Rai di Campo Dall’Orto: un uomo solo al comando?”).

In effetti, la riforma Rai è stata impostata nelle segrete stanze di Palazzo Chigi, ed è noioso ricordare ancora una volta come la grandiosa “consultazione popolare”, annunciata in materia e poi smentita, sia stata rimandata nel tempo e sostanzialmente ridimensionata, circoscritta all’impostazione della novella “convenzione” tra Stato e Rai (e si resta in attesa di conoscere le modalità tecniche di questa benedetta consultazione…).

In effetti, la riforma del cinema e dell’audiovisivo è stata avviata nel gennaio dell’anno scorso, ma con “tavoli tecnici” i cui lavori non hanno avuto alcuna pubblicità, ed ai quali sono stati ammessi soltanto gli “stakeholder” del business dell’industria delle immagini, ignorando completamente l’anima creativa di questi settori (gli autori ed altre categorie professionali dell’audiovisivo son stati “dirottati” sul testo della proposta di legge della senatrice renziana Rosa Maria Di Giorgi, e qualcuno ha ipotizzato malignamente un vero e proprio “depistaggio”, forse per imperscrutabili – ed incomprensibili – logiche infrapartitiche…).

Siamo stati tra i primi, sulle colonne di “Key4biz”, a manifestare un qualche commento sul ddl Franceschini, approvato dal Consiglio dei Ministri del 28 gennaio 2016.

Avevamo preannunciato ai lettori un dossier di analisi critica, che non abbiamo ancora prodotto, semplicemente perché il testo del disegno di legge non è ancora stato trasmesso al Parlamento, ed abbiamo ragione di ritenere che possa contenere modificazioni – verosimilmente non significative, ma non si sa mai… – rispetto al testo entrato nel Cdm.

Meglio attendere, per prudenza, e per non disperdere energie.

D’altronde, è di martedì scorso (16 febbraio) l’incontro – non a porte aperte – avvenuto tra il Ministro Dario Franceschini ed una delegazione della maggiore associazione italiana degli autori, ovvero i “100autori”, coordinata da Andrea Purgatori. Nel comunicato stampa diramato ieri (giovedì) dai 100autori, si legge di un complessivo apprezzamento per l’iniziativa governativa, ma emergono anche alcuni importanti rilievi critici (sulla definizione di “produttore indipendente”, sul rapporto budgetario tra contributi “selettivi” ed “automatici”, sulla composizione del Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo…), che pure sembrano essere stati almeno in parte recepiti dal Ministro.

In particolare, significativi due passeggi del comunicato dei 100autori: “Il Ministro ha annunciato infine la sua intenzione di convocare entro la fine di marzo un incontro con tutte le associazioni di settore per presentare il testo definitivo del ddl e, congiuntamente alla Senatrice Di Giorgi, promotrice dell’altro ddl sull’audiovisivo, indicare come le due proposte, integrandosi, potranno trovare un percorso comune. 100autori ha ringraziato il Ministro per la disponibilità a discutere senza preconcetti le modifiche migliorative possibili e per il clima con cui si sta affrontando la transizione verso un sistema più moderno di finanziamento e di rilancio di tutto il settore, non solo sul piano industriale ma anche a garanzia degli autori, che consentirà anche all’Italia di poter competere finalmente ad armi pari nel mercato globale dell’audiovisivo”.

Essendo oggi 19 febbraio, significa forse che il “testo definitivo” del disegno di legge non vedrà la luce prima di alcune settimane (fine marzo)?!

Eppure, si sapeva che erano in corso piccoli aggiustamenti redazionali, a cura di Mibact e Mise, e che il testo sarebbe stato trasmesso al Parlamento in questi giorni, ovvero entro fine della corrente settimana.

Invece, se così fosse – ovvero se i 100autori hanno ben interpretato gli intendimenti del Ministro – si tratterebbe di un testo più “aperto” di quanto non si pensasse: bene! Più il dibattito è “open” e plurale, meglio è.

Attendiamo tutti di capire meglio… anche se – francamente – non comprendiamo la concreta operatività della prospettata “integrazione” tra la proposta Franceschini-Giacomelli e la proposta Di Giorgi: oggettivamente, i due testi sono configgenti in molte parti.

Sia consentita una battuta: al di là del comprensibile compromesso politico che Franceschini vuole mettere in atto con Di Giorgi (ah, quanto bel pluralismo all’interno del Pd!) non si tratterà mica di una dinamica di tipo… “Ucas” ovvero Ufficio Complicazioni Affari Semplici?!

Nel mentre, va segnalato che si registrano alcune pubbliche prese di posizione, in materia, ovvero sul ddl Franceschini (nota bene: nel testo entrato in Cdm il 28 gennaio, l’unico ad oggi noto ai più): nettamente contraria quella espressa da Stefania Brai, Responsabile Cultura del Partito della Rifondazione Comunista (“esiste ancora?!”, si domanderà qualche lettore: esiste ancora, pur nella grande confusione della “galassia” di soggettività a sinistra del Pd) e da decenni attenta analista delle politiche culturali e mediali (direttrice dell’eccellente mensile “Gulliver”, che purtroppo ha interrotto le pubblicazioni da due o tre anni), che sostiene che – con questa legge cinema – “avremo solo Checco Zalone”.

Discretamente contraria la posizione dell’Associazione Nazionale Autori Cinematografici (Anac), considerando che il Presidente Francesco Ranieri Martinotti (che pure, non a caso, ha sostenuto fortemente la proposta della senatrice Di Giorgi) ha scritto a chiare lettere che la prospettata legge “annichilisce il valore culturale del cinema” e “soffoca il cinema d’autore e la produzione indipendente”.

Discretamente positiva la reazione di uno dei più famosi e qualificati documentaristi italiani, Marco Visalberghi, anche a nome dell’associazione di categoria Doc/it (che pure non risulta essere stata coinvolta nell’elaborazione del testo del disegno di legge).

Discretamente positiva quella espressa da “Odeon”, settimanale di impostazione liberista e spesso vicino a posizioni di centro-destra, che ha assegnato all’avvocato Michele Lo Foco (già consulente del Ministro Urbani – autore dell’ultima riforma del settore cinema, nel 2004 – e membro del cda del Luce Cinecittà, attualmente consigliere di Area Popolare – Ap Ncd Udc) il ruolo di analista critico del provvedimento.

Qui ci limitiamo a ricordare – una volta ancora – che il disegno di legge Franceschini-Giacomelli è stato elaborato a partire da analisi di scenario che sono incomplete e quindi inevitabilmente fallaci: non esiste ancora una ricostruzione accurata ed approfondita dello scenario del sistema audiovisivo italiano, e lo sforzo messo in atto dai consulenti dei due dicasteri (tra i quali meritano essere citati due autorevoli ricercatori, come Alberto Pasquale e Bruno Zambardino) è senza dubbio apprezzabile, ma deve essere oggetto di adeguate integrazioni.

Una prima domanda sorge naturale: perché Mibact e Mise non rendono di pubblico dominio, ovvero pubblicano su web, il report “Analisi strategica del settore audiovisivo. Prodotto, mercato e pubblici”, la cui ultima versione risale al settembre 2015?!

Si tratta di una base di lavoro preziosa, e non si comprendono le ragioni per cui debba essere… “secretata”.

In verità, anche alcuni giornalisti hanno ricevuto – da qualche componente dei “tavoli di lavoro” – copia delle 91 pagine di slide in bella quadricromia ed efficace impostazione grafica, quindi trattasi di classico caso di italico segreto di Pulcinella…

Segnaliamo, tra i tanti deficit del succitato report “Analisi strategica”, che i dati sul tanto decantato “tax credit” non consentono ancora una valutazione accurata sull’efficacia (o meno) dello strumento, rispetto al rafforzamento del tessuto strutturale dell’industria audiovisiva nazionale, con particolare attenzione alle imprese medio-piccole ed ai produttori indipendenti.

E ciò basti…

Peraltro, resta un mistero il ritardo – su altro fronte – con cui l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni non rende ancora pubblica, a sua volta, la conclusione della attesa “Indagine  conoscitiva sul settore della produzione audiovisiva” (avviata nel gennaio 2015, di cui Antonio Martusciello è Commissario Relatore): si ricorderà che, con lieve ironia (che non crediamo involontaria), nella relazione in data 28 gennaio 2016 che accompagna il ddl Franceschini, viene segnalato che questa indagine Agcom non è stata ancora messa a disposizione della comunità, e che – quindi – né Mibact né Mise ne hanno potuto trarre beneficio nelle proprie elaborazioni…

Forse il “fine marzo” evocato da Franceschini è co-determinato dalla volontà di attendere i risultati dell’indagine conoscitiva Agcom?!

Sarebbe cosa buona e giusta, al fine di stimolare un dibattito polifonico, finalmente aperto, approfondito, plurale, pubblico, sulla riforma dell’intervento dello Stato nel settore cinematografico ed audiovisivo.

A voler… volare alto, si potrebbe anche “agganciare” la discussione (se non l’iter) del ddl Franceschini-Giacomelli alla (ri)annunciata “consultazione pubblica” sulla convenzione Stato-Rai…

Trattasi infatti di questioni che interagiscono intensamente ed intimamente.

In effetti, quel che continua a mancare al nostro Paese è una strategia organica di politica culturale e mediale: per esempio, ci domandiamo il senso del comma 335 della Legge di Stabilità 2016 (ovvero la legge 28 dicembre 2015 n. 208) che prevede che un 10% dei compensi percepiti dalla Società Italiana Autori Editori per “copia privata” (si stima circa 150 milioni di euro nel 2016) venga destinato alle attività di produzione culturale nazionale e internazionale dei giovani autori (si tratta quindi di un budget nell’ordine di 15 milioni di euro l’anno, e si resta in attesa dell’“atto di indirizzo” che Mibact deve redigere, affinché la Siae possa assegnare al meglio queste somme).

Sia ben chiaro: il “senso” è certamente comprensibile, e si ritiene si tratti di norma valida ed intelligente, oggettivamente si tratta di un intervento importante ma sganciato da una logica organica di intervento pubblico a favore delle industrie culturali e creative.

È la solita parcellizzazione / frammentazione che caratterizza ancora le politiche italiane in queste delicate materie.

Per quanto riguarda la Rai, è un dato di fatto che Campo Dall’Orto si stia attrezzando con una “tecno-struttura” formata in prevalenza da “alieni” rispetto alla storia di Viale Mazzini (si ricorda che dal 3 febbraio sono operative le nuove deleghe attribuite al Dg).

L’innesto dall’esterno di professionalità qualificate (e per lo più giovani) non può non determinare uno scossone nel corpaccione spesso molle del “psb” italico.

E peraltro, si osservano comunque affiancamenti con giovani qualificati dirigenti interni: per esempio, per quanto riguarda l’area “corporate”, è stata sì chiamata dall’esterno Cinzia Squadrone (che dalla tv commerciale viene, Mtv in primis) alla Direzione Marketing, ma certamente saprà ben lavorare con Marcello Ciannamea alla Direzione Palinsesti (che ben “interno” e tecnico qualificato è); sono state chiamate dall’esterno le due neo-direttrici di Rai 2 e Rai 3, rispettivamente Ilaria Dallatana e Daria Bignardi, ma è stato premiato sul campo l’interno, già Vice Direttore di Rai 1, Andrea Fabiano, chiamato a dirigere la rete cosiddetta “ammiraglia”.

Andrea Fabiano, peraltro, in particolare, già direttore Marketing della Corporate, emerge come il più giovane direttore della prima rete della Rai: classe 1976.

Per alcuni aspetti, ha ragione anche l’Unione Sindacale Giornalisti Rai (Usigrai), che sostiene che, con tutti questi innesti dall’esterno, Campo Dall’Orto corre il rischio di trasmettere una sensazione di “sfiducia” nei confronti dei dipendenti dell’azienda, ma, d’altronde, è altrettanto vero che, per mettere in atto una riforma radicale, è necessario innovare anche a livello di dirigenti apicali.

Diamo al Direttore Generale / Amministratore Delegato un periodo di almeno sei mesi, se non un anno, per verificare i risultati concreti di questo “new deal”.

Senza dubbio, questa iniezione di energie dall’esterno produrrà risultati significativi, soprattutto perché dovrebbe ridurre il rischio di autoreferenzialità conservatrice (una delle patologie storiche del “psb” italiano): ci auguriamo però che questa iniezione vada in una direzione di non ulteriore omologazione della Rai rispetto all’offerta dei broadcaster commerciali.

Il rischio, in effetti, è questo: che Viale Mazzini, con una tecnostruttura che ha lavorato in logiche di “mercato” e non di “servizio”, si appiattisca ulteriormente sulle logiche “marketing oriented”, determinando un annacquamento ulteriore del profilo identitario del “servizio pubblico”.

Il flusso di energie dal “privato” al “pubblico” può essere benefico, se non va nella direzione di una “privatizzazione” (culturale) del “pubblico”.

Giorgio Gori (oggi Sindaco di Bergamo, già di direttore di Canale 5 ed Italia 1), in un’intervista a “La Stampa”, ha dichiarato: “bisogna buttar giù il muro che divide la tv pubblica da quelle commerciali”.

Su questa dichiarazione, andrebbe sviluppato un ragionamento critico, perché Gori ha in parte ragione, ma in parte no: crediamo che nel corso dei decenni molti “muri” (culturali, ideologici, intellettuali) siano caduti, tra Rai e Mediaset, ed è proprio questa convergenza tra le due “visioni del mondo” (privato “vs” pubblico) che ha determinato la confusione d’offerta della televisione italiana, e quindi la perdita di distintività della Rai (basti pensare ad un programma come “Affari tuoi”, con i suoi “pacchi” indegni di un “psb”).

Forse, caro Gori, è bene pensare piuttosto – paradossalmente – a costruire un nuovo “muro” (sensato e solido), basato giustappunto sulla rispettiva diversità, e quindi differenziazioni.

Tv commerciale e tv pubblica non sono – e non debbono essere – la stessa cosa.

Non si deve rincorrere soltanto lo sfuggente pubblico degli “under 35”: Rai deve proporre loro (anche a loro) qualcosa di diverso rispetto a quel che già propone abbondantemente la televisione commerciale.

La Rai deve costruire una identità altra rispetto ai broadcaster commerciali.

Infine, ci auguriamo tutti che, dalla ormai mitica “consultazione”, possa emergere un nuovo profilo identitario del “servizio pubblico radiotelevisivo” italiano, magari lontano dagli interessi del governo e del parlamento, e finalmente vicino ai veri bisogni e desideri della popolazione.

  • Clicca qui, per leggere il disegno di legge Franceschini-Giacomelli, nella versione entrata nel Consiglio dei Ministri che l’ha approvato (18 febbraio 2016)
  • Clicca qui, per leggere l’intervento di Stefania Brai, Responsabile Culturale del Partito della Rifondazione Comunista (Prc), sul ddl Franceschini-Giacomelli (3 febbraio 2016)
  • Clicca qui, per leggere il parere di Michele Lo Loco, avvocato consulente di Ap Area Popolare (Ncd-Udc), sul ddl Franceschini-Giacomelli (5 febbraio 2016)
  • Clicca qui, per leggere l’intervento di Marco Visalberghi, in nome dell’associazione dei documentaristi italiani Doc/it, sul ddl Franceschini-Giacomelli (10 febbraio 2016)
  • Clicca qui, per leggere il parere di Francesco Ranieri Martinotti, Presidente dell’Associazione Nazionale Autori Cinematografici (Anac), sul ddl Franceschini-Giacomelli (15 febbraio 2016)
  • Clicca qui, per leggere il comunicato stampa diramato dal’associazione 100autori, sul ddl Franceschini-Giacomelli (18 febbraio 2016)