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Ilprincipenudo. Roma Ladrona, il mondo di mezzo e l’opacità degli open data

di Angelo Zaccone Teodosi (Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale - IsICult) |

C’è un nesso fra lo scandalo dell’inchiesta ‘Mondo di Mezzo’ e la retorica della trasparenza digitale e degli ‘open data’.

Esiste un nesso tra il recente scandalo dell’inchiesta cosiddetta “Mondo di Mezzo”, che tanta attenzione ha giustamente suscitato (anche se l’italiano medio è ormai in grado di digerire anche i sassi), e la frequente retorica della trasparenza digitale e degli “open data” (che sembrano valori tanto cari al Presidente del Consiglio Matteo Renzi)?!

Ebbene sì: perché, se in Italia le informazioni sui bilanci e sulle gestioni di ministeri, regioni, province (che esistono ancora, pur sotto altre spoglie formali), comuni, altri enti pubblici e para-tali, amministrazioni, società controllate e partecipate, municipalizzate, fondazioni di varia natura e chi-più-ne-ha-più-ne-metta fossero realmente disponibili (accessibili, trasparenti, comprensibili)… sarebbe assolutamente più complicato elaborare architetture criminali, pre-definire a tavolino bandi di gara, pre-assegnare incarichi, sostanzialmente strafregarsene delle procedure previste dal Testo Unico sugli Appalti (ed altre norme) rispettando la forma e non la sostanza, facendo carte false ma paradossalmente falsificate nel rispetto formale di norme e procedure.

Deficit di trasparenza

#ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz.
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La non trasparenza, la non conoscenza, la confusione producono corruzione e stimolano il ladrocinio. Nell’ombra dell’ignoranza, tra le pieghe dei bilanci, s’annida la clientela ed il parassitismo e finanche la criminalità. Le pratiche basse del “mondo di mezzo” sono un fenomeno italiano, non soltanto romano, alimentato dall’ignoranza diffusa rispetto ai meccanismi di funzionamento delle pubbliche amministrazioni, che spesso abusano della propria discrezionalità burocratico-gestionale, e finiscono – a causa del deficit di trasparenza – per consentire finanche le infiltrazioni mafiose.

Se la trasparenza fosse reale, forse gli scandali emersi intorno a Mose, Expo 2015, grandi eventi e squisitezze simili, per arrivare alle ultime vicende della Roma Ladrona, sarebbero stati di dimensioni inferiori.

Pubblica amministrazione

La pubblica amministrazione italiana sembra vivere in una perenne notte hegeliana, quella notte nella quale tutte le vacche finiscono per sembrare nere, ma in verità tali non sono.

Il problema di fondo è che questa trasparenza della pubblica amministrazione italiana (dal livello “macro” di un ministero a livello “micro” di un’azienda sanitaria locale) è dichiarata o comunque invocata, ma ancora concretamente anni-luce dalla effettiva realizzazione: da oltre un quarto di secolo, chi redige queste noterelle studia in particolare le politiche culturali (in senso lato, dallo spettacolo dal vivo alle tlc) del nostro Paese, ma non ha registrato miglioramenti realmente significativi nella qualità delle informazioni sull’operato della mano pubblica, e sulle caratteristiche strutturali dei vari mercati culturali e mediali.

 

Osservatori ministeriali

Lo stato dell’arte dell’economia culturale italiana è lontano dagli esempi migliori d’Europa (Francia e Regno Unito in primis) e non consente una comprensione approfondita dei fenomeni in essere. La situazione non è migliore in materia di politiche sociali, ed altre ancora.

Anche su queste colonne, abbiamo denunciato le condizioni di sonnolenza o pre-morienza cui sono costretti diversi “Osservatori” ministeriali, come l’Osservatorio sullo Spettacolo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo: depotenziati, definanziati, di fatto narcotizzati, se non killerati.

Ma gli esempi potrebbero essere tanti, e ben oltre le politiche culturali. In taluni casi, gli osservatori vengono invece generosamente finanziati, ma gli output concreti finiscono per divenire intangibili o invisibili: che dire dell’Osservatorio Nazionale del Turismo – Ont, che il Mibact ha affidato alla controversa Promuovitalia (assorbita nella “nuova” Enit in gestazione), assegnandole una commessa di 2,2 milioni di euro per la “produzione di contenuti e l’aggiornamento” del portale dell’Ont?

Le elaborazioni sul turismo italiano sono un’infinita serie di dati e di statistiche, perennemente disuguali ed in contrasto tra loro: sembrano elaborazioni prodotte avendo come testo di riferimento il pamphlet di Darrel Huff, “Mentire con le statistiche” (l’edizione italiana è stata pubblicata nel 2007 da Monti & Ambrosini Editori)…

Dati camuffati

Come ha scritto Luciano Ardoino sul pugnace sito Tuttosbagliatotuttodarifare: “Dati e statistiche vengono camuffati e servono principalmente, a chi nel momento amministra qualcosa, per dimostrare il proprio buon operato con segni più alla moda del tre per due, mentre a quelli che sono all’opposizione, con segni meno sullo stile del due per tre”.

Ogni tanto, una ricognizione di una qualche “autorità” riesce a far luce su angolo buio (si pensi al caso eccellente dell’indagine sui servizi internet e la pubblicità online promossa dall’Agcom), ed ogni tanto, ma proprio ogni tanto, emerge una ricerca indipendente minimamente innovativa.

Cultura, Media, Spettacolo, Turismo

In materia di cultura, media, spettacolo, turismo, si assiste frequentemente a numeri in libertà, prodotti da fonti non validate, ovvero dati parziali e partigiani, strumentalizzati dall’utilizzatore di turno, spesso rilanciati da giornalisti che non hanno tempo ed energia per poterne verificare l’affidabilità (l’Italia è anche uno dei Paesi più arretrati in materia di “data journalism”, ovvero di giornalismo basato sulla utilizzazione critica degli “open data” e, in generale, di giornalismo documentato sulle fonti statistiche, sociali ed economiche).

Assenza di dati certi

Queste dinamiche sono di per sé gravi, perché l’assenza di dati certi e di analisi accurate determina inevitabilmente un deficit di conoscenza e quindi di coscienza degli operatori di mercato: il “policy maker”, poi, si trova costretto spesso a legiferare al buio, sotto la spinta della lobby di turno o dell’ondata emotiva determinata da una vicenda (l’ennesimo… “scandalo”) magari assurta all’onore delle cronache…

Qualunque ricercatore appassionato e giornalista serio si scontra, in Italia, con il muro di gomma della “accessibilità” (apparente) dei dati delle pubbliche amministrazioni: sulla carta, i dati sono disponibili, anzi essi spesso sono effettivamente tutti (o quasi) reperibili su web, ma il problema è che, per trovarli, si deve essere dotati di intelligenza sopraffina, ovvero delle abilità investigative degne di un agente dell’“intelligence”.

Come dire?! Queste informazioni sono teoricamente disponibili su internet, ma in verità sono celate nei meandri del “deep web”, ovvero filtrate e schermate: in sostanza, nascoste. Esiste una sorta di demoniaco spirito burocratico che governa i sistemi informativi delle pubbliche amministrazioni italiche.

Caro Presidente Renzi

Caro Presidente Renzi, Lei, il 16 settembre, alla Camera, in Aula, ha dichiarato: “Al termine dei mille giorni, il sito di Expo, con gli open data e la trasparenza assoluta, che sono frutto dell’intervento e dell’impegno che abbiamo messo, saranno il modello per tutte le amministrazioni”.

Anche noi, da semplici cittadini, auspichiamo, con Lei, che gli “open data siano un modello per tutte le pubbliche amministrazioni”. Ma senza arrivare a così eccellenti risultati, ci basterebbe, da cittadini ed utenti, avere chance di poter acquisire in modo semplice e “leggibile” i dati che pure già sono sul web, ma… simpaticamente nascosti.

E, quando si trovano questi dati, si deve avere il dono una intelligenza ancora più raffinata, per cercare di comprendere il nesso causa/effetto, ovvero perché quel budget è stato allocato su quella specifica iniziativa. E qui il mistero, quasi sempre si infittisce.

Mission impossible

Comprendere la vera verità che si cela dietro le centinaia se non migliaia di pagine e tabelle del bilancio di un ministero o di una regione italiana è una intrapresa ardita, quasi sempre una “mission impossible”: se si riesce a superare la cortina fumogena della frammentazione infinita delle informazioni, ci si scontra con l’assenza di spiegazioni semplici e comprensibili, e con capitoli di bilancio criptici, con infiniti incomprensibili rimandi a leggi e leggine, articoli e commi…

Fondi europei

Stessa dinamica si ripropone anche rispetto all’utilizzazione dei fondi europei, e qui il problema è in taluni casi veramente ancor più grave, perché si tratta di budget di dimensioni impressionanti: encomiabile il tentativo messo in atto dal luglio del 2012 dall’allora Ministro per la Coesione Territoriale Fabrizio Barca, che lanciò il progetto “Opencoesione”, annunciato come “il primo portale nazionale sull’attuazione degli investimenti programmati nel ciclo 2007-2013 da Regioni e amministrazioni centrali dello Stato con le risorse per la coesione”.

In sede di conferenza stampa, veniva precisato: “Verso un miglior uso delle risorse per lo sviluppo: scopri, segui, sollecita, il nuovo portale pensato per comunicare in modo trasparente sulle politiche di coesione in Italia e interamente costruito all’insegna dei criteri e della filosofia ‘open data’”.

Abbiamo testato con mano, in varie occasioni, il funzionamento di questo portale, ed abbiamo riscontrato che le belle intenzioni non sono state seguite da funzionalità adeguate e coerenti. Per esempio, “Opencoesione” non chiarisce uno degli scandali latenti del sistema culturale italiano, qual è il mega-progetto “Sensi Contemporanei”.

Il mega-progetto

Il mitico programma “Sensi Contemporanei”, ovvero – più esattamente – il progetto “Promozione e diffusione dell’arte contemporanea e valorizzazione di contesti architettonici e urbanistici nelle Regioni del Sud d’Italia”.

Ampia l’articolazione: “Sensi Architettura e Urbanistica”, “Sensi Arti Visive”, “Sensi Cinema e Audiovisivo”, “Sensi Teatro e Spettacoli dal Vivo”, “Sensi Nautica”, “Sensi Turismo”, “Sensi Design”, e (poteva mancare?!) “Sensi Formazione”.

Quanti milioni di euro di risorse ha assorbito nell’arco di un decennio, o si tratta piuttosto di alcune… decine di milioni di euro?! E cosa ha prodotto “esattamente”, per il sistema culturale (e turistico) nazionale?!

Il Ministero (sia esso Mibac o Mef) ha forse elaborato un dossier documentativo, accurato e trasparente, per spiegare agli “stakeholder” (ovvero ai cittadini tutti) come sono state utilizzate queste risorse?

Non ci risulta.

Eppure “Sensi Contemporanei” continua ad erogare danari europei, in rivoli e rivoletti, programmi, sotto-programmi, integrazioni varie: per esempio, soltanto nel settembre 2014, la Sicilia-Filmcommission ha pubblicato un bando per film ed audiovisivi sulla Trinacria, allocando 1,5 milioni di euro.

è interessante quel che viene precisato: “nell’ambito del II Atto Integrativo Regione Siciliana Sensi Contemporanei – Lo sviluppo dell’industria audiovisiva nel Mezzogiorno, linea di intervento C.3 new Valorizzazione – attraverso le produzioni cinematografiche – dell’identità regionale in rapporto al proprio patrimonio storico, culturale, paesaggistico, socio-economico, linguistico, letterario e antropologico, anche in relazione al contesto nazionale e internazionale, intende cofinanziare la realizzazione, nel territorio regionale, di lungometraggi a soggetto di produzione cinematografica o televisiva, per il conseguimento degli obiettivi generali posti a base degli investimenti nel Mezzogiorno del programma Sensi Contemporanei, tra i quali la promozione del territorio siciliano attraverso la conoscenza dei contesti storici, artistici e culturali e lo sviluppo delle professionalità siciliane operanti nel settore, anche per favorire una ricaduta economica nell’isola in termini occupazionali”.

Accantoniamo commenti sul deficit… di punteggiatura, oltre che di trasparenza! “Sensi Contemporanei” non è ancora divenuto uno scandalo nazionale, ma scommettiamo che lo diverrà. Si tratta di un piccolo/grande caso di mala gestione delle risorse pubbliche, sintomatico di una perdurante patologia di trasparenza e verosimilmente di efficienza ed efficacia.

Pon, Poat e Apq

Qualcuno in Italia è in grado di produrre un bilancio sui concreti risultati, e su come vengono utilizzate le risorse dei Pon (Programmi Operativi Nazionali) o dei Poat (Progetto Operativo Assistenza Tecnica) o degli Apq (Accordi di Programma Quadro)?

No, caro Matteo (Renzi). Si amministra in modalità “aumme-aumme”, e si naviga… “a vista”, anche con le risorse dell’Unione Europea!

E poi ci si stupisce se non emergiamo esattamente nei primi posti nelle classifiche comparative europee per buona gestione di questi fondi?!

La cultura del “bilancio sociale” è in Italia una delle più arretrate del mondo, come quella della “trasparenza”.

Quando i dati sono disponibili, essi sono presentati in modo tale da rendere la ricerca una sorta di caccia al tesoro, un gioco dell’oca, un puzzle che si decompone e ricompone in itinere.

Eppure, potenzialmente, la logica degli “Open Data”, ovvero dei dati raccolti o prodotti dalla pubblica amministrazione e resi accessibili a tutti i cittadini gratuitamente con facoltà di riutilizzarli, avrebbe valenze addirittura rivoluzionare, se si concretizzasse effettivamente.

Consentirebbe ai cittadini di capire realmente “quanto” (danaro) va a “cosa” (attività), e quindi di comprendere cosa cela realmente, per esempio, la “legge di stabilità”: questa funzione analitico-descrittivo dovrebbe essere un compito primario dello Stato, e non una attività svolta da alcuni coraggiosi attivisti.

In argomento, rimandiamo alla XVI edizione del “Rapporto Sbilanciamoci! 2015 – Come usare la spesa pubblica per i diritti, la pace, l’ambiente”, presentato il 27 novembre a Roma, iniziativa promossa da una cinquantina di associazioni della società civile (da Lunaria all’Arci, da Antigone a Cittadinanzaattiva, da Emergency a Fish…), che propone una lungimirante contro-manovra di bilancio.

Regione Lazio

Un esempio per tutti, ben sintomatico del disastro attuale? Come è noto, le Regioni pubblicano gli atti cui sono tenuti a dare pubblicità sui propri “Bollettini Ufficiali” (cosiddetti “Bur”). Quello della Regione Lazio si chiama “Burl”, acronimo appunto di “Bollettino Ufficiale Regione Lazio”.

La versione digitale è disponibile naturalmente sul sito web della Regione. Il motore interno di ricerca consente di effettuare ricognizioni sulle edizioni pubblicate dopo il 1° luglio 2012. Per quelle antecedenti, dal gennaio dell’anno 2000, la ricerca è possibile, ma indicando… il numero del bollettino, senza chance di effettuare ricerche sull’intero database: oh, perbacco!

Ovviamente, richiedendo prima quel parametro di filtro, non è possibile effettuare una qualsivoglia ricerca “full text” (per esempio, per parola o nome: che so “cultura”, piuttosto che “cooperativa alfa”).

Sufficit?!

E, come se non bastasse, questi graziosi filtri sono posti anche per le ricerche più recenti, dal luglio 2012 al dicembre 2014. In questo caso, si può anche effettuare una “ricerca atto puntuale”, ovvero per tipologia: “accordi”, “appalti e concorsi”, “autorizzazioni”, “avvisi”, “decreti”, “deliberazioni”, “determinazioni”, “direttive”, “elenchi”, “rettifiche”, “leggi”, “ordinanze”, “valutazioni”.

Ma, di questi atti, il “ricercatore” deve avere gli estremi, altrimenti non li può trovare, se non cercando, nei singoli bollettini, sfogliandoli uno per uno. Ebbene, si può anche effettuare una ricerca complessiva, ma limitata ad archi temporali di due mesi (quindi, per cercare in un periodo di due anni, si debbono effettuare 12 ricerche!), e comunque limitatamente all’“oggetto” dell’atto (ricerca cosiddetta “parola nell’oggetto”).

Quindi, esemplificativamente, se digito “cultura”, esce, tra i risultati: «Avviso Pubblico: “Progetti pilota nei settori dell’arte e della cultura”. Attuazione del Programma Operativo del Fondo Sociale Europeo – Obiettivo 2 – Competitività  regionale e Occupazione» (nel caso in ispecie, avviso pubblicato sul Burl dell’11 novembre 2014).

Conclusa la procedura selettiva, verrà prima o poi approvata dalla Regione Lazio la graduatoria dei soggetti ammessi, ma non sarà possibile effettuare una ricerca “full text”, perché l’elenco e l’identità dei soggetti vincitori non sono – ovviamente – nell’oggetto dell’“atto”, bensì nel “testo” dell’atto stesso: testo sul quale non è possibile effettuare la ricerca! Pietra tombale sull’…“information retrivial”.

Lait

E va ricordato che la Regione Lazio non è nemmeno tra le Regioni documentalmente meno “accessibili”, forse anche perché dispone comunque di una controllata, la Lait spa – Lazio Innovazione Tecnologica (ex Laziomatica), “società in house” che presta servizi di varia natura alla Regione ed alle controllate. Lait fattura circa 50 milioni di euro ed impiega oltre 230 dipendenti. La Lait “lavora al fianco della Regione Lazio per assicurare la governance dei processi di informatizzazione della pubblica amministrazione regionale. Lait progetta, realizza e gestisce il Sistema Informativo della Regione Lazio per stimolare lo sviluppo della società dell’informazione, ponendo le basi per la creazione dell’amministrazione digitale”.

Pretendiamo troppo, nel chiedere a Lait di mettere online, ma in modo agevole e semplice e consentendo ricerche “full text”, tutto il database della Regione Lazio, ovvero – suvvia! – anche soltanto del Bollettino Regionale?! Non è complicato, e non costa poi tanto…

Lait-Lazio Service

A metà novembre, comunque la Regione Lazio ha deciso di sciogliere Lait, che confluirà, insieme a Lazio Service, in una “newco” elefantiaca (oltre 1.500 dipendenti). Un dispaccio dell’Agenparl del 19 novembre rilanciava un comunicato stampa sindacale sulla fusione Lait-Lazio Service: “La proposta di fusione viene casualmente portata al Consiglio Regionale da un consigliere dell’opposizione (Luca Gramazio, Capogruppo di Forza Italia) appena una settimana dopo la pubblicazione sui giornali della notizia relativa ad un’indagine della Procura sull’ex Assessore al Patrimonio e Demanio della Giunta Marrazzo, Marco Di Stefano (Pd), per una presunta mega tangente da 1,8 milioni di euro, proprio relativa al contratto di affitto dei palazzi di via del Serafico ancora oggi sede di Lazio Service”.

La proposta per la fusione è a firma giustappunto di quel Luca Gramazio, che, qualche giorno dopo, il 4 dicembre, s’è dimesso, essendo indagato (per associazione a delinquere di stampo mafioso) nell’indagine “mondo di mezzo”…

 

Tutto torna, gli intrecci sono complessi, ma si intravvede una qual certa circolarità, un qual certo disegno complessivo (criminale): meno il cittadino riesce a sapere, meglio si “governa”, in nero ed in grigio… L’istanza di trasparenza del cittadino si scontra con il muro di gomma della burocrazia (analogica e digitale).

Esempio concreto ulteriore: il Presidente Nicola Zingaretti, dopo lo scandalo del “mondo di mezzo”, ha dichiarato con orgoglio che, dal maggio 2013, nessun bando “è stato aggiudicato ad una delle società attualmente sottoposte a indagini nell’operazione denominata Mondo di Mezzo”.

Naturalmente il Presidente accede “full text” al database regionale (ed alla Centrale Unica sugli Acquisti della Regione), ma al cittadino comune ciò è precluso. Ovvero, senza dubbio l’informazione su un’eventuale assegnazione alla ormai famigerata Cooperativa 29 Giugno (circa 60 milioni di fatturato nel 2013) è accessibile su web (virtualmente), come dato in sé, ma il ricercatore, per trovare l’informazione, se non conosce l’“atto preciso” (sic), deve effettuare ricerche maniacali ovvero ciclopiche, tali da scoraggiare chiunque, se non, appunto, un investigatore specializzato, o un ufficiale di polizia giudiziaria al servizio della procura…

Questo è lo stato degli “open data” nell’Italia del 2014: una presa in giro.

In sostanza, “open data” è un gran bel principio, se applicato, altrimenti è un pio auspicio, roboante retorica. Retorica pura: anzi fuffa 2.0. Senza dubbio, per una pubblica amministrazione trasparente ed “open”, serve tecnologia evoluta, ma, prima ancora, serve volontà politica seria, serve impegno amministrativo vero.

E su quest’attuale “fuffa 2.0”, ci piacerebbe conoscere il parere dell’Agenzia per l’Italia Digitale