L'analisi

ilprincipenudo. Quel che manca all’Italia? Una visione d’insieme di media e cultura

di Angelo Zaccone Teodosi (Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale - IsICult) |

Nel nostro paese manca un mosaico del sistema mediatico-culturale capace di tenere insieme le istanze delle tv locali e quelle della nuova Rai in gestazione

Dalle tv locali in/sofferenti alla “nuova” Rai in gestazione, grande è la confusione sotto i cieli italici, e si conferma l’assenza di un “governo” complessivo del sistema: quel che continua a mancare è la “vision” sistemica, la strategia di sviluppo, il senso dell’intervento pubblico nell’economia delle industrie culturali e creative. Di volta in volta, si interviene su un tassello, ma il mosaico non c’è, ed il quadro generale continua a mostrare contraddizioni, asimmetrie, sperequazioni.

#ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz.
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Ascoltando ieri all’evento sulle Tv locali organizzato dal mensile “Millecanali” gli interventi dei politici (Roberto Fico…), dei regolatori (Antonio Nicita…) e degli operatori del settore (emittenti locali piccole e meno piccole…), abbiamo maturato la stessa impressione che maturavamo un quarto di secolo fa, allorquando muovevamo i primi passi nel settore dei media: grande confusione, grande policentrismo, grande frammentazione, e… assenza giustappunto di “governo” complessivo del sistema.

Per esempio, nel settore dell’emittenza locale, sono ancora attive tre associazioni, la ex Frt ormai confluita in Confindustria Radio Televisioni, la AerAnti-Corallo (la cui base storica è nell’emittenza cattolica), la piccola e pugnace Rea: ognuna delle tre associazioni porta acqua al proprio mulino, ed è naturale, ma senza dubbio non riescono a produrre alcuna sinergia né un minimo comun denominatore di “piattaforma” nei confronti del Governo, ed il destino delle tv e delle radio locali appare segnato, tra lotte all’ultimo sangue per le frequenze, la numerazione automatica sui telecomandi, contributi pubblici sempre più esigui e basati su parametri rigidi e superati…

Per esempio, basti pensare che le tv locali “native digitali” non possono accedere alle sovvenzioni statali. E deprime ascoltare che secondo alcuni ci sarebbero emittenti che fanno finta di mantenere rapporti lavorativi con i collaboratori (limitandosi a versare i contributi previdenziali, senza liquidare i compensi) per poter entrare o restare nelle graduatorie dei finanziamenti pubblici.

E c’è chi evoca la necessità che una parte del flusso del canone Rai (in discussione: lo riduciamo e lo devono pagare tutti”, pare vada ripetendo il Presidente del Consiglio) alimenti un fondo per le emittenti radiotelevisive locali.

C’è ancora chi invoca il “tax credit” per gli investimenti pubblicitari sulle tv locali (e stendiamo un velo pietoso – e non ne riveliamo l’identità – sul parlamentare che ripetutamente chiamava, durante il convegno di “Millecanali”, l’agevolazione… “credit tax”).

E che dire del sostegno che la Regione Veneto ha deciso di assegnare al digitale, con un budget di 10 milioni di euro?! Il Presidente Consiglio Regionale del Veneto, Roberto Ciambetti, se ne è fatto vanto, ma la domanda, anche qui, resta: con quale logica di sistema (nazionale)?!

Come dire delle contraddizioni tra Agcom e Corecom, sue emanazioni territoriali “decentrate”… Il Commissario Agcom Antonio Nicita ha sostenuto che “nei prossimi anni, l’abbandono della banda 700 segnerà per tutta l’industria televisiva italiana un cambio di modello, paragonabile al passaggio da analogico a digitale realizzato tra il 2006 e il 2012. L’effetto per spettatori ed editori televisivi sarà positivo, potendo sfruttare meno banda per i canali lineari broadcast, ma molta più banda per programmi broadband mobile, dei quali c’è forte domanda legata soprattutto a offerte televisive”. Ma “banda a parte”, chi sta pensando a che ruolo dovrebbero avere le emittenti locali in materia di produzione dei contenuti originali e di estensione del pluralismo informativo?! Avremo tanta bella “banda” per trasmettere, d’accordo, ma per quale “musica”, ovvero per trasmettere… quale “content”???

Nessuno sembra porsi un quesito di fondo: che ruolo hanno, possono avere, potrebbero avere le emittenti locali in un sistema mediale ben temperato e basato su una ecologia mediale sana?!

Che rapporto potrebbero avere, per esempio, con le stanche Sedi Regionali della Rai?! E con le Film Commission, cioè le strutture regionali e locali che si dedicano alla promozione dei territori nell’immaginario audiovisivo?!

Ogni “player” recita una sua parte, anche in seno al governo, senza neanche tentare di ricondurre l’insieme “ad unità”, nell’interesse del “sistema Paese” (concetto sempre più evanescente).

Un piccolo ma commendevole tentativo di superamento di questa frammentazione dispersiva (di competenze e di risorse) si ha nei “tavoli di lavoro” che da qualche mese son stati promossi dal Ministero dei Beni e le Attività Culturali e il Turismo ed il Ministero dello Sviluppo Economico: le conclusioni di queste consultazioni (ahinoi, a porte chiuse) pare stiano per portare ad una proposta normativa innovativa in materia di produzione cinematografica ed audiovisiva e di regolazione dei rapporti tra broadcaster e produttori, proposta condivisa dal Ministro Franceschini e dal Sottosegretario Giacomelli, che dovrebbe essere annunciata nelle prossime settimane. Attendiamo fiduciosi.

L’esigenza di una regolazione complessiva dell’economia politica dei media italiani è stata evocata, durante la kermesse di “Millecanali”, da Raffaele Lorusso, Segretario della Federazione Nazionale della Stampa, che ha sostenuto la necessità di mettere mano alle regole che governano l’intero sistema: “Questo è un punto imprescindibile, non perché lo chiediamo noi, ma perché ne ha bisogno il Paese. Noi abbiamo bisogno di definire innanzitutto che cosa significa servizio pubblico, abbiamo bisogno di una legge che regoli il conflitto d’interesse, abbiamo bisogno di una legge sui trust. Abbiamo bisogno anche di una legge che regoli il mercato pubblicitario, perché non esiste una legge che oggi pone dei tetti alla raccolta pubblicitaria, come c’è invece in tutti gli altri Paesi”.

Ha ragione Lorusso, ma anche no: premesso che non corrisponde a verità che “tutti gli altri Paesi” impongono tetti alla raccolta pubblicitaria, va osservato che l’evoluzione di un sistema mediale che si voglia forte e plurale, robusto e libero, deve essere affidata ad un disegno complessivo di respiro strategico, non all’imposizione di nuovi lacci e lacciuoli alla crescita.

Si deve incentivare, non reprimere. Il pluralismo espressivo e la pluralità imprenditoriale sono valori sacrosanti, ma vanno considerate anche le esigenze di crescita dei soggetti industriali e di sviluppo di una industria mediale e culturale nazionale, in grado di competere sullo scenario globale internazionale.

L’iter del disegno di legge sulla Rai, intanto, continua: la discussione verrà ripresa martedì prossimo, nelle Commissioni congiunte Cultura e Trasporti della Rai, fermo restando l’obiettivo governativo di arrivare entro fine anno al via libera definitivo del testo, dopo il secondo passaggio al Senato.

Nel mentre, l’attuale Consiglio di Amministrazione Rai, nella pienezza dei poteri che la legge Gasparri gli assegna, che farà? Assisterà silente alla propria annunciata eutanasia?!

Si attende la prima sortita del Direttore Generale della Rai in un consesso politico, ovvero l’annunciato suo intervento nel convegno “CambieRai. La nuova mission della televisione pubblica. Le proposte di Area popolare” (alias Ncd + Udc), che si terrà martedì 13 ottobre presso la Sala Capranichetta di Piazza Montecitorio (clicca qui per il programma, che vede una modificazione rispetto a quanto dapprima annunciato, dato che non sarà più Ferdinando Adornato a moderare i lavori, bensì Rocco Buttiglione).

Pare che Area Popolare intenda prospettare interventi radicali, a partire da una riduzione significativa degli affollamenti pubblicitari in Rai per arrivare alla rottura dell’integrazione verticale della Rai, scardinando l’asse tra Rai e RaiCinema. In effetti, RaiCinema e la Direzione RaiFiction sono ormai un “centro di committenza” (ed un “centro di potere” culturale) così forte che – secondo alcuni – indebolisce alla radice le chance di riscatto della cosiddetta “produzione indipendente” italiana.

Il Dg Campo Dall’Orto ha intanto concesso al quotidiano confindustriale “Il Sole 24 Ore” un’anteprima del suo odierno annunciato intervento al convegno “Digitale x la crescita. Facciamo il punto, verifichiamo la rotta”, che si tiene a Capri.

Questa volta si tratta di una sortita ben meditata, meno estemporanea dell’intervista concessa a “il Foglio” il 2 settembre.

Proponiamo alcuni stralci dell’intervento.

La Rai di Dall’Orto vola alto:

“La Rai è un soggetto fondamentale per lo sviluppo culturale del Paese. Il suo scopo, da quando è nata creando di fatto la nostra cultura popolare, è stato anche quello di alfabetizzare gli italiani. Ma oggi la tv non basta più, e nemmeno un desueto approccio didattico univoco, dall’alto verso il basso”.

“Il dominio è passato dagli ‘apparecchi’ all’immaterialità dell’informazione. Tutto è contenuto e relazione. Per questo occorre tornare sullo sviluppo delle piattaforme di condivisione dei contenuti”.

Musica per le nostre orecchie, e per chi crede nelle potenzialità di un habitat digitale basato su una ecologia mediale sana: “Tutto è contenuto e relazione”!

Sarà interessante osservare le reazioni della “politica” rispetto a queste dichiarazioni d’intenti, che disegnano un “servizio pubblico” piuttosto diverso, rispetto alla Rai (autoreferenziale e “provinciale”) cui ci siamo purtroppo abituati ormai da molti anni. Sarà non meno interessante osservare le reazioni della (tecno)struttura Rai, a fronte di queste dichiarazioni “teoriche”, che lasciano intravvedere anche uno sconvolgimento degli assetti storici di viale Mazzini…

La partita si preannuncia intrigante, ma il nuovo funzionigramma Rai verrà disegnato soltanto dopo l’approvazione della nuova legge sulla “governance”? Nel mentre, dichiarazioni d’intenti radicali e fuochi d’artificio di mediologia d’avanguardia? Ed il Cda resta a guardare…

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