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ilprincipenudo. Le perplessità sulla ennesima ‘Cinecittà Futura’

Angelo Zaccone Teodosi

Segnaliamo ai nostri affezionati lettori che ieri l’altro, mercoledì 31 gennaio 2018, non abbiamo fatto parte del… “codazzo di giornalisti” (l’espressione è della collega Laura Martellini sul “Corriere della Sera” di ieri) che hanno partecipato all’incontro “Cinecittà Futura”, promosso dal Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Dario Franceschini, assieme al Direttore Generale del cinema Nicola Borrelli ed al Presidente dell’Istituto Luce Cinecittà Roberto Cicutto.

Non si tratta di una scelta “snob”, ma dell’intimo convincimento che avremmo assistito ad una passerella autoreferenziale e discretamente narcisistica, peraltro in inevitabile atmosfera pre-elettorale.

E così temiamo sia stato, sia analizzando la rassegna stampa, sia leggendo i documenti che sono stati presentati durante l’incontro.

Quel che stupisce ormai è l’assoluta diffusa terribile assenza di letture critiche della politica culturale italiana, fatte salve rarissime eccezioni: anni fa, sia il cinema sia la televisione – le loro politiche e le loro economie – erano oggetto di analisi accurate da parte di eccellenti colleghi come Marco Mele su “il Sole 24 Ore” e Michele Anselmi su “il Riformista”, ma anche su “il Manifesto” e su “l’Unità” si leggevano articoli severi. Ormai, a parte la morte di belle testate, le penne… non allineate si contano sulle punte delle dita di una mano.

La rassegna stampa del “tour” ministeriale negli “studios” di Via Tuscolana conferma questa sconfortante realtà. Gli articoli dedicati a “Cinecittà Futura” non sono stati tanti, ma sicuramente molte delle testate più diffuse hanno dedicato buona attenzione all’iniziativa: toni complessivamente positivi, nessun particolare dubbio sugli annunci, le prospettive, i numeri… Già, “i numeri”: ancora una volta, sparati simpaticamente, senza alcuna verifica di fondatezza. Lanciati dai promotori e rilanciati dai colleghi: “rifinanziamento pubblico” di 56 milioni di euro per 3 anni… “piano di investimenti” di 37 milioni di euro per il 2018-2020… si punta al “pareggio” per l’anno 2020… Non staremo qui a sostenere che si tratta di numeri in libertà, ma il rischio di fuochi d’artificio è sempre in agguato, in assenza di documentazione tecnicamente adeguata a comprendere la fondatezza dei dati e delle cifre.

Il “capitolo” Cinecittà merita attenzione estrema, e quindi qui ci limitiamo ad esprimere alcune perplessità.

Anche su queste colonne – tante volte – abbiamo manifestato plauso alla “politica culturale” promossa dal Ministro Dario Franceschini, soprattutto perché ha allargato i cordoni della borsa, dopo anni ed anni di vacche magre. Abbiamo al contempo lamentato un discreto deficit di “evidence-based policy making”, con un’allocazione delle risorse che raramente ci sembra sia stata dettata da una logica organica e da una strategia precisa, se non dalla continua tendenza a “delegare” al mercato, allorquando noi crediamo che il ruolo dello Stato deve essere di indirizzo e stimolazione, non di subordinazione alle regole della domanda e dell’offerta. Si è molto navigato a vista, senza l’adeguata strumentazione: non ci stancheremo di ripetere che il tanto decantato strumento del “tax credit” non è mai stato oggetto in Italia di valutazioni di impatto, eppure il Ministro, il Direttore Generale, i boss dell’Anica ed altri ancora intonano l’allegro coretto di quanto sia bello e buono il meccanismo… Chi può dirlo, con onestà, se non si dispone di dati ed analisi minimamente adeguati?!

E ovviamente grande è lo stupore, e certamente lo sconforto, se i dati del “box office” italiano nel 2017 evidenziano una crisi che è radicale, e non contingente (vedi “Key4biz” del 10 gennaio 2018, “Il 2017 ‘annus horribilis’ per il cinema italiano”). Il Ministro ed il Direttore Generale si dichiarano entusiasti della nuova legge, i cui primi risultati si potranno valutare forse ad inizio del 2019, e, pienamente, nel 2020. Eppure, il Ministro ha dichiarato ieri l’altro, con tenace ottimismo, che “malgrado le polemiche sulle quote di opere europee e italiane da trasmettere in tv, e malgrado le norme entrino in vigore nel 2019, le televisioni già hanno iniziato a chiedere a produttori italiani di fare film, e poi c’è il dato importante dell’investimento di produzioni internazionali a Cinecittà, tra le quali assume rilevanza particolare l’arrivo di Netflix”. Ci piacerebbe essere confortati da un qualche dato numerico concreto.

Ci rendiamo perfettamente conto che il Ministro Dario Franceschini non possa non pavoneggiarsi della sua controversa creatura normativa, soprattutto in campagna elettorale. Quel che ci auguriamo è che le tante risorse pubbliche assegnate al settore cinematografico ed audiovisivo siano oggetto di analisi valutative adeguate e di monitoraggi severi, al fine di verificare non soltanto l’efficienza ma anche l’efficacia del nuovo apparato normativo-regolamentativo: si deve sì rafforzare il tessuto industriale del settore, ma crediamo si debba ragionare sul ruolo primario della mano pubblica, ovvero l’estensione del pluralismo espressivo, della pluralità di impresa, dell’offerta diversificata… Ricerca, sperimentazione, innovazione, creatività… dovrebbero essere gli obiettivi primari, ma non ci sembra che questa strategia sia esattamente quella perseguita dalla “legge Franceschini-Giacomelli”. Avremo occasione di tornare su queste tematiche.

Dubbi avevamo maturato, allorquando, qualche mese fa, è stato presentato un piano di rilancio di Cinecittà: un documento abbastanza debole dal punto di vista tecnico (almeno per quanto riguarda quello reso di pubblico dominio; immaginiamo – e speriamo – se ne sia stato prodotto uno più corposo, ad uso interno del Mibact), come analisi di scenario e ricerche di mercato. Ci siamo domandati chi fossero gli esperti coinvolti, e, secondo alcune voci, il Ministero e Istituto Luce Cinecittà si sarebbero avvalsi dei professionisti di Struttura Consulting srl, la stessa società di consulenza (i cui partner sono Alessandro Hinna e Marcello Minuti e Angela Tibaldi: dal 2016, è divenuta parte di Pts Consulting spa) di cui si è avvalsa anni fa il Ministero nella impostazione del famoso “decreto Nastasi” di riforma dell’intervento pubblico nel settore dello spettacolo dal vivo (vedi “Key4biz” del 10 novembre 2015: “Sovvenzioni Fus, 60 ricorsi al Tar: oggi il Mibact ne risponde alla Camera”), divenuto famoso per il crudele “algoritmo”. E forse non è casuale che ieri l’altro a Cinecittà abbia assistito alla presentazione di “Cinecittà Futura” giustappunto Salvo Nastasi, già potente Direttore Generale dello Spettacolo dal Vivo del Mibact, poi nominato Vice Segretario Generale di Palazzo Chigi dal già Presidente del Consiglio Matteo Renzi.

Ma così come il “tax credit” è strumento decantato quanto non analizzato, anche il capitolo “Cinecittà” appare discretamente confuso: qual è il ruolo esatto che il Ministro ha inteso assegnare agli studi di via Tuscolana?!

Dario Franceschini auspica che si torni agli “anni d’oro” di Cinecittà, ma la strategia non è chiara. Si annunciano investimenti per 7 milioni di euro per i 20 teatri di posa, manutenzioni straordinarie, cablaggi evoluti… Ma è stata realizzata una seria ricerca comparativa internazionale per comprendere se realmente il mercato mondiale del cinema e dell’audiovisivo hanno necessità degli studi di Cinecittà? Non ci risulta proprio: e qui, appunto, casca l’asino.

Da decenni e decenni, viene periodicamente annunciato un “nuovo corso” di Cinecittà, e da decenni ci sembra vengano riprodotti gli errori di sempre: molta superficialità, molta approssimazione, molto ottimismo della volontà, e spesso annunci roboanti di rigenerazione e rinascita…

Confusione strategica: al di là della indisponibilità di ricerche di mercato sulle reali potenzialità degli studi a livello internazionale, anche ieri l’altro è stato riproposto l’auspicio del solito “maggiore coinvolgimento” della Rai… E che dire del Museo Italiano dell’Audiovisivo e del Cinema, il cui progetto ci sembra discretamente fumoso?! E che dire, ancora, della novella idea di Romevideogamelab, ovvero un laboratorio per la creazione di videogames, che, dal 4 al 6 maggio proporrà anche il primo “Festival dell’Industria Videoludica”?! Fuochi d’artificio: “venghino signori venghino”…

Se si analizza il bilancio di Cinecittà (l’ultimo è relativo a quello dell’esercizio 2016), emergono dati non proprio entusiasmanti: il totale dei ricavi è stato di 23,8 milioni di euro, ma ben 17,7 milioni – ovvero il 74 % – derivano da contributi pubblici. I ricavi da “film” sono stati 325mila euro, da “documentari” 207mila, da “produzione” 443mila, da “licenza marchi” 217mila euro… un po’ più rilevanti i ricavi da “archivio”, a quota 868mila euro, e gli “affitti attivi” a quota 3,4 milioni di euro.

Un quesito sorge naturale: ma a cosa diavolo serve attualmente Cinecittà, nell’economia complessiva del cinema e dell’audiovisivo italiano?!

Come si giustificano 18 milioni di euro l’anno di sovvenzioni pubbliche?!

Se, per ipotesi assurda, Cinecittà (con i suoi 75 dipendenti) scomparisse domani, cambierebbe realmente qualcosa per l’industria cinematografica ed audiovisiva italiana?!

Certo, scomparirebbe anche una testata giornalistica di gran livello, qual è “Cinecittà 8 ½” (il “magazine” mensile – sottotitolo “Numeri, visioni e prospettive del cinema italiano” – a cura di Istituto Luce-Cinecittà in collaborazione con Anica e Direzione Generale Cinema del Ministero, diretto da Gianni Canova), ma sia consentito osservare che si tratta di una rivista raffinata quanto clandestina, che pure pare costi allo Stato qualcosa come mezzo milione di euro l’anno: forse una sorta di emulazione, nello specifico “spettacolare”, dell’incredibile caso del quotidiano-fantasma “L’Opinione” di Arturo Diaconale, che vanta il record nazionale di sovvenzioni pubbliche per la stampa assistita?

Perché il Ministro non ha piuttosto dedicato alcuna attenzione ad una delle potenziali funzioni di Cinecittà, come possibile agenzia per la promozione internazionale del cinema e dell’audiovisivo “made in Italy”?! Questo è certamente uno dei punti più deboli del nostro “made in Italy”, una delle maggiori criticità dell’industria culturale nazionale.

Unica voce fuori dal coro, sui quotidiani, il collega Pedro Armocida, che, su “il Giornale” di ieri, ha evocato i toni dei “cinegiornali” del Luce (clicca qui, per il reportage… autopromozionale prodotto dalla stessa Cinecittà, firmato da Riccardo Farina…) di commentando gli annunci del Ministro: il titolo dell’articolo è inequivocabile, “Cinema di Stato. I finanziamenti con il manuale Cencelli”. Si dirà che è testata di parte, e partigiana, ma quel che il collega sostiene è corretto: al di là della retorica sulla “nuova” Cinecittà, si segnala che l’altro ieri il Ministro ha nominato i cinque esperti “di chiara fama” che dovranno esprimersi in relazione ai cosiddetti “contributi selettivi” per la produzione, come previsto dalla novella legge sul cinema: il regista Pupi Avati, la scrittrice Daria Bignardi fino a pochi mesi fa direttrice di Rai3, la “contessa del cinema” Marina Cicogna, i critici cinematografici Enrico Magrelli (conduttore di “Hollywood Party” su Rai Radio3) e Paolo Mereghetti (critico del “Corriere della Sera”).

Da segnalare che sono presto peraltro arrivate le dimissioni di Pupi Avati, che così le ha motivate, con una lettera indirizzata a Dario Franceschini: “Illustre e caro Ministro, come probabilmente ti avrà anticipato Nicola Borelli, il dissenso prodotto su alcuni organi di stampa e su alcuni siti web nei riguardi della mia nomina mi ha profondamente turbato. Le colpe che mi sono addebitate riguardano l’anagrafe (ho 79 anni), il mio essere cattolico e, per alcuni l’essere riconducibile a un’area politica di centrodestra. Nessuno degli estensori di questi articoli rammenta il mio curriculum di cinquanta film, alcuni dei quali non da buttare. Il compito della commissione è poi gravosissimo, non retribuito, e di grande responsabilità nei riguardi dei tanti (non solo giovani) che attraverso quel contributo riusciranno a realizzare il loro sogno, probabilmente dando un senso alla loro vita. La barbarie nella quale stiamo precipitando fa sì che vantare un’esperienza sia assolutamente disdicevole. So che fra i cinque membri che hai nominato avrei potuto essere il solo a dare un contributo non secondario sul piano della fattibilità dei progetti. Non è un caso se fui io a suggerire all’allora tuo omologo Giuliano Urbani di inserire nella prassi di richiesta di finanziamento l’obbligo di quell’incontro con l’autore che poi è diventato fortunatamente una prassi. Le reazioni che ho letto al mio nome, che i miei familiari hanno letto, non ci hanno resi felici. Non hanno aumentato la mia autostima. In altre cinematografie da Clint Eastwood a Woody Allen, tutti più anziani di me, continuano a raccontare le loro storie senza suscitare alcuna perplessità. Mi dispiace. Non ho mai amato le risse e soprattutto non mi piace confrontarmi con questa nuova genia di giornalisti che non riesco ad apprezzare”. Un atto di accusa veramente pesante, sicuramente verso i media ma anche, indirettamente, rispetto allo stesso Ministro.

Questi 5 esperti dovranno sostanzialmente amministrare 80 milioni di euro l’anno, ovvero la “fetta” di un 18 per cento della “torta” dei finanziamenti pubblici al cinema, considerando che il resto è destinato a logiche di finanziamento automatico, correlate a meccanismi tecnici e di mercato, ed anche agli sgravi fiscali. Non entreremo qui in merito alle logiche di “lottizzazione” politica, ma rimarchiamo che questa eletta schiera dovrà lavorare senza alcun onere per l’amministrazione pubblica: cioè… gratis! E qui si apre un altro (grande) capitolo delle logiche assurde di una qual certa surreale “spending review”, talvolta animata da moralismo pauperistico: ma perché cittadini così qualificati, professionisti e tecnici di livello, dovrebbero dedicare seriamente attenzione a dinamiche così delicate?! Soltanto per estremo… spirito civico?! Non è, anche questo…lavoro, e, come tale, non merita essere rispettato, nella importante funzione pubblica loro assegnata?!

Una delle più attive associazioni degli autori cinematografici, l’Anac (presieduta da Francesco Ranieri Martinotti), ieri ha diramato un comunicato stampa che crediamo riveli un’inquietante verità, in relazione alla nomina dei 5 “super-eroi” del cinema italiano: “l’aspetto sul quale in particolare rimangono forti i dubbi riguarda la modalità e i tempi con i quali potrà essere affrontata la mole di lavoro relativa all’analisi e alla valutazione delle centinaia di progetti di scrittura, sviluppo, produzione di corti e lungometraggi, nonché di distribuzione ed esercizio che saranno posti al vaglio degli esperti nelle diverse sessioni annuali. In particolare, ci si chiede come i cinque professionisti, per i quali non è previsto alcun compenso, possano leggere i tanti soggetti, sceneggiature e verificare gli altrettanti preventivi e piani finanziari che perverranno, a meno che non deleghino la selezione a soggetti esterni. Dalle informazioni che ci giungono in via informale sembra siano state depositate migliaia di domande nelle varie tipologie di sostegno selettivo, nelle sessioni pregresse. La grande quantità di domande e lo scarso tempo a disposizione dei commissari per la decisione rendono evidente il compito improbo in cui verranno a trovarsi. Il numero di cinque e la mancanza di un compenso per gli esperti sono alcuni vulnus della legge che l’Anac è stata la prima a rilevare, proponendo anche ragionevoli emendamenti, ma un’antica insensata logica, per la quale chi fa parte di commissioni ministeriali non debba percepire emolumenti, ha prevalso”. Conclude l’Associazione Nazionale Autori Cinematografici: “Siamo pertanto convinti che per garantire la possibilità agli esperti di lavorare al meglio vada rapidamente corretta la norma, al fine di evitare il rischio che gli stessi si ritrovino a ratificare analisi, scelte, valutazioni che per prevedibile causa di forza maggiore dovranno essere delegate ad altri, avallando procedure che non potranno garantire la necessaria trasparenza”.

L’episodio si commenta da solo. La denuncia dell’Anac è corretta. E conferma quel deficit di tecnicismo che caratterizza purtroppo buona parte della politica culturale italiana. Torneremo presto su queste dinamiche, a partire dalla confusione strategica della “Cinecittà Futura”.

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