Servizio pubblico

ilprincipenudo. La Rai tra inutili convegni e inadempienze del servizio pubblico

di Angelo Zaccone Teodosi (Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale - IsICult) |

Il dialogo fra Rai e Mibact è discontinuo e frammentario. Le trasmissioni di Viale Mazzini che mostrano interesse per la cultura sono una goccia nell’oceano.

Riteniamo che il bilancio di chiusura del “semestre italiano” di presidenza del Consiglio dell’Unione Europea non possa essere ritenuto esaltante e nemmeno soddisfacente: in particolare, per quanto riguarda media, tlc, cultura, turismo… non è stata messa in atto 1 azione 1 che sia concreta e significativa. Molte chiacchiere, le solite, e null’altro.

Sono state organizzate però molte occasioni convegnistiche, questo sì. Kermesse di cui, nella totalità dei casi, non resta alcuna traccia, se non nella memoria dei partecipanti, anche perché si spendono bei pubblici danari per organizzare le iniziative, magari per arricchirle di banchetti e finanche serate di gala, ma non ci si impegna a pubblicare tempestivamente gli atti, si rende (talvolta) disponibile la fruizione a distanza con lo streaming, ma quasi mai si consente una fruizione ex post con il download…

#ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz.
Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Sintomatico il caso di alcuni convegni, nei quali all’interno della elegante cartella di cartoncino (ad alta grammatura e spesso lussuosamente stampata), il partecipante non ha trovato altro se non il programma, magari le biografie dei relatori, e… un simpatico blocco per appunti (anch’esso ben stampato, con loghi e grafica dell’iniziativa). Da non crederci, ma questa è l’Italia della convegnistica 2.0, e delle sue compagnie di giro…

Anche su queste colonne, in più di un’occasione, abbiamo denunciato la sostanziale inutilità di buona parte di queste iniziative, al punto tale da pensare ad una filiazione della rubrica “ilprincipenudo”, che si potrebbe intitolare giustappunto “quanti-inutili-convegni”: la convegnite è una patologia tipica dei sistemi relazionali nei quali la fuffologia è strumento di autoconservazione di coloro che detengono alcune leve di potere. È anche uno strumento per consentire di assegnare un attimo di visibilità a personaggi che spesso non sono noti nemmeno alle comunità professionali di riferimento, e, in altri casi, per rinnovare le ritualità presenzialistiche di istituzioni, associazioni, lobby… Sono occasioni iconiche di passerella, non luoghi laboratoriali di autentica dialettica.

Anche la Rai, purtroppo talvolta (o spesso?!) casca in queste dinamiche. Giovedì 15 gennaio e venerdì 16, su due differenti (ma interagenti) fronti, il rischio fuffologico appare assai intenso.

Riteniamo che i convegni ed i seminari abbiano un senso, intellettuale e professionale e politico, se essi sono anche occasione di confronto accurato, informato, documentato: un convegno dovrebbe sempre basato, se non incentrato, su uno studio, su una indagine, su una ricerca, su un dossier, e comunque su una preliminare riflessione elaborata dai promotori dell’iniziativa e/o da coloro che vi partecipano. Di grazia, almeno un “paper”. In Italia, questo quasi mai accade (forse 1 volta su 10), e ciò evidenzia la debolezza, vacuità, finanche sostanziale inutilità (a parte la “funzione passerella” succitata) di queste iniziative.

Giovedì 15 in Rai si affaccia il Ministro dei Beni e le Attività Culturali e il Turismo Dario Franceschini, per la conferenza stampa di presentazione del nuovo programma “L’Italia: viaggio nella bellezza”. Intervengono anche il Direttore Generale della Rai, Luigi Gubitosi e la Direttrice di Rai Cultura, Silvia Calandrelli. Sarà l’occasione giusta per un’analisi critica ed un’elaborazione propositiva delle tante potenzialità che Rai ha, come possibile (pro)motore della cultura italiana?! Temiamo di no. Il dialogo tra Mibact e Rai è discontinuo, erratico, debole, frammentario. Sia consentito, Ministro caro e caro Dg: non basta una rondine per far primavera, o una piccola ennesima trasmissione “dedicata”. Così come Rai nulla o quasi nulla sta facendo per la promozione di una “cultura digitale”, ovvero della cultura del digitale (ne abbiamo scritto su queste colonne, provocando un appassionato dibattito), nulla o quasi sta facendo per la promozione della cultura tout-court.

Le trasmissioni Rai che mostrano interesse verso la cultura sono una goccia nell’oceano, nei flussi di “entertainment” e “fiction”, spesso di non eccellente qualità, della televisione pubblica italiana. Si tratta di un vero scandalo, ma tutti (o quasi) sembrano essersi rassegnati alla degenerazione di quella che dovrebbe essere una funzione primaria ed essenziale, e caratterizzante, del servizio pubblico.

Ci rendiamo conto – per esempio – che la sensibilità del “public broadcaster service” italiano verso il cinematografo ed il teatro si riduce sostanzialmente alle trasmissioni dell’ Immarcescibile Gigi Marzullo in orari da sonnamboli su Rai1?!

E che dire della (non) promozione della lettura e del libro, con buona pace dell’assonnata confindustriale Associazione Italiana Editori (Aie)?

D’altronde, Confindustria Cultura ha forse mai chiesto a Rai di avviare iniziative che stimolino la fruizione dei prodotti delle industrie culturali italiane e provochino una disseminazione dell’amore e del gusto per la cultura nei palinsesti della tv pubblica?

Non risulta.

E che dire delle arti altre, dalla danza alla lirica, e dei beni culturali e del turismo culturale, e – ancora – delle culture dei migranti e del multiculturalismo?! Zero assoluto, o quasi. E potremmo anche aggiungere che anche le culture delle comunità italiane all’estero sono completamente ignorate. Ignorate, come le tante culture plurali e variegate espressioni del “terzo settore”, dell’associazionismo sociale, del femminile, delle diverse abilità… La Rai non riesce ancora a “rappresentare” la ricchezza socio-culturale del Paese, e le sue infinite “diversità”.

Nulla di nulla, se non nelle artefatte statistiche della Rai stessa, prodotte anche per simulare il rispetto del “contratto di servizio” e dei suoi sfuggenti obblighi. Per esempio, secondo Rai, nell’anno 2013, ben il 9,4% del totale dell’offerta della tv generalista sarebbe stato composto da “programmi e rubriche di promozione culturale” (testuale), ma una lettura dettagliata di questa misteriosa “offerta” (titolo per titolo dei programmi) consentirebbe di scoprire alcuni giochi di classificazione degni di un mago della semantica ovvero di un perverso burocrate ministeriale…

Certo, c’è… Rai 5! La (piccola) foglia di fico per nascondere le (tante) vergogne di Viale Mazzini, inadempiente “servizio pubblico” rispetto alla funzionale culturale.

Nel simpatico fascicoletto in quadricromia e carta patinata curato dalla Direzione Marketing Rai (distribuito di anno in anno in allegato a “Prima Comunicazione” o altre testate specializzate), si ripropone una auto-esaltata rappresentazione delle tante attività Rai. Per quanto riguarda Rai 5, basti osservare che viene citata, nell’ultima edizione del fascicoletto (“2013 Un anno di Rai”) come record di ascolti, “La Traviata”, nella serata inaugurale alla Scala: ha conquistato (il 7 dicembre 2013) “ben” 655.000 spettatori (!!!). Diverte osservare che, se nel ricco (graficamente) fascicoletto si cerca lo share su base annua di Rai5, il dato non c’è: nell’intera giornata (fascia oraria 02.00-02.00), lo share dei canali Rai “specializzati” è complessivamente del 6,7 % (a fronte del 6,0 % delle reti specializzate Mediaset)…

Si legge che Rai Yoyo è a quota 1,3 %, Rai Premium all’1,1 %, Rai 4 e RaiMovie entrambi all’1 %, ma il dato di Rai 5 è… “non pervenuto”. Tutti gli operatori del settore sanno che è abbondantemente sotto la soglia dell’1%, ma forse meglio nasconderlo.

Riportiamo una inascoltata denuncia di Aldo Grasso, sul “Corriere della Sera”, il 24 settembre 2011: “Hanno chiuso «Passepartout», l’unica trasmissione culturale della Rai. Hanno dato il benservito a Philippe Daverio, come fosse una «badante» del sapere, ma nessuno è sceso in piazza a gridare contro l’oscurantismo, la censura, la libertà di pensiero. Nessuno ha evocato editti bulgari, ha parlato di «funerale del Servizio pubblico» o di «Italia del bavaglio», come a suo tempo era stato fatto per Michele Santoro e Serena Dandini.

Le agenzie stampa ricordano, in verità, un “appello” dell’allora Sottosegretario alla Cultura Francesco Giro (Governo Berlusconi IV, ministro era il dimenticato Sandro Bondi), ma anch’esso produsse un buco nell’acqua. Formalmente, il programma è stato interrotto per motivi amministrativo-burocratici, una delle conseguenze della decisione della Cassazione che ha imposto un riordino della gestione Rai, data la sua assoluta assimilazione ad un ente pubblico: veniva stabilito che i programmi debbono essere realizzati da risorse interne della tivù di Stato, ed era emersa una questione di “fungibilità”, perché il programma di Daverio era sì una invenzione Rai, ma prodotto da Vittoria Cappelli ed utilizzava ovviamente risorse esterne… Commentò sarcasticamente Daverio: “Se la Rai volesse rifare il programma, che è ancora formalmente di sua proprietà, dovrebbe indire una gara d’appalto: cercasi conduttore con il farfallino, sui 100 chili, che parli correntemente quattro lingue”.

Forse “Passpartout” non era esattamente “l’unica trasmissione culturale della Rai”, come scriveva Grasso, ma… quasi! Il resto è infatti disperso in programmi che vengono trasmessi in orari sepolcrali, rubriche ai margini del palinsesto: basti dare un’occhiata al portale web di Rai Cultura per rendersi conto di questa dispersione e frammentazione, e della totale assenza di una linea editoriale forte e decisa. La cultura, nelle strategie editoriali della Rai, è del tutto… accessoria. Al di là delle reiterate belle dichiarazioni di intenti.

Il caso del killeraggio dell’eccentrico “Passpartout” su Rai 5 è la punta dell’iceberg della disattenzione Rai verso la cultura, il contraltare della incredibile sopravvivenza del soporifero Marzullo su Rai 1. E ci risulta che Marzullo sia ancora, ahinoi, “capo struttura cultura” di Rai 1. Ciò basti.

E che dire, ancora, della promozione della cultura religiosa, monopolizzata da Santa Romana Chiesa?!

A proposito di cultura, e di culture, ovvero di una rappresentazione plurale e quindi pluralista della realtà (anche questo dovrebbe fare Rai, vero?!), merita essere segnalata una notizia ignorata dai più, rispetto all’equilibrio contenutistico cui pure Viale Mazzini sarebbe – sulla carta – tenuto: il 28 novembre 2014, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha respinto l’esposto che l’Uaar ha presentato nell’agosto dell’anno scorso contro Viale Mazzini.

Secondo l’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, la Rai viola il “contratto di servizio” (quale?!? verrebbe da domandare con tono beffardo: in verità, Uaar si riferisce al testo ancora “in gestazione”) perché nei suoi palinsesti la Chiesa Cattolica la fa da padrone (totalizzando quasi il 100% di presenze sul totale dei soggetti confessionali), e non vi è nessuno spazio dedicato alle opinioni atee e agnostiche: secondo l’Uaar, la tv pubblica viola il “contratto” che impone (suvvia… “impone”?!?) di rendere disponibile a ogni cittadino “una pluralità di contenuti, di diversi formati e generi, che rispettino i principi dell’imparzialità, dell’indipendenza e del pluralismo”, nonché di “avere cura di raggiungere le varie componenti della società, prestando attenzione alle differenti esigenze di tipo generazionale, culturale, religioso, di genere e delle minoranze, nell’ottica di favorire una società maggiormente inclusiva e tollerante verso le diversità”.

Agcom risponde che, in tema di pluralismo sociale, a differenza di quanto avviene per la comunicazione politica disciplinata (…) dalla legge sulla “par condicio”, non si rinvengono specifiche previsioni che impongono obblighi di tipo quantitativo in capo alla concessione pubblica. In secondo luogo, prosegue l’Agcom, il pluralismo “sociale” deve essere inteso principalmente come pluralismo di argomenti, di temi e di orientamenti che animano la società, temi che non sono nell’esclusiva disponibilità di alcun soggetto. “La valutazione in ordine alla completezza dell’informazione pertanto non può essere effettuata in base al tempo televisivo fruito da ciascun soggetto portatore di determinati interessi o al numero di presenze degli stessi, ma alla luce della completezza dei temi oggetto di informazione”.

Una risposta veramente alla Ponzio Pilato, ai limiti dell’incredibile, ma dall’Agcom questo ed altro ci si attende ormai. E peraltro va segnalato che – in verità – nei palinsesti della Rai una qualche presenza altra, rispetto a Santa Romana Chiesa c’è: su Rai Due, sono effettivamente  presenti due programmi dedicati a confessioni differenti da quella cattolica. Si tratta di “Protestantesimo”, curato dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, e “Sorgente di vita”, curato dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.

Sono peraltro due eccellenti trasmissioni, ma sono messe in onda in orari surreali, a settimane alterne… all’una di notte! E, in queste giornate particolarmente dolorose, sia consentito rimarcare che nulla v’è in relazione alla cultura islamica… Da segnalare, in argomento, un passaggio di quanto approvato dalla Commissione di Vigilanza Rai il 7 maggio 2014 (il parere sul contratto di servizio, appunto), in relazione al “pluralismo sociale e religioso”: la Rai dovrebbe “attivare uno specifico monitoraggio permanente, con l’obiettivo di garantire la parità di trattamento tra i diversi organismi operanti nell’ambito sociale e religioso”.

Bene, bravi, bis.

Correttamente, è stato scritto “dovrebbe”. Pio auspicio. Tanto Governo e Rai “si rifiutano”, ha spiegato a metà dicembre 2014 il Presidente Fico, di firmare il contratto, e quindi si tratta di parole scritte… sull’acqua. Temiamo che, anche se fossero scritti su carta, questi novelli obblighi, con protocollo ministeriale e ceralacca notarile, determinerebbero lo stesso evanescente risultato dei precedenti “contratti di servizio”. Che si sono rivelati grandiose dichiarazioni d’intenti, in gran parte disattese, anche perché – tanto – non esistono sanzioni per chi non rispetta il contratto, e l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni continua a vivere nella sua dimensione letargica, con monitoraggi sul pluralismo di dubbia efficacia, mentre la Rai butta molti danari in un sistema “Qualitel”, teoricamente alternativo all’Auditel, ma nella sostanza totalmente inutile… Ci limitiamo a ricordare anche la incredibile (un’altra incredibile…) vicenda degli obblighi in materia di quote di emissione ed investimento da parte delle emittenti televisive nazionali e del loro verosimile non rispetto, anche grazie ad un monitoraggio (a proposito di…) per la verifica del rispetto degli obblighi che resta chiuso (secretato?!) nei cassetti dell’Agcom…

Sarebbe bello se giovedì 15 gennaio qualche cittadino appassionato di cultura intervenisse in conferenza stampa, rompesse le uova nel paniere della rituale ovattata conferenza a Viale Mazzini, e domandasse a Franceschini e Gubitosi quali concreti risultati sono previsti – nei palinsesti soprattutto delle reti generaliste – dopo la rituale firma dell’annunciato “accordo di collaborazione della durata di tre anni, per la promozione e valorizzazione del patrimonio culturale e artistico italiano”.

Sulla carta, l’accordo prevede “programmi, documentari e prodotti multimediali che aiutino a conoscere e capire il patrimonio storico, artistico, archeologico e bibliografico italiano”.

L’indomani, venerdì 16, nuova iniziativa convegnistica, questa volta promossa direttamente da Rai. Annunciata in sordina, per ragioni incomprensibili, la notizia della kermesse è stata diramata un paio di giorni prima. Si legge nel comunicato dell’Ufficio Stampa Rai: “Un convegno dedicato all’offerta editoriale del Servizio Pubblico. Una giornata per analizzare e approfondire le modalità  con cui si concentrano Missione e valori del Servizio Pubblico, attraverso lo sviluppo di contenuti, canali, servizi e prodotti per la platea di riferimento.

Al convegno organizzato dalla Rai la Presidente Anna Maria Tarantola e il Direttore Generale Luigi Gubitosi hanno chiamato a confrontarsi i rappresentanti dei principali servizi pubblici europei, del mondo dell’informazione e della cultura. Sono  previsti tre panel principali all’interno dei quali si svilupperanno focus tematici.

Il primo, dal titolo Informare, Educare, Intrattenere, è dedicato allo sviluppo socio-culturale dei cittadini e prevede al suo interno un focus dedicato.

Il secondo si svilupperà attorno alla tematica Il Servizio Pubblico quale motore dell’Industria Creativa e Culturale con un focus su Cinema e Fiction.

Il terzo panel, Il Servizio Pubblico per la comunicazione e valorizzazione del Sistema Paese vedrà protagoniste le linee strategiche per supportare il Paese nella sua proiezione internazionale.

Aprirà i lavori la Presidente Anna Maria Tarantola. Le conclusioni dei lavori saranno affidate al Direttore Generale Luigi Gubitosi. Nella giornata interverranno tra gli altri Rémy Pflimlin, Presidente-Direttore Generale di France Télévisions; Francesca Unsworth, Vice Direttore Bbc News; Mons. Nunzio Galantino, Segretario Generale Cei; Glenn Killane, Managing Director Tv di Rte; Riccardo Luna, Digital Champion per l’Italia; Gabriele Salvatores, regista e sceneggiatore e Luca di Montezemolo, Presidente Alitalia-Etihad. Il convegno ”L’offerta del Servizio Pubblico” fa seguito ad un primo appuntamento che si è tenuto nell’ottobre scorso a Roma, dedicato alle migliori esperienze europee del Servizio Pubblico e che ha tracciato le linee guida per la costruzione del contesto normativo con riferimento a Missione, Indipendenza editoriale, Governance e sistema di finanziamento”. Fin qui, il comunicato stampa di Viale Mazzini.

Abbiamo quindi deciso di dedicare attenzione al programma dettagliato dell’iniziativa (vedi qui), e ci son veramente cascate le braccia.

Non entriamo nel merito della scelta di coloro che sono stati coinvolti come “discussant” ovvero propositori di “key note” (perché poi tutta questa anglofilia, cara Rai?! farà anche molto “moderno”, ma la Rai non dovrebbe essere – anche – difensore e promotore della lingua italiana?!), che pure non ci sembra rappresentino al meglio una visione plurale, dialettica, anticonformista delle delicatissime tematiche affrontate.

Quel che appare inquietante è la genericità teorica, la banalità ideologica, ovvero la debolezza strutturale delle argomentazioni (incluse le “domande chiave” che vengono proposte): degne di una tesi per un diploma di primo livello di un laureando a Scienze delle Comunicazioni!

D’altronde, va ricordato che Rai, da molti anni, per logiche connesse con spartizioni politiche e guerre interne tra correnti dirigenziali, ha smantellato il proprio Ufficio Studi, così come ha deciso di sopprimere quel laboratorio che per decenni aveva prodotto ricerche spesso di qualità, la collana editoriale della Verifica Qualitativa Programmi Trasmessi (Vqpt), poi evolutasi nella collana Zone. Quel poco di attività di ricerca realizzata dalla Rai è stato circoscritto alla Direzione Marketing (peraltro prevalentemente concentrata sul marketing tattico, di prodotto, e non sul marketing strategico), e già questa allocazione funzionale la dice lunga sulla deriva della tv pubblica italiana. Per quanto riguarda il rapporto con la società civile, si ricordi anche che, con Gubitosi-Tarantola, è stata sostanzialmente smantellata e comunque ridimensionata la struttura Rai del Segretariato Sociale, baluardo resistenziale di sensibilità retto per molti anni dal pugnace Carlo Romeo (poi dirottato come direttore generale della piccola controversa San Marino Raiotelevisione, di cui Rai è peraltro partner).

Basti osservare che viene ancora una volta richiamato, nelle argomentazioni (…) del convegno di venerdì 16 gennaio, il paradigma triadico “inform, educate and entertain”, evocato migliaia di volte in infiniti convegni. Basta! Senza nulla togliere ad una qual certa perdurante attualità del concetto coniato dal primo direttore generale della Bbc John Reith agli albori della radio, crediamo che… un piccolo sforzo propositivo, elaborativo, progettuale, e finanche un minimo di coraggio provocatorio, avrebbe potuto consentire ai promotori del convegno di proporre un’occasione di dibattito che – fin dal programma – si preannuncia a rischio di fuffologia, banalità, e noia. Speriamo che almeno Daverio (forse l’unico relatore eterodosso coinvolto nella kermesse Rai) riesca a smuovere le acque, che altrimenti si preannunciano chete e rituali, ovvero stagnanti.

Il convegno Rai si preannuncia come un “déjà vu”, e delude osservare – ancora una volta – il deficit di innovazione evidenziato dal duo Tarantola-Gubitosi (il cda, nella kermesse, sembra essere del tutto assente: spettatori passivi anche i dissidenti Tobagi e Colombo?!). E non è quel di cui avrebbe necessità la Rai, che così resta ircocervo, ambigua e debole perché irrisolta nel proprio profilo identitario. Anche perché, a fronte di questa debolezza autocritica e di questo evidente deficit di respiro strategico, sarà facile, per Renzi ed i suoi “boys”, venire con il machete a… “tagliare”. Ricordiamoci che aprile è annunciato come il renziano “mese della cultura e della Rai”. E, a questo punto, c’è da aver paura, veramente…

Ovviamente, non viene preannunciato nessuno studio, nessuna ricerca, nessun dossier, perché sicuramente nella cartella stampa e dei partecipanti al convegno non sarà messo a disposizione alcuno strumento serio di approfondimento cognitivo  e di analisi comparativa. Esattamente come avvenuto nel primo convegno promosso da Rai nell’ottobre 2014. L’Ufficio Stampa di Viale Mazzini può anche scrivere che è stato “dedicato alle migliori esperienze europee del Servizio Pubblico e che ha tracciato le linee guida per la costruzione del contesto normativo con riferimento a Missione, Indipendenza editoriale, Governance e sistema di finanziamento”, ma noi ci limitiamo a ricordare che, anche in quell’occasione, nella cartella del convegno, c’era… il vuoto spinto. Ci sembra di ricordare che ci fosse la biografia dei relatori ed anche un bel corposo block-notes bianco, ma con stampato il logo della Rai e dell’iniziativa (vedi supra).

Se questa è la modalità con cui Rai si auto-osserva ed osserva il mondo dei media, non c’è da stupirsi, in fondo, per il ritardo gravissimo che mostra rispetto alla migliore evoluzione dei “public media service” britannici, anglosassoni, tedeschi…