Key4biz

ilprincipenudo. CdA Rai, si riproduce la partitocrazia con le nomine del Parlamento

Angelo Zaccone Teodosi

Questa mattina, la Camera dei Deputati ed il Senato della Repubblica hanno eletto i 4 Consiglieri di Amministrazione previsti dalla legge Renzi di riforma della “governance” della Rai. 

Restano da eleggere altri 3 componenti del nuovo Cda (il numero complessivo è infatti sceso a 7, dai 9 che erano prima che intervenisse la legge di riforma del 2015), e saranno indicati in 2 dal Governo, ovvero palazzo Chigi e Mef, ed 1 dai dipendenti Rai (le elezioni si svolgono domani).

È prevedibile che, con l’indicazione dei 2 di propria pertinenza, il Governo tracci una linea divisoria, e dia una sorta di indicazione sul nome del nuovo Presidente e del nuovo Direttore Generale / Amministratore Delegato di viale Mazzini. Sarà il Cda nella sua interezza a scegliersi il Presidente, nome che poi dovrà passare per il voto della Commissione di Vigilanza, il cui neo presidente è il senatore Alberto Barachini (Forza Italia). Da segnalare che servirà il via libera di due terzi dei componenti della Vigilanza, affinché la nomina del presidente sia definitiva.

Questi i risultati, tra Senato e Camera.

Senato: a Palazzo Madama, sono state elette Beatrice Coletti (indicata dal Movimento 5 Stelle), con 133 preferenze, e Rita Borioni (indicata dal Partito Democratico), con 101 voti. Hanno raccolto consensi altri 4 candidati: Sebastiano Roccaro (5 voti), direttore generale dell’emittente locale Canale 8 Sicilia, il conduttore Michele Santoro (2 voti), Giuseppe Rossodivita, avvocato noto per essere stato il legale di Marco Pannella ed attualmente di Emma Bonino (1 voto), e la giornalista del Tg1 Claudia Mazzola (1 voto). Le schede “bianche” sono state 21, le “nulle” 31, su un totale di 320 senatori (315 eletti e 5 “a vita”). Hanno quindi votato 295 senatori su 320 aventi diritto di voto.  Il dissenso è quindi di 52 votanti, sul totale di 295 votanti, ovvero un buon 18 %..

Camera: a Monte Citorio, sono stati eletti Igor De Biasio (indicato dalla Lega, ma sostenuto anche dal M5S), con 312 voti, e Giampaolo Rossi (designato da Fratelli d’Italia) con 166 voti. Sono stati votati anche Renato Parascandalo (12 voti), Giovanni Minoli (11), Michele Santoro (7), Sebastiano Roccaro, (5 voti), e Giuseppe Rossodivita (5 voti). Da segnalare 4 i voti dispersi, 17 schede bianche, 39 nulle, per un totale di 59 voti, su un totale di 630 deputati, e 578 che hanno espresso il voto. Il dissenso è quindi di 52 votanti, sul totale di 578 votanti, ovvero un 9 %…

Entrano quindi nel Cda la manager televisiva Beatrice Coletti, la storica dell’arte e culturologa Rita Borioni, l’ex dirigente Rai Giampaolo Rossi, il manager Igor De Biasio.

Poteva andare peggio: alla fin fine, almeno 3 dei 4 eletti sono senza dubbio persone che possono vantare conoscenza ed esperienza del settore televisivo. Soltanto De Biasio sembra digiuno di televisione e mediale, ma è senza dubbio un dirigente d’azienda di livello (attualmente Direttore Commerciale dell’area “Emea” – Europa, Medio Oriente e Africa – di Moleskine, la celebre multinazionale di cartoleria alla moda).

Va quindi anzitutto osservato che il rischio diuna “deriva” di approccio manageriale è comunque latente, perché, dei 4 eletti, l’unico con un background umanistico è Rita Borioni, esperta di politica culturale, e con alle spalle l’esperienza del precedente consiglio di amministrazione.

Questa osservazione è importante, perché – con coscienza o meno – gli italici parlamentari danno così una indicazione precisa: una Rai “azienda” più che “istituzione”.

Ancora una volta, ci sembra che prevalga una ottica “di mercato” su un’ottica “di sistema”.

Crediamo che si tratti di un errore, perché “efficienza” ed “efficacia” (leggi sacre dell’economia aziendale) sono senza dubbio importanti ed essenziali, ma non sono sufficienti per definire le strategie della maggiore industria culturale nazionale, fondamentale per la democrazia stessa del nostro Paese.

Senza dubbio apprezzabile l’età “media”, bassa: De Biasio è del 1977, Coletti del 1969, Rossi del 1966, Borioni del 1965. La media è “1969”, e quindi si tratta un gruppo che potremmo definire di cinquantenni. Per come è fatta l’Italia (spesso governata da gerontocrazie), possono essere considerati “giovani”. Questo lascia presagire che vi possa essere una discreta sintonia valoriale-mediale (almeno per alcuni aspetti, ovviamente: per esempio rispetto alla alfabetizzazione digitale).

Le agenzie stampa registrano dichiarazioni per lo più rituali, e comunque curiosamente assai poche (almeno a distanza di un paio di ore dall’avvenuta elezione): per il Partito Democratico, apprezzamenti e complimenti – prevedibili – da parte di Andrea Marcucci (Capo Gruppo del Pd a Palazzo Madama) e Francesco Verducci (membro della Vigilanza Rai), e da parte dell’altro consigliere Rai che era “in quota Pd”, ovvero Franco Siddi (che è anche Presidente di Confindustria Radio Televisioni).  

L’elezione è una riprova del perdurante meccanismo di gestione partitocratica del potere.

L’elezione dei 4 membri del Cda è stata correlata ad un gioco di potere nella “spartizione” delle presidenze delle Commissioni parlamentari che “spettano” alle opposizioni.

Secondo la maggior parte degli analisti, il “patto tra maggioranza e opposizioni” sulle nomine parlamentari, Commissione di Vigilanza e Cda Rai e poi Copasir, avrebbe tenuto: la Vigilanza è andata a Forza Italia con Alberto Barachini, ex giornalista Mediaset, e il Copasir al Pd con Lorenzo Guerini, uomo di fiducia dell’ex segretario Matteo Renzi. 

Questa mattina, nelle sedute che hanno eletto i presidenti delle Commissioni di garanzia, per prassi in quota all’opposizione, sarebbe tutto andato andato secondo un “copione” (partitocratico) che è stato perfezionato nella notte. 

I parlamentari designati dagli accordi tra i gruppi sono stati eletti senza incidenti di percorso. Senza problemi, “quindi”, anche le votazioni di Camera e Senato per i 4 componenti del Cda Rai eletti dal Parlamento. 

Alla Vigilanza Rai, l’elezione più “movimentata”, in ragione del quorum dei 3/5 dei componenti richiesto per l’elezione del presidente nelle prime due votazioni: dopo le due tornate a vuoto, è divenuto subito chiaro che si sarebbe andati sul nome del forzista Alberto Barachini (subentrato in corsa, secondo i “rumors”, al collega di partito Maurizio Gasparri). Barachini è stato eletto al terzo scrutinio, con 22 voti, ovvero 1 in più del quorum necessario. Sul profilo di Barachini mantiene qualche riserva il Movimento 5 Stelle, come ha spiegato il senatore Gianluigi Paragone, che – a caldo – si è augurato che il neo presidente non faccia “gli interessi di Mediaset ma quelli degli italiani”. Da parte sua, Barachini ha chiesto ai colleghi, in particolare ai pentastellati (che comunque avevano votato scheda bianca), di essere “valutato sul merito”, ed ha aggiunto di volere “una Rai imparziale e radicata sul territorio”.

Critica la posizione di Liberi e Uguali (Leu), nelle parole di Nicola Fratoianni: “è come mettere un lupo a guardia di un gregge di pecore”. Duro ed iconico il giudizio di Pierluigi Bersani: “incredibile. Le famose opposizioni, Pd e Forza Italia, attribuiscono la presidenza della Vigilanza Rai a un uomo Mediaset. Siamo al… dadaismo puro. In altri tempi, avrebbe suscitato il finimondo. Capisco la necessità di fare accordi, ma c’è un limite: non puoi fare uno sfregio così alla Rai. Con tutto il rispetto per questo signore di Mediaset, persona degnissima, non esiste che prendi un uomo Mediaset, e lo metti alla Vigilanza Rai. Qualsiasi liberale, anche uno stracciatissimo liberale, non può accettare una cosa del genere“. Vice Segretari della Commissione di Vigilanza sono stati nominati Primo Di Nicola dei 5 Stelle, giornalista parlamentare di lungo corso, e il “dem” Antonello Giacomelli, già Sottosegretario alle Comunicazioni nei Governi a guida Matteo Renzi e Paolo Gentiloni.

Voce fuori dal coro… la Federazione Nazionale della Stampa ed il Sindacato dei Giornalisti Rai. Fnsi e Usigrai sparano a zero: “Siamo alla istituzionalizzazione del Conflitto di interessi. Affidare la Presidenza della Commissione di Vigilanza a un ex dipendente di Mediaset è un passo senza precedenti. Ricordiamo che la Vigilanza ha competenza sulla Rai, ma in generale su tutto il sistema radiotelevisivo, quindi anche sulla azienda del Presidente della Commissione. È incredibile che questo avvenga in un silenzio assordante”, sostengono Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, Segretario e Presidente Fnsi, e Vittorio di Trapani, Segretario Usigrai. “è una partita alla quale hanno partecipato tutti i principali partiti. Siamo oltre il Patto del Nazareno. Nelle ore delle nomine in Cda Rai, qual è lo scambio tra tutti i partiti? Qual è l’indicibile Patto sulla pelle della Rai Servizio Pubblico?”.

Conclusioni: poteva andare peggio! Sono state scelte 4 persone che possono vantare competenza ed esperienza, e nel nostro Paese non siamo sempre abituati a dinamiche simili, anche a livelli alti come quello che è qui in gioco (il futuro della Rai). 

Si conferma che il Parlamento non ha registrato alcuna sensibilità né vocazione innovativa rispetto ad esigenze di semplice buon senso (in un Paese normale), nella definizione della procedura per eleggere i consiglieri di amministrazione della Rai: valutazione comparativa dei curricula e confronto pubblico tra i candidati (su queste dinamiche, si rimanda all’articolo pubblicato ieri su “Key4biz”, “Cda Rai, chi c’era e cosa si è detto nell’unico incontro pubblico tra i candidati”). Silenzio assordante.

Ancora una volta, vince il “capitale relazionale”, oltre che la partitocrazia, bypassando trasparenza e meritocrazia.

Tutto è avvenuto – ancora una volta – nelle segrete stanze del potere, in quelle che un tempo si definivano “le segreterie dei partiti”. Anche la variabile “innovativa” delle votazioni su web, da parte del Movimento 5 Stelle, è sostanzialmente fasulla, dato che nessuno ha spiegato “chi” e “come” ha pre-selezionati i 5 candidati che sono stati sottoposti al voto digitale sulla piattaforma Rousseau

Nell’osservare le dinamiche delle elezioni, si registra anche un discreto “appiattimento” rispetto ai “diktat” dei capi di partito, con qualche “dissidente” in più alla Camera. In Senato, soltanto 9 voti “fuori dal coro”: il più votato, ma con solo 5 voti, Sebastiano Roccaro, ma vanno segnalate le 52 schede tra “bianche” e “nulle”. Alla Camera, in totale ben 43 voti dissonanti, con 12 a Renato Parascandolo, storico manager Rai e – soprattutto – umanista di livello (nonché attivista di Articolo21), e ben 59 “dissidenti” (tra schede nulle e bianche e voti dispersi). In sostanza, un 18 % dei senatori si sono mostrati in qualche modo dissidenti, a fronte di un 9 % dei deputati, ma soltanto una minima parte di loro ha espresso “nomi” alternativi: perché?! Proprio nulla di valido, tra i 236 curricula. Ma li avranno un pò letti – ci si domanda, senza “vis polemica” – o almeno sfogliati?!

Come dire?! Del dissenso c’è, ma appare silente e strisciante. Sommerso. Come mai, questa riduzione del pluralismo, ovvero almeno del pluralismo manifesto?! Non ci sembra un bel segnale. Così come non è stato un bel segnale che, nei mesi scorsi, nessun partito abbia ritenuto di promuovere un pubblico dibattito sulla Rai…

Sarà interessante osservare quale sarà ora il comportamento del Governo, se imporrà o meno l’annunciato “cambio di rotta”, per Viale Mazzini: e verso quale “rotta”?! E sarà importante vedere chi uscirà fuori “dalle urne”, domani, rispetto all’elezione del rappresentante dei dipendenti Rai in Cda…

La partita è soltanto all’inizio.

Exit mobile version