l'editoriale

Il governo Meloni e la “patata bollente” di Open Fiber. A rischio rete unica e PNRR

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Ci ritroviamo, oggi, con una situazione non più governabile. Ecco perché intervenire immediatamente e chiediamo al governo di far presto. Per evitare di dover intervenire a posteriori, come il MEF ha fatto con ITA. Sarebbe più elegante se il vertice di Open Fiber traesse le debite conclusioni.

Uno dei primi grattacapi dei dossier di politica industriale che il governo di Giorgia Meloni dovrà affrontare, insieme a quello di ITA, è il dossier sul disastro di Open Fiber.

La questione, già all’attenzione di tutti gli addetti ai lavori, è ormai diventata una “patata bollente” e costituisce un macigno da rimuovere sulla strada della “rete unica” e del rilancio delle telecomunicazioni italiane in Europa.

Si tratta di un dossier segnato anche da fondate preoccupazioni per i rischi connessi alla perdita dei fondi del PNRR. Allo stato dei fatti, anche se nessuno ne parla ancora, sarà per forza necessario rinegoziare i tempi del PNRR per le telecomunicazioni, un impegno che, ricordiamo, ammonta alla cifra monstre di oltre 5 miliardi

E non si potrà dare la colpa di questa situazione al nuovo governo Meloni che la eredita, visti gli incredibili ritardi di Open Fiber rispetto al proprio Piano industriale ed agli impegni non rispettati, quelli relativi alla concessione per le aree bianche per intenderci.

Già dal primo trimestre di quest’anno erano evidenti e documentati i ritardi e le difficoltà della gestione di Open Fiber, sotto la guida di Mario Rossetti, ma nulla è stato fatto fino ad ora, nell’ormai chiaro intento che i deludenti risultati potessero essere nascosti (come da un’enorme foglia di fico) con l’acquisizione della rete di TIM e la creazione della “rete unica”.

L’incapacità dello stesso management di portare avanti il Memorandum of Understanding (MoU) sottoscritto ha fatto il resto. E ci ritroviamo oggi con una situazione non più governabile. Ecco perché occorre intervenire immediatamente. Ecco perché chiediamo al governo di far presto. 

Per evitare di dover intervenire a posteriori, come il MEF ha fatto con ITA, sarebbe più elegante che il vertice di Open Fiber traesse le debite conclusioni.

Se ciò non accadesse temiamo che il governo dovrà intervenire con speditezza, nell’imbarazzo di tutti, e non potrà evitare di chiedere ai consiglieri di amministrazione a nomina CDP (Barbara Marinali, che ricopre anche la carica di Presidente, Roberta Battaglia ed Alessandro Tonetti) di fare il proprio dovere.

Ci domandiamo, infatti, cosa abbiano fatto fino ad oggi questi consiglieri di amministrazione per vigilare sull’attività dell’azienda. 

I casi sono due.

O sono stati informati dei ritardi dall’Amministratore Delegato e non hanno fatto nulla oppure non sono stati tenuti al corrente, il che non è meno grave. E ricordiamo che le nostre pagine sono sempre a disposizione di Open Fiber, dei suoi manager e dei suoi consiglieri di amministrazione per indicare ai nostri lettori a quale dei due casi si debba fare riferimento.

Avendo Open Fiber disatteso il proprio Piano industriale, vogliamo proprio sperare che a questo top management non venga data una nuova ingiustificata possibilità, visto che un nuovo Piano sarebbe comunque redatto a meno di un anno di distanza dal precedente, che è stato da essi stessi articolato. Ci chiediamo, molto banalmente, quale serietà e credibilità possa avere un Piano predisposto sempre dalle stesse persone. 

Ecco perché occorre intervenire. E subito.