Commento

Il Festival di Sanremo non è servizio pubblico. La Rai tradisce la sua funzione?

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Sono solo canzonette, non lo specchio del Paese. E Amadeus semplicemente un “entertainer”, non un “guru”, non un “capopopolo”. Con un cachet di 100.000 euro a serata: “servizio pubblico”, anche questo?

Il Festival di Sanremo non è servizio pubblico.

Abbiamo piena coscienza che questa tesi appare eccentrica e controcorrente, ma d’altronde chi cura per IsICult la rubrica “ilprincipenudo” per il quotidiano online “Key4biz” ha fin dalla nascita definito la rubrica “ragionamenti eterodossi di politica culturale e di economia mediale”, e non può non rispettare quella “mission” istituzionale: proporre letture fuori dal coro, e, nel caso in ispecie, il coro è rappresentato dalla enorme e fastidiosa grancassa mediale che ruota intorno al Festival di Sanremo, giunto alla sua edizione n° 73, in onda da martedì 7 febbraio fino a sabato 11 febbraio 2023.

Chi redige queste noterelle è di mestiere ricercatore mediologico e culturologico specializzato sulle industrie culturali e creative, un sociologo ed un economista prestato all’analisi critica dell’immaginario e soprattutto delle sue caratteristiche strutturali (economia e tecnologia): non può esimersi dalla visione di un “testo di riferimento” qual è il Festival di Sanremo, esempio classico di una delle tante forme della “cultura pop”, in un approccio inevitabilmente post-moderno. Senza dover rileggere Jean Baudrillard o Guy Debord o Umberto Eco

Abbiamo quindi dedicato la nostra attenzione alle prime due serate del Festival, e, poi, entrati in overdose, ieri sera (giovedì 9) ci siamo dedicati ad altro, ma oggi abbiamo analizzato criticamente la ricaduta mediatica (rassegna stampa sulla carta stampata e su web) anche della terza serata, e si ha conferma di quanto prevedevamo.

La invadente quantità di pubblicità durante il Festival. Ed il masochismo della Rai, accogliendo Sky, Netflix, Amazon, Paramount…

Alcune premesse di “cornice”: si tratta di un programma televisivo inzeppato di pubblicità, e già questo elemento cozza con quella che dovrebbe essere la missione di un servizio pubblico mediale.

La televisione pubblica (così come la radio pubblica, così come le piattaforme web pubbliche) non debbono essere caratterizzate dalla pubblicità. Non si tratta di essere integralisti, basta guardare a quello che resta il miglior esempio di servizio pubblico mediale al mondo, qual è la Bbc.

Abbiamo più volte posto questa domanda retorica: lo Stato permette forse alle aziende farmaceutiche di riempire le pareti dei pronto soccorso o degli ospedali con cartelli pubblicitari che promuovono la medicina alfa o la medicina beta?! No. E semmai avvenisse il contrario, più di un cittadino griderebbe allo scandalo, alla invadenza della dimensione commerciale nella dimensione sociale…

Nella radiotelevisione pubblica italiana, invece, questa pratica è diventata sempre più invadente, dopo quella fase timida e discreta rappresentata da “Carosello” (che fu anche un bel laboratorio di creatività audiovisiva), ovvero il ventennio che va dal 1957 al 1978, l’avvento sul mercato italiano delle televisioni commerciali ha determinato che anche la Rai si inginocchiasse di fronte agli investitori pubblicitari… Senza dubbio la televisione pubblica trasmette meno pubblicità delle emittenti concorrenti – grazie a limiti imposti per legge (dal 2023 un “tetto” del 6 % nella fascia oraria che va dalle 18 alle 24) – ma durante il Festival di Sanremo l’affollamento di spot è estremo, e la Rai non si distingue, in questo, di fatto, dai suoi concorrenti.

È estrema anche la confusione che viene imposta da forme pubblicitarie indirette, con investitori che inquinano la trasmissione, con innesti come quelli di Plenitude alias Eni o di Costa Crociere o Poltronesofà, ancora, e, ancora più grave – masochisticamente paradossale – l’intervento di concorrenti come Sky Italia ed ancor più di piattaforme streaming come Netflix e Prime Video e di Paramount+.

Quest’ultima, in particolare, propone uno spot originale e divertente, che rimette in scena quelle che un tempo erano giustappunto le “annunciatrici” della Rai: come dire?! Oltre al danno commerciale anche la beffa simbolica! Per chi vuole approfondire l’analisi dell’offerta pubblicitaria, si rimanda all’articolo di Marco Bartolo, pubblicato oggi sulla testata specializzata Engage”, dal titolo “Tutti gli spot pubblicitari di Sanremo 2023”. Si legge, “28 brani in gara e una raffica di spot pubblicitari”. Una vera raffica, tale da far stramazzare al suolo il povero telespettatore.

Accordo occulto tra Rai e Facebook Meta?

E che dire ancora dell’incredibile promo di Ferragni, durato molti minuti, per convincere Amadeus ad aprire un suo profilo su Instagram? Come ha scritto oggi il sempre acuto Marco Zonetti (direttore di “VigilanzaTv” e neo-collaboratore di Dagospia): “torniamo quindi a domandare: la Rai e la Meta di Zuckerberg hanno forse siglato un accordo economico per questa preziosissima pubblicità, fatta alla piattaforma Instagram di fronte a milioni di spettatori, oppure, di fatto, la Tv pubblica pagata dal canone dei cittadini sta facendo un’immensa pubblicità gratuita a un’azienda privata? Auspichiamo venga fatta chiarezza prima di sabato sera”. Siamo sicuri che “chiarezza” non verrà fatta. Se c’è un accordo, non è pubblico. E certamente, anche in questo caso, non si tratta esattamente di “servizio pubblico”.

Non interessa, in questa sede, analizzare l’economia del Festival, perché il discorso che qui poniamo è mediologico e sociologico, istituzionale e politico. Altri meglio di noi propongono letture interessanti della dimensione economica: ci limitiamo a rimandare all’accurato articolo di Andrea Biondi e Francesco Prisco, sul quotidiano confindustriale “Il Sole 24 Ore”, nell’edizione del 5 febbraio, ovvero “Sanremo 2023, l’economia del Festival: dal giro d’affari al budget”. Si stima una “raccolta” di 50 milioni di euro, in netta crescita rispetto ai 42 milioni dell’edizione 2022.

Non entriamo più di tanto nel merito del conduttore: non vogliamo infierire su Amadeus, un personaggio che incarna perfettamente il concetto di banalità, con un uso ridondante delle aggettivazioni. Ci piacerebbe affidare ad uno stagista la conta di quante volte abbia pronunciato parole come “meraviglioso”, “fantastico”, “eccezionale”, “magnifico”, con un compiacimento autoreferenziale degno di un narcisista patologico…

E che dire della “numerologia” sempre evocata, come se la qualità di un brano musicale dovesse essere misurata esclusivamente con i dati di vendita di cd e streaming?! Come se fosse soltanto la dimensione quantitativa quella a poter misurare il “successo” di un cantante…

E che dire del tentativo di innestare nel dominio del commerciale un qualche segno di intelligenza civile e di lettura critica della realtà?!

Il Roberto Benigni “mattatore” che ripropone una sua lezioncina sulla Costituzione, o la Chiara Ferragni “influencer” che sale in cattedra per teorizzare l’elogio dell’ego ribelle contro i conformismi del successo rappresentano le foglie di fico su un programma televisivo che potrebbe tranquillamente andare in onda sulle reti Mediaset o Sky.

E, quindi, la domanda che sorge naturale è: perché Sanremo viene prodotto dalla Rai? Quegli innesti di “sensibilità” sociale potrebbero essere proposti anche dai suoi concorrenti.

E stendiamo un velo di penoso silenzio sulle isteriche reazioni della “politica”, rispetto alle “provocazioni” del rapper Federico Leonardo Lucia alias Fedez o di Manuel Franco Rocati alias Rosa Chemicalgender fluid”: Sanremo è una kermesse di spettacolo e di musica commerciale, e come tale dovrebbe essere trattata, non come una cartina di tornasole della società italiana (che – grazie agli dèi – è ben più differenziata e plurale di quel che il palco del festival vorrebbe “rappresentare”).

Il Festival di Sanremo non è un laboratorio sociale e politico: è, e deve (dovrebbe) restare, un festival di canzonette

Il Festival di Sanremo non è un laboratorio sociale e politico: è, e deve (dovrebbe) restare, un festival di canzonette. D’accordo – parafrasando Edoardo Bennato – non “sono solo canzonette”, ma nemmeno si tratta di novella camera del Parlamento (per quello, Rai già ci propina il “salotto” improprio di Bruno Vespa).

Amadeus (nome d’arte di Amedeo Umberto Rita Sebastiani) è semplicemente un “entertainer”, non un “guru”, non un “capopopolo”. Elevarlo a ruolo di sacerdote della comunità sociale nazionale, significa credere nella religione del consumismo e del conformismo del capitalismo digitale… E non entriamo nel merito del suo cachet, che è nell’ordine di 100.000 euro a serata. “Servizio pubblico”, anche in queste dinamiche??? Da annotare una odierna sortita del Vice Premier Matteo Salvini (parlando con i cronisti a margine di un sopralluogo al cantiere delle Olimpiadi di Milano-Cortina): “il tema Rai non è Sanremo, ma il debito, il costo e qualche stipendio multi milionario che secondo me andrebbe rivisto… Il tema della Rai è anche il ruolo degli agenti, degli esterni, visto che la televisione è servizio pubblico”, ha concluso. Ci piacerebbe comprendere meglio cosa intenda Salvini per “servizio pubblico” e come intenda affrontare “il tema Rai”.

Non crediamo che il Festival sia “lo specchio” della società italiana (non riteniamo possa né debba esserlo), ma semmai una sua rappresentazione deformata, buonista e conformista.

Le “diversità” che il Festival propone sono semplicemente espressioni di un pensiero unico omologato: sono la rappresentazione di una società apparentemente plurale, ma in fondo subordinata al sistema valoriale della merce. E l’invadenza dei messaggi pubblicitari nella trasmissione conferma questa ibridazione patologica e patogena tra il “sociale” ed il “commerciale”.

Il Festival di Sanremo non è servizio pubblico, così come non sono di servizio pubblico la gran parte dei programmi televisivi offerti da Viale Mazzini. Sono la ri-produzione di quel che il mercato televisivo nazionale sarebbe in grado (è in grado) di offrire: se la kermesse venisse cancellata dai palinsesti della Rai, nessuno ne sentirebbe particolare mancanza, ed il mercato produrrebbe qualcosa di assolutamente simile (non si tratta, infatti, di “servizio pubblico”). Di fatto, già lo offre: basti pensare alla qualità di un “X Factor” su Sky.

Michela Tamburrino su “La Stampa” di oggi rilancia la notizia che il Festival potrebbe non necessariamente andare in onda sulla Rai, dall’edizione 2024: “pende sul futuro Rai la minaccia di «esternalizzazione». Oltre alle prove di produzione dell’agente Presta, una cordata alternativa composta da imprenditori e discografici avrebbe già mandato una lettera con un’offerta ufficiale al Comune, che potrebbe cambiare la storia del Festival anche perché la convenzione con la Rai scade nel 2023”.

Perché il Presidente della Repubblica ha sentito l’esigenza di impartire la sua benedizione istituzionale al Festival di Sanremo?

E ci ha stupito, molto stupito, l’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: perché ha ritenuto di presenziare (così benedicendola ai massimi livelli istituzionali) una manifestazione che è senza dubbio “nazional-popolare”, ma è anche assolutamente banale e conservatrice, conformista nel suo presunto anticonformismo?! Il Presidente Mattarella ha così “benedetto” anche il regista “occulto” del Festival, quel potentissimo rappresentante di artisti che risponde al nome di Lucio Presta (che ha nella sua “scuderia” sia Amadeus sia Benigni e finanche – secondo alcuni maligni – Matteo Renzi), oltre al “dominus” della kermesse, il Direttore Intrattenimento Stefano Coletta. Va comunque segnalato che Mattarella ha lasciato l’Ariston subito dopo il lungo (ed in verità anche un po’ noioso, a parer nostro) intervento di Benigni.

Ha scritto ieri l’altro Marzio Breda sul “Corriere della Sera”, rispetto al Presidente che assiste allo show del comico (questa volta, assai poco comico in verità): “riflessioni in cui Mattarella si è di sicuro identificato se non altro perché le ripropone di continuo, ad esempio quando parla del conflitto in Ucraina o del rischio di censure ai giornalisti. In questo senso è valsa la pena, per lui, approvare la trasferta sanremese. Un inedito, per il suo modo di stare sulla scena pubblica, anche se in passato non sono mancate inusuali scelte pop dei presidenti. Basti pensare al Pertini che riceveva a Palazzo gli autori della rivista satirica Il Male o il sulfureo fumettista Andrea Pazienza”. Non condividiamo il pensiero di Breda, perché è ben altro “benedire” una kermesse come Sanremo andando all’Ariston, piuttosto che invitare artisti e intellettuali anticonformisti al Quirinale… E non ci sembra che mai un Presidente della Repubblica sia intervenuto in presenza alla premiazione dei David di Donatello (considerato il maggior premio del cinema italiano), per esempio.

E che dire dell’entusiasmo dell’Amministratore Delegato della Rai Carlo Fuortes che ha così commentato: “il mio grazie va al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha nobilitato con la sua presenza il debutto di questa edizione, richiamandoci ai valori fondanti della nostra Costituzione e a Roberto Benigni che se ne è fatto magistrale interprete. E grazie ad Amadeus e a tutta la squadra Rai, per aver regalato al Paese una grande pagina di tv e di passione civile”.

Non possiamo credere a quel che leggiamo: “una grande pagina di televisione”? (…) “una grande pagina di passione civile”?! Comprendiamo la necessità del traballante amministratore di Viale Mazzini di ingraziarsi la massima carica dello Stato, ma qui si supera il limite del ridicolo tollerabile. Fuortes avrà certamente interpretato anche le sortite identitarie della Chiara Ferragni o di Francesca Fagnani sulle carceri minorili come pagine di alta letteratura di impegno sociale. Ma per favore…

Assurde inversioni di ruolo e veri e propri spiazzamenti del senso: la politica inginocchiata davanti allo spettacolo?

E ci ha stupito l’appello manifestato ieri dal titolare del Collegio Romano, ovvero il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano che chiede ad Amadeus di manifestare sensi di interesse mediatico rispetto alle foibe ed alla Giornata del Ricordo?!

Un Ministro della Repubblica che domanda al super-conduttore televisivo di innestare nella sua trasmissione un qualche segnale di sensibilità rispetto ad una tematica rispetto alla quale il servizio pubblico mediale si è finora dimostrato complessivamente inadempiente?! Paradossale!

Ci sembra di assistere ad assurde inversioni di ruolo ed a veri e propri spiazzamenti del senso.

La politica inginocchiata davanti allo spettacolo.

Non ci sembra un gran bel spettacolo.

Giorgia Meloni sul “caso Zelensky” a Sanremo: la politica “non entra” nel Festival?

E come commentare la sortita odierna del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che ha sostenuto in conferenza stampa a Bruxelles rispetto al “caso Zelensky”? “Non è mai facile far entrare la politica in una manifestazione come Sanremo, anche se poi ci entra dentro. Io avrei preferito che ci fosse, dispiaciuta che su un tema del genere ci sia stata polemica, ma ho apprezzato la scelta di Zelensky. E i nostri rapporti non sono alienati”, le parole di Meloni in conferenza stampa a Bruxelles.

E, sull’argomento, ulteriore (odierna) spiegazione di Amadeus: “mai sentita nei miei quattro Festival nessuna pressione politica. La vicenda di Zelensky è chiara a tutti. Avete visto l’intervista di Bruno Vespa che ha parlato con il Presidente chiedendo se avesse il desiderio di andare a Sanremo, lui ha detto di sì. L’idea era quella di un videomessaggio. Io ho chiesto le modalità della presenza del Presidente e mi avevano parlato di un video. L’Ambasciata dell’Ucraina, con la quale siamo stati in contatto più volte, ha fatto sapere il desiderio del Presidente di intervenire con una lettera. Abbiamo lasciato totale libertà di scegliere la modalità più idonea”. Così Amadeus, dopo il commento della premier Meloni sulla presenza di Zelensky al Festival. La Rai ha ribadito, tramite il Direttore dell’Intrattenimento Prime Time Stefano Coletta, l’assoluta libertà di scelta data a Zelensky e all’Ambasciata sulla definizione della partecipazione. L’intervento è previsto durante la finale di Sanremo 2023. Delucidazioni sul testo che Amadeus leggerà arriveranno nella giornata di domani sabato 11…

Nel mentre, nessuno (ribadiamo: nessuno) sembra interessarsi del “contratto di servizio” tra Stato e Rai, e nemmeno della ancora non costituita Commissione parlamentare bicamerale di Vigilanza (si veda il nostro ultimo intervento su questi temi, su “Key4biz” del 3 febbraio 2023, “Mic, Siae e Rai: si conferma il deficit di approccio sistemico al governo della cultura”).

Qualcuno sostiene “se ne parlerà… subito dopo le elezioni regionali di domenica e lunedì”.

Qualcuno sostiene: “se ne parlerà… subito dopo Sanremo”.

Appunto. La politica subordinata allo spettacolo.

Addenda: torneremo, a freddo, la settimana prossima, sul Festival e sulla sua economia, semantica e politica…

(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”