L'analisi

Il doppiogioco della Cina, rinnovabili in casa, carbone nei nuovi BRICS

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Nel 2024 la capacità energetica dei BRICS è per la prima volta dominata dalle rinnovabili, ma la Cina continua a finanziare massicciamente impianti a carbone nei nuovi Paesi membri.

Nel 2024 i BRICS (Brasile, Russia, Cina, India, Sudafrica) hanno superato per la prima volta un punto di svolta simbolico e strategico: le fonti fossili non rappresentano più la maggioranza della loro capacità energetica complessiva. Un traguardo trainato dall’espansione delle energie rinnovabili in Cina, India e Brasile, soprattutto nei settori solare ed eolico. Ma dietro questo dato incoraggiante si nasconde una contraddizione clamorosa, che ha un nome ben preciso: la Cina continua a investire massicciamente nel carbone.

Mentre Pechino guida la transizione con installazioni record di fotovoltaico ed eolico sul proprio territorio, all’estero, soprattutto nei nuovi Paesi membri BRICS, il gigante asiatico finanzia e costruisce centrali a carbone e impianti a gas. Una strategia energetica a due velocità, che pone interrogativi sulla reale coerenza climatica della leadership cinese nel Sud globale.

Il carbone non molla la presa: 94% dei nuovi impianti è nei BRICS

Secondo i dati del Global Energy Monitor (GEM), ben il 94% della capacità globale di centrali a carbone in fase di costruzione o pre-costruzione è oggi localizzato nei Paesi BRICS. E il dato più rilevante è che l’88% dei nuovi impianti a carbone nei Paesi BRICS emergenti è finanziato o costruito da imprese statali cinesi.

L’Indonesia è l’esempio più eclatante: qui la Cina sta supportando la costruzione di 8,6 GW di nuova capacità a carbone, soprattutto per alimentare l’industria estrattiva. In Kazakistan, Malesia, Uzbekistan e Nigeria lo scenario si ripete: centrali fossili in cantiere con marchio cinese, spesso realizzate tramite la Belt and Road Initiative (BRI).

Rinnovabili sì, ma solo sulla carta: costruzioni ferme al palo

È vero che i nuovi Paesi BRICS, entrati nel gruppo nel 2024, hanno formalmente abbracciato l’obiettivo net-zero tra il 2050 e il 2070. Ma la realtà operativa racconta altro: su 139 GW di capacità da fonti non fossili pianificati, solo il 7% è attualmente in costruzione. In confronto, il 44% dei nuovi impianti a carbone e il 26% di quelli a petrolio e gas sono già in fase esecutiva.

La transizione energetica rischia così di restare una dichiarazione d’intenti, mentre nei fatti prevalgono ancora modelli energetici ancorati ai combustibili fossili. Emblematico il dato sulla capacità eolica e solare utility-scale: nove dei dieci nuovi membri BRICS hanno meno di 0,3 GW in costruzione in questi settori.

La doppia agenda di Pechino: rinnovabili in casa, carbone all’estero

Il ruolo della Cina è centrale. Secondo GEM, su 35 GW di progetti energetici attualmente in costruzione nei nuovi BRICS, il 62% coinvolge aziende statali cinesi, in qualità di costruttori o finanziatori. La presenza cinese è dominante in particolare nell’idroelettrico (93%) e nel carbone (88%).

E mentre la Cina investe internamente in rinnovabili a ritmi record, superando nel 2024 l’intero Occidente in capacità installata, i suoi investimenti esteri seguono tutt’altro percorso. Nella Belt and Road Initiative, oltre un terzo dei progetti dell’ultimo decennio nel settore energetico ha riguardato combustibili fossili, con l’Indonesia come maggiore beneficiaria.

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