l'analisi

Il Coronavirus nel Paese delle meraviglie digitali: “Non siete altro che un mazzo di carte”

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Proviamo a fare il punto su ciò che è accaduto intorno a noi, in una carrellata di azioni e omissioni che denotano perfettamente lo stato di desolazione e di nonsense digitale in Italia.

Abbiamo scoperto durante questi drammatici giorni che il reale stato di digitalizzazione di un Paese si misura proprio nei periodi di emergenza. Non si toccano con le dita i sempre poco rassicuranti dati DESI che ci riguardano se non ci si confronta con l’attualità che renderebbe indispensabile, adesso, una reale e robusta strategia digitale a disposizione del Governo e dell’intero Sistema Paese. E purtroppo gli effetti delle azioni governative, nonostante lo storytelling che pervade il dibattito sul digitale negli ultimi anni, sono stati ultimamente a volte esilaranti, a volte devastanti. 

Proviamo a fare il punto su ciò che è accaduto intorno a noi, in una carrellata di azioni e omissioni che denotano perfettamente lo stato di desolazione e di nonsense digitale in cui ormai siamo invischiati.

La caduta nella tana del bianconiglio ovvero il data breach del sito INPS 

Come non iniziare dal data breach vissuto da INPS? La situazione è stata gestita in modo tragicomico. Prima ci si è resi conto che il sito andava a rilento per i numerosi (e prevedibilissimi) accessi, poi si è appreso con inquietudine che alcuni utenti, inserendo i loro dati identificativi, accedevano a profili utenti altrui. In pochissimo tempo c’è stata una diffusione di dati personali e prese in giro sui social dagli effetti piuttosto imbarazzanti, sino a quando – dopo parecchie ore – il reparto INPS di gestione delle procedure di sicurezza informatica (ci sarà almeno questo nell’organigramma funzionale?) ha deciso di impedire l’accesso al sito, dedicandosi finalmente alla sua manutenzione. Fino a quando sia il presidente INPS e sia addirittura il presidente Conte si sono avventurati in esilaranti spiegazioni di quanto successo attribuendone la colpa a imprecisati hacker. I quali immediatamente hanno risposto picche.

Sarà educativo capire cosa poi è stato notificato al Garante per la protezione dei dati personali e cosa il Garante risponderà nel merito, considerato che, da quanto si è appreso, l’INPS in queste circostanze così delicate fosse sprovvista di un proprio DPO.

Ora insistere sull’argomento è come sparare sulla Croce Rossa, ma di certo non si è fornita una prova solida di digitalizzazione all’italiana. E l’emergenza non può essere una scusante.

Il dialogo con il cappellaio matto ovvero l’“autocertificazione” in analogico

E sempre per comprendere pienamente lo stato in cui versa attualmente il Paese dal punto di vista digitale, lo scenario è ben illustrato dal singolare modus operandi in materia di “autocertificazioni”. Ovviamente faccio riferimento alle dichiarazioni sostitutive di atto notorio rese disponibili dal ministero dell’interno in varie versioni (ormai si è perso il conto) da stampare e recare con sé in caso di controlli. Si è provato invano a spiegare che sarebbero possibili procedure digitalizzate e che avremmo una normativa teoricamente all’avanguardia al riguardo, ma non ci sono state risposte. Salvo arrivare a una dichiarazione di qualche giorno fa della ministra Pisano (intervistata da Radio 24), in cui ci assicurava che da una parte potevamo essere sereni sulla capacità dell’INPS di gestire la procedura di richiesta bonus (…) e dall’altra ci informava che “sarebbe interessante riuscire a fare un’autocertificazione che si lega a Spid, quindi all’identificativo digitale unico, in modo da sapere a chi appartiene l’autocertificazione”. Sarebbe interessante, quindi, e da fare al prossimo virus?

Un lago di lacrime ovvero le graduatorie ai nastri di partenza cartacei

E arriviamo alla ministra Azzolina che come sappiamo con candore ha annunciato l’attuale incapacità ministeriale di gestire le graduatorie che son tutte riversate su procedure rigorosamente cartacee (e il loro aggiornamento, infatti, è slittato con il Decreto Scuola al prossimo anno). Per arrivare poi all’incredibile decreto della Corte dei conti del 1 aprile 2020 (contenente le regole tecniche ed operative in materia di svolgimento delle udienze in videoconferenza e firma digitale dei provvedimenti del giudice nei giudizi dinanzi alla Corte dei conti) che finalmente nell’art. 5 – grazie al coronavirus – rende superfluo il deposito di copie cartacee degli atti processuali (ma finita l’emergenza tutto tornerà spensieratamente come prima?).

I consigli di un brucaliffo: ovvero la salvezza nelle infallibili task force

Ma pur in un lago di lacrime per l’incredibile e paradossale situazione, abbiamo poi scoperto che per l’occasione c’è chi è pronto a immolarsi per la nostra salvezza. Faccio riferimento ovviamente alla nuova task force di esperti, (anzi un vero e proprio plotone di valorosi eroi), pronta a interessarsi – non si sa bene neppure per quanto tempo – dei vari ambiti del digitale in un patchwork d’emergenza, tra cui valutare l’affidabilità di ricette miracolose per tracciarci. 

In poche parole, dopo un paio di mesi dall’inizio della pandemia, il nostro Sistema Paese si è accorto che ci sono le app di tracciamento usate in altri Stati per combattere il virus. Quindi, con calma, è stato realizzato un improvvisato “bando pubblico” per selezionarne più di 700. Quindi, in perfetta sospensione del FOIA e della trasparenza (è successo anche questo durante lo spensierato stato di emergenza che attraversiamo), è stata costituita una commissione di 74 (settantaquattro) esperti (alcuni in passato si sono distinti come valorosi paladini della trasparenza) che solo per mettersi d’accordo e comunicare tra loro impiegherebbero settimane (ammesso che siano stati realmente nominati per fare qualcosa) . 

Intanto il contagio (incrociando le dita) sembra diminuire. Per fortuna, perché dipendesse dalle app e da questa task force staremmo ancora ad aspettare una “soluzione”…per non parlare poi degli intricati aspetti di sicurezza informatica che riguardano la delicata questione del tracciamento a tappeto, ma nell’elenco degli oltre 70 espertissimi esperti – selezionati non si sa come (ma siamo in emergenza e la trasparenza – come la protezione dei dati personali – è di impiccio) – manca proprio un esperto di sicurezza digitale. 

Ma non basta. Pochi giorni fa è arrivato un altro decreto che costituisce un’ulteriore  Task Force che raccoglie un nuovo e luccicante elenco di persone, le quali dovrebbero discrezionalmente valutare le “fake news” che ai tempi del coronavirus sono in pericoloso aumento. Anche questa volta non si sa secondo quali criteri si muoverà il drappello di valorosi condottieri, né si conoscono i parametri di selezione. Si sa solo che queste Task Force si muovono “pro bono”

Non si comprendono sinceramente l’utilità di tali tavoli che si ostinano a propinarci quasi a voler giustificare che su certi argomenti si faccia qualcosa in modo da rilasciarci un “contentino” per mettere a tavola (ipocritamente “gratis”) un po’ di amici degli amici degli amici[1].

Mi permetto due considerazioni in merito a queste Task Force che nascono come funghi nell’ultimo periodo:

1) le Commissioni, i Tavoli di lavoro, le “task force”, gli Osservatori, dovrebbero sempre prevedere un equo compenso per le professionalità coinvolte che andrebbero selezionate in modo trasparente e coinvolte in progetti sensati, basati su strategie definite e a lungo termine, non costruite sul sensazionalismo del momento. Inoltre, chi vi partecipa dovrebbe garantire imparzialità ed equidistanza da suoi interessi personali nella gestione di interessi pubblici. Chi si occupa poi della cosa pubblica con incarichi remunerati dovrebbe necessariamente mettere da parte i suoi interessi diretti e indiretti su studi professionali o società. Qualcuno lo fa?

2) ho letto che Mentana pubblicamente via twitter ha richiesto a David Puente di lasciare la Task Force sulle fake news. E questo mi fa paura ancor di più perché David Puente – di cui nessuno discute la competenza, sia chiaro – ha deciso di rimanere nella task force, ma previo parere positivo del suo editore. Che garanzie abbiamo se è sufficiente un editore a decidere cosa possono fare o non fare determinati esperti che dovrebbero invece garantire piena autonomia e indipendenza in ruoli dai quali dovrebbero dipendere diritti fondamentali e costituzionalmente garantiti, come la libertà di espressione e la libertà di stampa?

La partita a croquet della Regina ovvero giochiamo a cambiare la Costituzione ai tempi di Internet?

E infine ho appreso della proposta del presidente Conte di inserire il diritto di accesso a Internet nella CostituzioneRitengo che “costituzionalizzare” l’Internet sia inutile e addirittura piuttosto buffo. Del resto, già la nostra Costituzione nella sua astrattezza consentirebbe di agire a tutela del diritto di tutti i cittadini di avere accesso a un’importante risorsa tecnologica (solo questo è Internet, pur nella sua eccezionale importanza). In particolare, il secondo comma dell’art. 3 della Costituzione prevede che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Questo comma dovrebbe bastare (e avanzare) anche oggi in emergenza per tutelarci tutti e venir garantiti dallo Stato nei nostri diritti di accesso. Non vorrei che – come anche in passato è ampiamente successo – si perda tempo a confezionare principi molto astratti (e forse inopportuni) per nascondere un bel po’ di omissioni che si stanno avvertendo in questi giorni dal punto di vista della tutela di diritti fondamentali che dovrebbero invece appartenerci.

Conclusioni: “non siete altro che un mazzo di carte”

Per finire, mai come oggi mi rendo conto amaramente di come sia ben correlata la mancanza di digitalizzazione alla corruzione. E digitalizzare in modo serio un Paese con tutte le sue burocratiche ramificazioni significa garantire reale trasparenza. 

Non posso non riflettere, quindi, su come la mancanza di trasparenza di questi giorni ci stia allontanando sempre di più da un concetto di democrazia sostanziale.

Spero di non essere il solo a rifletterci su…


[1] Peraltro, ricordo la costituzione anche di un’altra recente task force contro l’odio on line (con diversi nominativi di esperti che si ripetono). A parte gli annunci, ci si permette di chiedere, è stato prodotto qualcosa di utile? Tre mesi sono quasi interamente decorsi dalla sua costituzione…