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Sospensione del FOIA a causa del Covid-19, perché serve il diritto alla trasparenza in quarantena

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La preoccupazione per il rispetto di diritti e libertà fondamentali, anche a fronte della pandemia, dovrebbe essere presente in un ordinamento tradizionalmente sensibile alla tutela delle libertà individuali.

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Il FOIA ha l’obiettivo di promuovere una maggiore trasparenza nel rapporto tra le istituzioni e la società civile e incoraggiare un dibattito pubblico informato su temi di interesse collettivo. Con il D.L. n.97 del 2016, che ha introdotto il diritto di accesso civico generalizzato (c.d. FOIA, mutuandolo dal Freedom Of Information Act statunitense) nella disciplina sulla trasparenza amministrativa già contenuta nel D.Lgs. 33/2013, tutti, ma proprio tutti (cittadini italiani e stranieri, giornalisti, organizzazioni non governative, imprese), hanno acquisito il diritto di poter richiedere dati e documenti e, di conseguenza, di poter svolgere attività di controllo sull’operato e sulle decisioni assunte dalle pubbliche amministrazioni.

I diversi termini di sospensione del FOIA

Con il Decreto “Cura Italia”, entrato in vigore il 17 marzo 2020 e promulgato per potenziare il Servizio Sanitario Nazionale e sostenere economicamente il Paese in piena crisi da Covid-19, tuttavia, dai legittimi e doverosi tentativi promossi dalle istituzioni per risolvere le note criticità legate all’applicazione concreta del FOIA, sicuramente acuite in questo periodo di straordinaria gestione emergenziale, si è deciso tout-court [1]la sua sospensione.

Inizialmente, infatti, con l’art. 103 del Decreto n.18 del 17 marzo 2020, si è stabilita la sospensione fino al 15 aprile di tutti i procedimenti di accesso (quindi, non solo quelli relativi al FOIA), accompagnando tale previsione generale con le disposizioni specificamente previste in particolare per gli enti impositori (art. 67), in relazione ai quali la sospensione dei termini relativi alle istanze di accesso documentale, accesso civico e accesso civico generalizzato (ai sensi dell’art. 22 della Legge 7 agosto, n. 241, e dell’art.  5  del  D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33) è stata prevista fino alla data del 31 maggio 2020.

Il successivo Decreto legge 8 aprile 2020, n. 23, all’art. 37, ha poi prorogato la sospensione generale di cui all’art. 103 del decreto Cura Italia, prevista per il “computo dei  termini ordinatori o perentori, propedeutici, endoprocedimentali, finali ed esecutivi, relativi  allo svolgimento di procedimenti amministrativi  su  istanza  di  parte  o d’ufficio, pendenti  alla  data  del  23  febbraio  2020 o iniziati successivamente a tale data”, fino al 15 maggio 2020.

Le possibili conseguenze

Cosa implica l’adozione di tali disposizioni? Di fatto si sospende il diritto fondamentale all’informazione e alla trasparenza, in un momento di estrema difficoltà e di crisi che coinvolge, in primo luogo, il Sistema Sanitario Nazionale; ma significa, soprattutto, comprimere lo strumento attraverso il quale l’ordinamento italiano riconosce la libertà di accedere alle informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni.

Il principio che guida l’intera normativa è la tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo di tutti i soggetti della società civile: in assenza di ostacoli riconducibili ai limiti previsti dalla legge, le amministrazioni devono dare prevalenza al diritto di chiunque di conoscere e di accedere alle informazioni possedute dalla pubblica amministrazione.

Chi e come stabilisce quali siano le richieste che hanno un carattere indifferibile e urgente?

Lo stesso art. 103 del Decreto Cura Italia chiarisce che “Le pubbliche amministrazioni adottano ogni misura organizzativa idonea ad assicurare comunque la ragionevole durata e la celere conclusione dei procedimenti, con priorità per quelli da considerare urgenti, anche sulla base di motivate istanze degli interessati”.

Ma chi dovrà decidere quali richieste abbiano il carattere di urgenza? In base a quali criteri?

Appare poco condivisibile sospendere uno strumento di controllo e vigilanza, al servizio della trasparenza, soprattutto senza prevedere stringenti criteri che circoscrivano tale compressione di diritti così importanti.

Si è apertamente imboccata la via della deroga al rispetto dei diritti fondamentali; senza concentrarsi, invece, a disciplinare le misure di contenimento dell’epidemia in modo convenzionalmente conforme.

La preoccupazione per il rispetto di diritti e libertà fondamentali, anche a fronte della pandemia, dovrebbe essere presente in un ordinamento tradizionalmente sensibile alla tutela delle libertà individuali.

Si tratta di prevedere criteri equi che possano garantire, allo stesso tempo, uno strumento di controllo quale le richieste di accesso, e la gestione di un’emergenza come quella in corso.

Conclusioni

Si sta assistendo, dunque, a un modus operandi, forse, troppo confuso, seppur in una situazione di straordinaria emergenza.

In un momento di compressione dei diritti fondamentali di libertà, chi può decidere chi e cosa avrà carattere d’urgenza? Il rischio che si corre è quello di rimanere in balia della eccessiva discrezionalità delle amministrazioni destinatarie delle richieste di accesso.


[1] Come peraltro specificato anche nei comunicati del Dipartimento della Funzione pubblica del 3 aprile e del 9 aprile 2020.

Articolo di Sarah Ungaro e Anna Rahinò, componenti del D&L NET e consulenti di Studio Legale Lisi