PA digitale

Identità digitale fra realtà e buone intenzioni. Ma che fine farà SPID?

di Andrea Lisi, Presidente Anorc Professioni |

Sull’identità digitale la neoministra Pisano punta alla sintesi fra diversi strumenti, dalla CIE alla CNS. Ma in questo processo che fine farà lo SPID?

La strada dell’identità digitale in Italia è lastricata di buone intenzioni, ma soprattutto di tanti problemi irrisolti. Da ultimo anche la ministra Pisano è intervenuta sulla questione, sollecitata da una mia domanda “pruriginosa” durante la trasmissione “Progress”, condotta da Helga Cossu su Sky Tg24: “c’è un tema importantissimo di smaterializzazione dei documenti. Carta d’identità, tessera sanitaria, codice fiscale, patente: a un certo punto ci dovrà essere una convergenza”. “Farlo entro un anno – ha proseguito la ministra Pisano – è tecnicamente fattibile, bisogna capire quali sono tutti gli iter all’interno dell’amministrazione per raggiungere un risultato del genere”.

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CIE, CNS, DDU, SPID

Giusto per ricordare l’attuale stato dell’arte, oggi abbiamo nel Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) tre distinti strumenti di identità digitale: la Carta d’Identità Elettronica (CIE), la Carta Nazionale dei Servizi (CNS, la quale contiene anche la tessera sanitaria) e i tre livelli di SPID (Sistema Unico di identità digitale) affidati questi ultimi all’azione complessa e differenziata di diversi provider privati qualificati da AgID (Agenzia di Identità Digitale). Ci sono tutti questi strumenti previsti ex lege, ma non esiste ancora in modo diffuso e completo un’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR) di cui si discute non so più da quanto tempo (e questo è già un primo paradosso dell’attuale situazione italiana dell’Agenda Digitale). Una situazione caotica che non ha favorito la comprensione dei cittadini verso questi diversi strumenti che per molte funzionalità costituiscono dei doppioni uno dell’altro.

Stratificazioni

Questa stratificazione di strumenti di identità, come forse qualcuno ricorderà, è partita da lontano, quando Ministeri diversi (CNS, introdotta da Stanca, allora ministro innovazione digitale e CIE, voluta da Pisanu, in quegli anni agli interni) in qualche modo puntarono su qualcosa che consideravano un proprio modello di innovazione digitale, senza cedere di un millimetro su ciò che avevano sviluppato, considerandolo valido. E questa pluralità si è trascinata nel CAD sino ai giorni nostri. Un tentativo di superare tale duplicazione di strumenti molto simili c’è stato in verità con il Governo Monti che puntò anni fa sul Documento Digitale Unificato (DDU).

Il DDU avrebbe dovuto sostituire la carta di identità e la tessera sanitaria e consentire così nelle intenzioni dell’allora governo di dotare tutti i cittadini di un unico e valido strumento per l’accesso ai servizi in rete. Il progetto andò avanti, ottenne faticosamente i pareri favorevoli (con diversi rilievi critici) di Consiglio di Stato e Garante privacy, per approdare con successo a Bruxelles…per poi venire bocciato politicamente e sonoramente dal Governo Renzi che puntò invece convintamente su SPID. E, secondo le ultime intenzioni (manifestate nei due ultimi Piani Triennali della PA digitale di AgID), a cedere il passo sembrava dover essere la CNS come strumento di identificazione: strumento quest’ultimo peraltro più diffuso capillarmente sul territorio nazionale rispetto alla CIE (che comunque ha quasi raggiunto i 12 milioni di carte emesse) e SPID (che è fermo a meno di 5 milioni di identità rilasciate, quando nelle intenzioni del Governo si sarebbero dovute raggiungere i 6 milioni già nel 2016!). Insomma, sino ad oggi sembrava si volesse puntare in modo (quanto meno un po’ illogico) solo su CIE e SPID a discapito della CNS.

Se arriviamo ai nostri giorni la situazione si complica ulteriormente. Dopo Monti con il suo dimenticato DDU e Matteo Renzi con il suo “pin unico” (poi rivelatosi SPID), arriva giorni fa anche Giuseppe Conte con sue dichiarazioni che sembravano voler rispolverare in modo un po’ fumoso alcuni concetti (in una cornice attuativa che comunque è rimasta ad oggi pressocché identica a quella di allora): “dobbiamo lavorare perché i cittadini abbiano un’unica, riassuntiva identità digitale di qui a un anno”.

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sottosegretario al Mef, Alessio Villarosa

Conte e Villarosa, le proposte

Non è stato facile inizialmente comprendere a quale identità facesse riferimento. SPID, CIE, o un sistema di autenticazione unico, centralizzato e nuovo di zecca? A quanto pare, se immaginiamo che tutto proceda coordinato nel Governo (come speriamo e  ci dobbiamo aspettare), allora il Presidente Conte probabilmente faceva riferimento nella sua dichiarazione al nuovo strumento di identità digitale indicato dal sottosegretario al Mef, Alessio Villarosa: la tessera unificata, strumento unico in grado di inglobare al suo interno la carta d’identità, la tessera sanitaria, l’identità digitale e con in più la possibilità di attivare un conto di pagamento presso qualsiasi sportello bancario o postale. Intenzioni mirabili e giustificate in nome della lotta all’evasione perché con tale strumento saremmo in grado di favorire i pagamenti elettronici e di avviare così un superamento del denaro contante. Le intenzioni, quindi, sono ottime e anche condivisibili; il problema è che questa idea, se non è ben supportata strategicamente e condivisa nei vari ministeri competenti, (oltre che dagli enti di supporto tecnico, AgID e Team Digitale, in una situazione politica in cui l’innovazione digitale si trova ingarbugliata in una governance piuttosto articolata), rischia di fare la fine del DDU di Monti e di scontrarsi con una realtà che è ben più complessa di quella che si racconta nei comunicati stampa.

Che fine farà SPID?

Intanto non possiamo non chiederci che fine farà SPID. E non è domanda di poco conto considerato che questo strumento ha già avviato e superato un processo di validazione europeo per essere utilizzabile oltre i confini nazionali. Inoltre, non ci si rende conto del reale stato della digitalizzazione in Italia che è ben lontano dal garantire servizi on line diffusi attraverso le sue tantissime PA centrali e locali disseminate nel suo territorio. In questo Paese, si vorrebbero convincere i cittadini italiani a dotarsi di un sistema di identità digitale unico (cancellando e sostituendo il faticoso passato con una bacchetta magica) che non permetterebbe oggi di far quasi nulla in assenza di servizi reali sviluppati dalle PA in modalità digitale e senza che tale sistema possa essere, ad esempio, utilizzato su piattaforme di e-commerce. Questa volta ci si è ricordati che le identità digitali avrebbero senso se fossero interoperabili e realmente utilizzabili nelle piattaforme private (dove per davvero ci sono servizi digitali utilizzati dai cittadini italiani)?


In realtà, poco si comprende ancora di questa tessera unica, abbiamo infatti delle dichiarazioni fumose, ottime intenzioni di ministri diversi, ma la strada dell’inferno è appunto lastricata di buone intenzioni.


A questo aggiungiamo che inserire in un unico supporto sia i dati relativi all’identità, sia quelli sanitari e rendere tale tessera anche un mezzo di pagamento non è mai una buona idea per motivi di sicurezza informatica  e, forse, prima di abbandonarsi a entusiastiche affermazioni di cambiamento digitale si sarebbe dovuto decidere nettamente su una soluzione, solo previo meditato confronto con gli esperti in tavoli di lavoro (e comunque ricevendo, ad esempio, i parerei autorevoli di AGID e del Garante per la protezione dei dati personali). Ma in Italia la governance sull’Agenda Digitale è da tempo piuttosto caotica e questi segnali non rassicurano sulla reale intenzione di semplificare ruoli e strumenti per rendere davvero questo Paese un esempio di trasparenza digitale.

Siamo davvero lontani da tutto questo purtroppo. E le ultimissime dichiarazioni della ministra Pisano non fanno altro che regalarci il sapore amaro della navigazione a vista. Riprendiamole alla fine di questo sintetico (e sofferto viaggio) nei meandri contorti dell’identità digitale: “da un lato vogliamo far convergere alcuni strumenti e già oggi alcune città utilizzano la carta d’identità elettronica per accedere ai servizi digitali. Poi c’è un tema importantissimo di smaterializzazione dei documenti. Carta d’identità, tessera sanitaria, codice fiscale, patente: a un certo punto ci dovrà essere una convergenza”. Farlo entro un anno, ha spiegato la ministra, “è tecnicamente fattibile, bisogna capire quali sono tutti gli iter all’interno dell’amministrazione per raggiungere un risultato del genere. Se lo dovessimo fare con un gruppo di tecnici lo faremmo abbastanza in fretta”.

Non so se sono solo io, ma mi sembra che ancora non si sia d’accordo su nulla e intanto si attendono ancora le (nuove e consolidate) Linee Guida sulla digitalizzazione dei documenti nelle PA e di capire come funzionerà SPID come modello di firma (e in realtà anche come i registri blockchain garantiranno la forma scritta digitale).

Mi chiedo come, senza un funzionante motore operativo digitale interno nelle PA, si possa parlare (credendoci) di futuribili “APP IO” che dovrebbero aggregare tutti gli enti pubblici a portata di clic…si può costruire un meraviglioso castello se le fondamenta son poggiate su sabbie mobili?