Speciale HDweek

#HDweek. Luca Balestrieri (Tivù): ‘L’Ultra HD è la nuova frontiera’

di Luca Balestrieri, Presidente Tivù srl e docente di Economia e gestione dei media presso il Dipartimento Impresa e Management della Luiss |

In Italia, per accelerare il passaggio all'HD e all'UHD, bisogna cambiare la norma contenuta nella legge 44 del 2012 che prescrive a partire dal gennaio 2015 l’obbligo della codifica Mpeg4, che non permette di ottimizzare l’efficienza delle reti e, dunque, di avviare una seria transizione del digitale terrestre verso l’HD e di quello satellitare verso l’UHD.

In un paese che, a suo tempo, bloccò la diffusione della televisione a colori, può affacciarsi l’idea che l’introduzione dell’UHD e l’estensione dell’offerta HD siano qualcosa che resta nella potestà decisionale dei governi, delle Autorità o anche dei broadcaster: l’idea che questo possa essere ancora a lungo un mercato guidato dall’offerta.

#HDweek è lo Speciale Key4biz dedicato all’Alta Definizione, in cinque puntate con interviste, case history, approfondimenti, dati, analisi e opinioni di esperti.
Clicca qui per leggere tutti i contributi.

Ciò che rende possibile questa illusione è il ritardo nella banda larga e l’assenza di OTT a dimensione planetaria come Netflix o Amazon Prime che distribuiscano video con servizi non lineari.  Ma questa condizione non può durare a lungo e anche per l’Italia l’avvento dell’iperconnettività significherà il passaggio da un mercato guidato dall’offerta a un mercato guidato dalla domanda, ossia del consumatore.

La rivoluzione nel consumo di audiovisivo

 

Se analizziamo le trasformazioni nel modo di consumare audiovisivo che si stanno imponendo nei mercati dove la rivoluzione digitale e l’iperconnettività stanno correndo più veloci, troviamo nelle nuove abitudini di fruizione anche un approccio più esigente alla qualità video.  Assieme all’accesso a contenuti in mobilità (un trend in rapida crescita, anzi forse proprio l’elemento caratterizzante questi ultimi due-tre anni), assieme a forme che a noi sembrano estreme di consumo come il binge viewing (e che sono in realtà solo l’ultima espressione della volontà di riappropriarsi del tempo e dei ritmi dell’emozione), la domanda di standard qualitativi più elevati nel grande schermo di casa è ciò che in questo momento caratterizza i mercati maggiormente innovativi.

Nell’ecosistema digitale iperconnesso, gli schermi e le piattaforme si specializzano in ragione di una modalità di consumo che ricerca il continuum (anytime, everywhere) ma che differenzia a seconda delle occasioni le prestazioni che si richiedono: flessibilità in mobilità, qualità estrema del video sui grandi schermi.

In questa fase di evoluzione dell’ecosistema, l’alta definizione è “the new normal” e l’ultra HD è la frontiera che già oggi si sta aprendo.  I televisori UHD nei mercati chiave hanno ormai abbattuto la barriera psicologica di prezzo dei mille dollari, il cui superamento diede a suo tempo il via alla corsa agli acquisti di ricevitori in alta definizione. E Netflix offre Breaking Bad in 4K, per quei suoi abbonati abbastanza fortunati da avere una connessione adeguata.

HD e UHD fanno dunque parte di una rivoluzione del consumo di audiovisivo che sta arrivando anche in Europa continentale, dopo aver cambiato le regole del gioco negli Stati Uniti e nel Regno Unito.

Il problema è il prodotto

 

Per questa ragione, il tema dell’HD e dell’UHD è di fondamentale importanza per le strategie dell’industria audiovisiva italiana, la cui filiera, dal cinema alla televisione, già ha cominciato a destrutturarsi sotto i colpi della crisi di questi anni e ai primi venticelli della tempesta digitale – e ancora Netflix è ancora solo all’orizzonte.

Bisognerebbe in primo luogo ridare a questa filiera produttiva una logica di sviluppo, una visione di sistema che metta insieme apertura dei mercati, tecnologie, consapevolezza della centralità del prodotto e della priorità delle scelte del consumatore.  Abbiamo visto in queste settimane quanto poco servano davanti alla rivoluzione dell’iperconnettività le politiche tradizionali di difesa della filiera nazionale: la convulsione francese per lo sbarco di Netflix ne è la prova (abbiamo anche visto capitolare gli editori tedeschi davanti a Google, sconfitti nella giusta richiesta di non farsi sottrarre il valore monetizzato dei loro contenuti).

Dunque, il tempo per pensare ad una strategia di sistema-paese è molto stretto, perché ciò che per il consumatore è senza dubbio un allargarsi delle possibilità di scelta per chi produce è un rischio di ulteriore indebolimento sullo stesso mercato nazionale.  Sarebbe miope soprattutto per i produttori indipendenti della fragile industria italiana dell’audiovisivo pensare che – per esempio – l’arrivo di Netflix sia l’apertura di un’altra opportunità commerciale. Netflix è ormai parte di un sistema produttivo americano che proprio negli OTT trova nuovi e più forti canali distributivi a livello globale.

Occorre una strategia di presidio delle piattaforme di distribuzione OTT e, soprattutto, occorre un salto qualitativo nel prodotto, troppo ancora “nazionalpopolare” perché troppo legato alla televisione generalista.

L’audiovisivo italiano deve conquistare appetibilità sui mercati internazionali, necessari per compensare la perdita di risorse sul mercato interno causata dalla crisi degli ultimi anni.  È un problema di linguaggi, di formati narrativi, di contenuti.  Ma le produzioni che verranno, per difendersi sul mercato italiano e conquistare qualche quota di mercati esteri, dovranno sapersi confrontare con una rincorsa alla qualità video che si attesterà in pochissimo tempo sull’UHD. Ciò che deciderà il destino dell’industria audiovisiva italiana sarà la capacità di trasformare il suo prodotto, anche – ma naturalmente non solo – sotto l’aspetto della qualità video.

Aggiornare la normativa

 

E il governo? Le Autorità?

Per quanto riguarda l’HD e l’UHD, c’è intanto un primo passo da fare, molto semplice, per accelerare il passaggio dell’offerta audiovisiva italiana ai nuovi standard di qualità. Si tratta di cambiare una norma che, nata con buoni propositi, rischia adesso di creare un serio problema: la norma è quella, contenuta nella legge 44 del 2012, che prescrive a partire dal gennaio 2015 l’obbligo della codifica Mpeg4 per i nuovi televisori immessi nei circuiti distributivi e a partire del luglio dello stesso anno l’obbligo della codifica Mpge4 per i televisori venduti.  Con questa codifica non si riesce ad ottimizzare l’efficienza delle reti e, dunque, non si potrà avviare una seria transizione del digitale terrestre verso l’HD e di quello satellitare verso l’UHD.

Bisogna invece che la normativa preveda l’introduzione, – dando tempo all’industria di attrezzarsi – della più efficiente codifica HEVC, con la quale sarà possibile il passaggio all’HD di una parte significativa dell’offerta sul digitale terrestre – soprattutto se combinata con il passaggio alla trasmissione in DVB-t2 – e l’avvio di un servizio di programmazione UHD da satellite.

Segui e partecipa anche tu alla discussione sui social: #HDweek