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Guerra alla plastica, e se riciclare costasse di più?

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Il prezzo della plastica riciclata è diventato per la prima volta più costoso di quello della plastica vergine. Questo aumento potrebbe comportare un elevato rischio per l’ambiente.

Il costo di produzione dei prodotti di plastica riciclata è stato per anni più basso rispetto a quello dei prodotti che impiegavano plastiche vergini.

Per le aziende, pertanto, l’opzione più sostenibile per l’ambiente risultava essere anche la più conveniente sotto il profilo economico. Negli ultimi mesi, però, sembra essersi verificato un ribaltamento: il prezzo delle scaglie di plastica, la materia prima utilizzata per la fabbricazione degli oggetti riciclati, per la prima volta ha superato quello della plastica vergine, ottenuta mediante l’impiego di combustibili fossili.

A svelarlo è il «Guardian», il quale cita un rapporto di S&P Global Platts, specialista del mercato delle materie prime, che rivela come la plastica riciclata costi ora 72 dollari in più a tonnellata rispetto a quella di nuova fabbricazione.

In Europa questo aumento potrebbe comportare una spesa aggiuntiva complessiva di oltre 223 milioni di euro l’anno per tutti quei produttori che hanno scelto la via della sostenibilità, oltre a rappresentare una possibile battuta d’arresto per la lotta ai rifiuti di plastica.

Il consumo di plastica

A partire dagli anni ’50, sono stati prodotti nel mondo oltre 8 miliardi di tonnellate di plastica e ogni anno oltre 8 milioni di tonnellate di rifiuti plastici finiscono nell’oceano. Secondo Greenpeace, il 90% della plastica prodotta fino ad ora non è mai stata riciclata.

Ogni anno tra le 150 e le 500 mila tonnellate di macroplastiche e tra le 70 e le 130 mila tonnellate di microplastiche finiscono nei mari d’Europa, soprattutto nel Mar Mediterraneo, dove la plastica rappresenta il 95% dei rifiuti ed è responsabile di oltre il 90% dei danni alla fauna marina (dati WWF).

Una bottiglia di plastica, se dispersa nell’ambiente, impiega fino a 500 anni per decomporsi. Il riciclaggio delle materie plastiche risulta così fondamentale.

La direttiva SUP

In Europa, il 21 maggio 2019, è stata approvata, nella sua versione definitiva, la direttiva dell’Unione europea sulle materie plastiche monouso (detta anche direttiva SUPSingle Use Plastics). Lo scopo è quello di ridurre la plastica in circolazione, vietando quella usa e getta entro il 2021 e portando il tasso di riciclo al 90% entro il 2025, al fine di ridurne l’incidenza sull’ambiente, in particolare quello acquatico, e sulla salute umana, nonché di promuovere la transizione verso un’economia di tipo circolare, in grado di riutilizzare i materiali, riducendo al massimo gli sprechi.

Il boom USA dello shale oil

Negli Stati Uniti, tuttavia, produrre plastica vergine è sempre più conveniente grazie al boom del settore petrolchimico. Gli USA, infatti, non solo si sono resi del tutto autosufficienti per quanto riguarda l’approvvigionamento di petrolio, ma sono riusciti a divenire il primo produttore al mondo di greggio, superando le esportazioni dell’Arabia Saudita.

Questa “rivoluzione” è guidata dallo shale oil, il petrolio non convenzionale intrappolato nei frammenti di rocce di scisto ed estratto mediante il fracking, la tecnica di fratturazione idraulica che desta non poche preoccupazioni presso scienziati ed ambientalisti: oltre a poter generare scosse di lieve entità, necessita per poter funzionare di enormi quantità d’acqua e di sostanze chimiche e radioattive che potrebbero contaminare le falde acquifere.

Per questo motivo, nella maggior parte dei Paesi europei, Italia compresa, questa tecnica di estrazione è vietata dalla legge.

Segnali di crisi

Dopo anni di produzione massiccia, però, iniziano a comparire i primi segnali di crisi per lo shale oil americano: il numero delle trivelle in funzione negli Stati Uniti è diminuito del 20% nell’ultimo anno. Questo calo, in parte dovuto al crollo del prezzo del combustibile, è riconducibile anche alla diminuita produttività degli stessi impianti, a causa del loro sfruttamento eccessivo compiuto negli anni precedenti.

Resta perciò da vedere se questa improvvisa frenata nella produzione di greggio si ripercuoterà negativamente anche sul prezzo e sulla produzione delle materie plastiche vergini, considerando che, secondo Greenpeace, le aziende mondiali arriveranno a quadruplicare la produzione attuale di plastica entro il 2050.