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Green pass, il pasticcio dei controlli senza la carta d’identità. Al via il raggiro: si presta via WhatsApp

covid-passaporto digitale

Eliminare i riferimenti al Dpcm in cui è previsto per il possessore del green pass di mostrare il documento d’identità a richiesta del verificatore. L’operazione maquillage è scattata subito sul sito governativo Digital Green Certificate: una FAQ è stata modificata, dopo l’annuncio della ministra dell’InternoLuciana Lamorgese ha chiarito: “I ristoratori e degli esercenti devono solo chiedere il green pass, ma certo non sono tenuti a chiedere la carta d’identità”.

Così sul sito dgc.gov.it è scomparsa la frase: 

“L’intestatario su richiesta del verificatore esibisce un proprio documento di identità in corso di validità ai fini della verifica di corrispondenza dei dati anagrafici presenti nel documento con quelli visualizzati dall’App”.

La frase è stata sostituita con: 

“Gestori o titolari accertano la validità della certificazione” e non più, a campione, anche l’identità del soggetto attraverso i relativi documenti.

La frase ancora presente nella privacy policy dell’app del ministero della Salute per verificare il Green Pass

La frase eliminata dal sito ufficiale del green pass è tuttora presente nella privacy policy dell’app del ministero della Salute dedicata alla verifica del green pass. 

In attesa della circolare del Viminale, al via il raggiro. Green Pass prestati via WhatsApp

Un caos quindi. Il pasticcio dei controlli del green pass dovrà essere risolto da una circolare del Viminale. Nel frattempo, è iniziato il raggiro. Green pass dati in prestito su WhatsApp, come racconta Corriere Torino : così si può entrare in pub e ristoranti con il pass di un’altra persona, perché gli esercenti non possono (più?) controllare anche il documento d’identità. 

La frase cancellata sul sito del green pass fa riferimento al Dpcm del 17 giugno, dove sono elencati i soggetti autorizzati a verificare il passaporto sanitario, è anche scritto:

L’intestatario della certificazione verde COVID-19, all’atto della verifica, dimostra, a richiesta dei verificatori la propria identità personale mediante l’esibizione di un documento di identità”. 

Il commento di A. Del Ninno: “Siamo di fronte a un pasticcio redazionale

Sulla dichiarazione della ministra Lamorgese in merito ai controlli sul green pass e all’esibizione dei documenti d’identità abbiamo chiesto un commento ad Alessandro Del Ninno, avvocato dello studio Tonucci & Partners – esperto di data protection e Ict.

“Siamo di fronte a un pasticcio redazionale in cui circolari del Viminale si sovrappongono a Dpcm con cui confliggono FAQ che dovrebbero chiarire norme che nascono ambigue …. Tra l’altro, nel sito governativo dedicato al green pass è stata modificata in corsa la FAQ in cui era previsto l’obbligo di esibire il documento d’identità in modo contestuale al green pass, se richiesto dal verificatore”, nota Del Ninno.

“Lamorgese non in contrasto con il Dpcm sul green pass”

Tuttavia”, aggiunge, “l’assenza dell’obbligo di verifica mediante esibizione della carta di identità a cui associare il Green Pass – annunciata dalla ministra Lamorgese – non è in contrasto con il Dpcm del 17 giugno, perché nel decreto, a ben leggere, non è chiaro l’obbligo:

‘L’intestatario della certificazione verde COVID-19, all’atto della verifica, dimostra, a richiesta dei verificatori…”

La formulazione”, continua Del Ninno, “(ancora una volta ambigua) della norma non costruisce l’esibizione del documento come un obbligo del verificatore, che ha facoltà di richiedere il documento, ma non sembra essere obbligato in via generale”. 

“In ogni caso”, osserva l’avv. Del Ninno, “l’incertezza che si registra in queste ore sul green pass e documenti d’identità deriva dalla sciatteria con cui ormai vengono scritte le norme e dalla assurda stratificazione che segue con circolari, FAQ, chiarimenti”. 

Questi problemi hanno, però, un’unica causa”, conclude Alessandro Del Ninno: “la timidezza del Governo di imporre per legge l’obbligo vaccinale. È possibile introdurlo in base alla lettura che già la Corte Costituzionale ha dato dell’articolo 32 della Costituzione, con la prevalenza (perché appunto stabilita da una legge del Parlamento) della tutela della salute collettiva sulla libertà individuale e sul diritto a non essere sottoposto a trattamento sanitario. Solo a fronte di una tale scelta politicamente chiara tutti i problemi di interpretazione normativa potrebbero essere risolti”.

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