Il dibattito

Green Deal? Per gli italiani va eliminato. Urso e Fratin “necessario approccio realistico”. L’evento

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Tra promesse di crescita sostenibile e ostacoli concreti, il dibattito sul Green Deal europeo e sulla competitività industriale si è acceso nella suggestiva cornice di Piazza Mastai, con la partecipazione di istituzioni, rappresentanti del mondo privato e figure governative di rilievo. I dati, emersi durante il Convegno “Sostenibilità al bivio”, organizzato da Adnkronos, offrono una fotografia chiara e piuttosto inquietante: gli italiani percepiscono la decarbonizzazione come un rischio per la produttività del Paese. Intervenuti tra gli altri, Adolfo Urso, Ministro delle Imprese e del made in Italy, Gilberto Pichetto Fratin, Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica, Carlo Corazza, Direttore dell’ufficio del Parlamento europeo in Italia, Enrico Giovannini, Direttore ASviS ed ex ministro.

Il 65% degli italiani pensa che il Green Deal Europeo vada eliminato, il 75% non acquisterebbe mai un’auto elettrica, il 68% crede che la transizione green danneggi l’economia. I dati, allarmanti, sono emersi da un sondaggio effettuato da Adnkronos, illustrato oggi durante il Convegno “Sostenibilità al bivio”, organizzato dalla stessa agenzia di stampa presso Palazzo dell’Informazione a Roma. 

Gree deal sotto attacco

Green Deal, neutralità tecnologica e competitività

I numeri indubbiamente offrono una fotografia chiara (e piuttosto inquietante) del pensiero comune sul processo di decarbonizzazione e la lotta al cambiamento climatico, riflettendo la convinzione secondo cui adottare standard di efficienza energetica e di sostenibilità ambientale rappresenti una minaccia per la produttività del Paese. 

A confermare i timori, vi è poi la traiettoria seguita dal Governo, sempre più protesa verso il principio della neutralità tecnologica. Un criterio semplice, simile alla “teoria del meno peggio”: inquina, ma inquina di meno. Una condizione apparentemente complementare al processo di elettrificazione in atto, presentata come necessaria a sbloccare lo stallo in cui si trova l’Italia, ma che rischia di minare uno dei pilastri portanti del Green Deal europeo, quello del Net Zero.

Dibattito sul Green Deal a Piazza Mastai: istituzioni, imprese e governo a confronto

E proprio di Green Deal, competitività industriale e zero emissioni si è discusso durante l’acceso dibattito che ha visto confrontarsi istituzioni, rappresentanti del mondo privato e figure governative nella cornice di Piazza Mastai. Tra gli interventi di spicco quello di Carlo Corazza, Direttore dell’ufficio del Parlamento europeo in Italia, Enrico Giovannini, Direttore ASviS ed ex ministro, e del Ministro della Transizione energetica Gilberto Pichetto Fratin

Green Deal, Fratin

Sullo sfondo il video discorso registrato, in apertura del Convegno, del Ministro delle imprese e del made in Italy Adolfo Urso

“L’energia rappresenta una delle sfide più importanti per il nostro Paese e per l’Europa: una sfida complessa, anche perché è spesso intrappolata nella logica ideologica del Green Deal, che ha già tarpato le ali a molte imprese europee”.

Urso “Green Deal, impostazione ideologica”

Fin dal nostro insediamento abbiamo scelto di assumerci un ruolo da protagonisti nella gestione di questo processo, proponendo in Europa un approccio equilibrato, responsabile e realistico, capace di rendere la transizione sostenibile. È un approccio che si discosta nettamente dall’impostazione ideologica del Green Deal, basato esclusivamente sull’elettrificazione — una tecnologia in cui la Cina domina e sulla quale l’Europa è tuttora in ritardo.” ha avvertito il titolare del Mimit

I traguardi raggiunti nel settore Automotive

“Abbiamo già conseguito risultati concreti – ha quindi aggiunto – salvaguardando comparti strategici come quello automobilistico e riportando l’Italia al centro delle scelte europee in materia industriale ed energetica. Tuttavia, la questione dell’auto dimostra che non basta “fare i compiti a casa”: è indispensabile cambiare le regole europee, come anche la Germania ora condivide con noi.

Green Deal, Urso

L’Italia ha guidato una solida alleanza europea, presentando un anno fa alla Commissione un documento di indirizzo strategico — il cosiddetto Non Paper — che ha portato l’Unione a rivedere il regolamento sulle emissioni di CO₂. Oggi siamo finalmente nel pieno delle riforme necessarie. Si sta aprendo la strada verso soluzioni più aderenti alle esigenze del lavoro, dei cittadini e delle imprese europee, introducendo un principio fondamentale: la neutralità tecnologica. In questo modo, la riduzione delle emissioni potrà essere perseguita senza pregiudizi ideologici, valorizzando tutte le tecnologie che la scienza mette a disposizione”.

Il Piano Transizione 5.0

Questi temi sono al centro sia del documento congiunto che abbiamo inviato, insieme al Ministero dell’Economia tedesco, alla Commissione europea, sia delle posizioni condivise da molte associazioni e imprese europee. Tutti chiediamo con forza che l’Europa agisca subito: non c’è più tempo da perdere” ha chiosato il Ministro Urso, ribadendo che sulla scia dei risultati ottenuti si sia deciso di proseguire con lo stesso metodo anche su altri fronti, come quello delle industrie energivore. Il Piano Transizione 5.0, finanziato con le risorse del PNRR attraverso il capitolo RepowerEU, e la richiesta della revisione sostanziale del CBAM, il meccanismo di controllo del carbonio alle frontiere, che oggi penalizza le imprese europee dell’energia, della siderurgia, della chimica, della ceramica, del vetro e dello spazio, rientrano in questo scenario.

“Il piano ha già registrato prenotazioni per 2,5 miliardi di euro e, entro la fine dell’anno, supererà presumibilmente i 3 miliardi in appena tredici mesi di attuazione: un risultato significativo.

Ora stiamo lavorando a una nuova misura di innovazione e investimento a sostegno delle imprese, utilizzando le risorse del bilancio nazionale nei prossimi tre anni. In collaborazione con Confindustria e le principali associazioni di categoria, vogliamo rendere questi fondi più mirati e coerenti con le reali necessità delle imprese, per incentivare l’innovazione sia digitale sia green e vincere una doppia sfida.

Questa misura, finanziata con risorse nazionali, sarà finalmente libera dai vincoli imposti dal Green Deal europeo e potrà quindi essere destinata alle imprese che ne hanno più bisogno — in particolare a quelle energivore finora escluse dai limiti comunitari, come ceramica, carta, siderurgia e chimica. Si è inoltre appena concluso lo sportello per i mini-contratti STEM, dedicato a progetti nei settori strategici dell’idrogeno e della digitalizzazione.

Questa è la strada da seguire. Solo così potremo garantire competitività e affrontare insieme la duplice sfida della transizione digitale e di quella energetica” ha, infine, concluso il Ministro.

Sostenibilità “leva” per crescita e competitività

L’intervento del Ministro Adolfo Urso non ha lasciato indifferenti gli altri speaker, offrendo numerosi spunti di conversazione. Dai numerosi interventi è emerso un messaggio chiaro: la sostenibilità deve diventare un fattore strutturale, capace di guidare le scelte economiche, industriali e tecnologiche. Norme efficaci, infrastrutture moderne, politiche industriali coerenti, incentivi economici, formazione e finanza sostenibile costituiscono la chiave per mantenere la leadership tecnologica e industriale dell’Italia e dell’Europa, garantendo al contempo benessere e tutela ambientale.

Parlare oggi di Green Deal significa affrontare non solo una questione ambientale, ma una vera e propria sfida economica, industriale e geopolitica. L’Europa, in generale, si sta preparando a un futuro di decarbonizzazione, a un modello in cui la sostenibilità ambientale diventa il fulcro anche delle politiche industriali” ha ricordato il professor Enrico Giovannini. 

Giovannini “Il Green Deal è una strategia economica”

“Oggi il contesto politico e geopolitico è complesso. La Commissione europea ribadisce di voler mantenere la traiettoria stabilita nel 2019, confermando molti degli impegni assunti. Ma allo stesso tempo cresce, in diversi Paesi membri e tra alcune forze politiche, una spinta di segno opposto: una reazione che in alcuni casi si traduce in un vero e proprio rifiuto di quell’impegno.

Permettetemi però di partire da un punto di metodo: a me piace ragionare sui fatti.

Domando: quanti di voi hanno letto davvero il testo del Green Deal europeo, pubblicato nel dicembre 2019? Pochi, immagino. Eppure è da lì che bisogna partire, perché molte delle percezioni diffuse oggi sul Green Deal non corrispondono a ciò che quel documento realmente dice.

Il Green Deal non è una strategia ambientalista. È, prima di tutto, una strategia economica. L’idea di fondo è semplice: se l’Europa saprà produrre beni e servizi sostenibili all’avanguardia, avrà davanti un mercato globale immenso. In altre parole, la sostenibilità diventa un fattore competitivo. I benefici ambientali sono un effetto positivo, ma non il fine principale” ha aggiunto il Direttore scientifico dell’Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile.

Green deal , Giovannini

Corazza”Nel concepire il Green Deal sono stati commessi errori”

Anche Carlo Corazza, Direttore dell’ufficio del Parlamento europeo in Italia, ha ricordato come il Green Deal sia prima di tutto un atto politico approvato dalle istituzioni europee, non un provvedimento imposto dall’alto. Ha evidenziato come le maggioranze politiche siano cambiate, suggerendo la necessità di ripensare il Green Deal in chiave strategica alla luce degli avvenimenti che hanno sconvolto il mondo negli ultimi anni. Corazza ha quindi sottolineato l’importanza di una politica industriale solida come base per una transizione sostenibile e per la sicurezza energetica dell’Europa.

Il punto centrale è che, nel concepire il Green Deal, sono stati commessi errori. È nato nel 2019, in un contesto completamente diverso. Poi sono arrivati la pandemia, la crisi energetica, l’inflazione, l’instabilità geopolitica, la crescente assertività della Cina e la competizione sulle materie prime. È inevitabile dunque chiedersi se il Green Deal del 2019 sia ancora lo strumento adatto alle sfide del 2025.

Su un punto, però, tutti concordano: non si può realizzare una transizione industriale di questa portata senza investire risorse adeguate. La Cina ha costruito la propria leadership sui pannelli solari e sulle terre rare grazie a vent’anni di investimenti e sussidi. Gli Stati Uniti, con l’Inflation Reduction Act, hanno fatto lo stesso. L’Europa, invece, ha destinato risorse insufficienti: è vero che un terzo del bilancio comunitario è stato assegnato al Green Deal, ma il bilancio dell’Unione rappresenta appena l’1% del PIL complessivo dei 27 Stati membri.

E non sembra che, su questo fronte, la Commissione Europea abbia cambiato impostazione. È un limite serio: nel momento più solenne della vita istituzionale europea, quando la Presidente della Commissione pronuncia il discorso sullo Stato dell’Unione e afferma che “l’Europa è in guerra per difendere la sua indipendenza, la sua libertà e i suoi valori”, non si può proporre lo stesso bilancio del 2019” ha commentato il Direttore.

Corazza conclude poi aggiungendo che errori analoghi sono stati commessi nel settore automobilistico: 

non abbiamo litio, non abbiamo cobalto, non abbiamo sviluppato una filiera tecnologica autonoma. Per anni ci siamo affidati alla Cina. È giusto correggere queste scelte, ma non possiamo accettare che la nostra indipendenza economica e industriale dipenda da regimi autocratici. Difendere la nostra libertà significa anche non essere ricattabili sull’approvvigionamento di materie prime, sull’energia o sulla tecnologia. L’energia, in particolare, deve costare quanto in Spagna o in Italia: non possiamo permetterci squilibri strutturali all’interno dell’Unione.

Difesa e sicurezza, infatti, non significano solo più armi o più spesa militare. Significano anche una base industriale più solida. Allo stesso modo, un Green Deal credibile deve poggiare su un’industria forte e innovativa, perché è l’industria il motore dell’innovazione e la fonte delle soluzioni tecnologiche che servono alla transizione. Abbiamo ancora filiere in cui possiamo eccellere — come quelle legate al terminal storage o allo stoccaggio energetico tramite idrogeno ed elettricità — ma su molte altre siamo in ritardo, e sarà difficile recuperare terreno. Tuttavia, oggi non possiamo rinunciare al Green Deal: dobbiamo ripensarlo in chiave strategica.

Sarebbe un errore per l’Italia e per l’Europa abbandonare questa ambizione o lasciarla in mano a potenze autoritarie, senza investire le risorse necessarie per realizzarla” ha avvertito.

Fratin, “mentalità psicologica fondamentale per competitività e innovazione”

Lo stesso Ministro della Transizione energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha puntato l’attenzione sulla mentalità psicologica come elemento fondamentale per la competitività e l’innovazione. “La capacità di affrontare le sfide globali dipende dal modo in cui un Paese, un’impresa o un gruppo integrano conoscenza, tecnologia e cultura industriale”, ha spiegato. Pichetto Fratin ha ribadito l’importanza di infrastrutture energetiche moderne, reti elettriche efficienti e norme chiare, evidenziando come la transizione richieda investimenti concreti e coordinamento tra istituzioni, imprese e cittadini.

Il nostro Paese, come molte altre nazioni europee, si trova in una fase di profonda trasformazione. Siamo chiamati a produrre il meglio di ciò che sappiamo fare, mantenendo alta la competitività non solo sul piano dei prezzi, ma soprattutto sulla qualità, sull’efficienza produttiva e sull’impatto ambientale. I nostri prodotti non devono essere valutati solo per il loro costo, ma per il valore che rappresentano: il frutto di un sistema industriale capace di coniugare innovazione, sostenibilità e visione di lungo periodo.

Per questo motivo è necessario che ogni gruppo, ogni realtà produttiva, sia orientata alla ricerca creativa e tecnologica. La tecnologia, infatti, non è soltanto uno strumento operativo, ma un fattore culturale che riflette il livello di benessere, di conoscenza e di visione di una società. La capacità di valutare e integrare le diverse forme di sapere e di competenza costituisce oggi il vero vantaggio competitivo.

Tutto ciò deve però calarsi in un contesto concreto: non possiamo prescindere dal sistema produttivo nel quale operiamo. Viviamo in una città e in un Paese che fanno parte dell’Unione Europea, una realtà caratterizzata da processi industriali complessi, ma anche da vincoli energetici e ambientali sempre più stringenti. Il nostro compito è quello di inserire il corpo produttivo — fatto di imprese, lavoratori e innovatori — all’interno di un sistema coerente, capace di superare le frammentazioni e di creare connessioni tra obiettivi economici, qualità ambientale e crescita sociale.

Siamo in un’epoca di transizione, segnata da sfide strutturali come la decarbonizzazione, la sicurezza energetica e la riduzione delle disuguaglianze. Per questo è necessario adottare un approccio realistico, capace di bilanciare ambizione e pragmatismo. Non possiamo limitarci agli slogan o alle mode del momento: dobbiamo dimostrare, con i fatti, di essere un Paese che crede nei biocarburanti, nelle energie rinnovabili e nell’efficienza produttiva” ha detto.

Il Ministro ha quindi illustrato l’importanza della normativa e del Just Transition Fund per le aree svantaggiate, sottolineando che senza risorse e strumenti adeguati le regole rimarrebbero lettera morta. Ha citato, inoltre, l’esperienza italiana nella gestione dei veicoli elettrici e delle energie rinnovabili, evidenziando vincoli infrastrutturali e la necessità di modernizzare la rete elettrica e stabilizzare i prezzi dell’energia per garantire competitività e sostenibilità.

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