Il parere

Google News, le norme spagnole fanno a pugni con la Ue?

di Vincenzo Zeno Zencovich, Università Roma Tre |

La nuova Legge spagnola sulla proprietà intellettuale, che ha spinto Google a spegnere il servizio delle News, appare in contrasto con quanto stabilito dalla Corte di Giustizia nel caso Svensson.

Per comprendere, e valutare, la decisione di Google di cessare, dal 16 dicembre, il servizio Google News relativamente ai giornali spagnoli è opportuno illustrare la natura del servizio che si presenta come risultato di una ricerca la quale si concentra sui risultati che vengono tratti dai siti dei mezzi di informazione tradizionali.

In concreto accedendo al sito – ma anche venendo avvertiti della presenza di nuove notizie – l’utente si trova di fronte una “prima pagina” con le notizie di maggiore rilievo, e la possibilità di selezionare alcuni ambiti tematici (ad es. esteri, economia, sport).

Quel che è importante osservare è che titoli, sommari e immagini che compaiono sulla pagina di Google sono quelli tratti dall’originale sito del quotidiano o dell’agenzia su cui sono pubblicati. In altri termini non vi è una modifica del contenuto, né vi è una sua visualizzazione su un sito diverso da quello originario.

Applicando le disposizioni previste dalla Ley 21/2014 al servizio Google News quest’ultimo dovrebbe corrispondere un equo compenso anche nel caso di indicizzazione “de fragmentos no significativos de contenidos”; e comunque chiedere il consenso per la riproduzione delle immagini che accompagnano le notizie, tratte dal sito di origine.

Conviene accantonare, per il momento, la questione delle immagini. Concentrandosi invece sull’altro aspetto, esso non pare conforme al diritto comunitario vivente come chiarito dalla Corte di Giustizia. E’ probabile, peraltro, che in considerazione dei tempi lunghi di maturazione legislativa, la legge spagnola non abbia tenuto conto della evoluzione giurisprudenziale di cui si darà conto fra breve.

Da tempo si discute, in numerosi paesi europei, della legittimità di servizi di rassegna stampa a pagamento. Sul punto, la nostra Suprema Corte si è pronunciata in maniera non equivoca: «L’editore di un quotidiano di un periodico, quale titolare dei diritti di sfruttamento economico sull’opera collettiva, e di conseguenza sulle parti che la compongono, è legittimato ad opporsi alla pubblicazione, su una rassegna stampa diffusa, a scopo di lucro, in via informatica, di articoli tratti dalla propria pubblicazione, per i quali la riproduzione o l’utilizzazione è stata espressamente riservata dall’editore stesso» (Cass. 20.9.2006,n.20410). E tale decisione appare conforme al diritto comunitario come espresso dalla CGUE nella sentenza Infopaq (Infopaq International c. Danske Dagblades Forening, caso C5/08 del 16.7.2009).

Da quest’ultima decisione è opportuno riportare testualmente la descrizione dell’attività svolta dalla Infopaq, contenuta ai paragrafi 13 e seguenti:

«La Infopaq svolge attività di monitoraggio e di analisi della stampa consistenti, in sostanza, nella redazione di sintesi di articoli selezionati tratti dalla stampa quotidiana danese e da varie riviste. Tale selezione di articoli avviene in funzione dei temi scelti dai clienti e viene attuata mediante un procedimento denominato «raccolta dati». Le sintesi sono inviate ai clienti per posta elettronica».

Si tratta, dunque, a ben vedere di una tradizionale forma di rassegna stampa, assistita da mezzi informatici. Ma il punto più importante che occorre sottolineare è che questa rassegna parte (come tutte le rassegne stampa) dal prodotto cartaceo, il quale viene rielaborato tecnicamente e distribuito.

Il principio di diritto enunciato dalla Corte è in questi termini: «L’atto di stampa di un estratto composto da undici parole, effettuato nel corso di un procedimento di raccolta dati quale quello di cui trattasi nella causa principale, non soddisfa il requisito della transitorietà, di cui all’art. 5, n. 1, della direttiva 2001/29 e, pertanto, tale procedimento non può essere realizzato senza il consenso dei titolari dei diritti d’autore interessati».

È sorto dunque, legittimamente, il dubbio che esso potesse essere applicato anche a fattispecie similari a quelle che troviamo nel servizio Google News. Ed infatti la questione è stata sollevata dal giudice svedese nel caso Svensson (Svensson c. Retriever Sverige, caso C466/12 del 13.2.2014).

Per comprendere la differenza delle fattispecie è bene riportare, anche qui, la descrizione dell’attività della Retriever fatta dalla CGUE ai paragrafi 8 e seguenti della decisione:

«I ricorrenti nel procedimento principale, tutti giornalisti, sono i redattori di taluni articoli pubblicati, da un lato, sul giornale Göteborgs-Posten e, dall’altro lato, sul sito Internet del Göteborgs-Posten. La Retriever Sverige gestisce un sito Internet che fornisce ai suoi clienti, secondo le loro necessità, liste di collegamenti Internet cliccabili verso articoli pubblicati da altri siti Internet. È pacifico inter partes che gli articoli erano liberamente accessibili sul sito del giornale Göteborgs-Posten. Secondo i ricorrenti nel procedimento principale, se il cliente clicca su uno di questi collegamenti non si rende conto chiaramente di essere trasferito su un altro sito per accedere all’opera di suo interesse. Per contro, secondo la Retriever Sverige il cliente è consapevole del fatto che cliccando su uno di questi collegamenti viene trasferito su un altro sito.

Qui la decisione della Corte è in senso opposto a quella del caso Infopaq. Le ragioni sono molto ben esposte nella parte motiva:

«Nel caso di specie si deve rilevare che la messa a disposizione delle opere di cui trattasi tramite un collegamento cliccabile, come quello esaminato nel procedimento principale, non porta a comunicare le opere di cui trattasi ad un pubblico nuovo.

Infatti, il pubblico cui la comunicazione iniziale era diretta era costituito dal complesso dei potenziali visitatori del sito considerato, poiché, essendo a conoscenza del fatto che l’accesso alle opere su tale sito non era assoggettato ad alcuna misura restrittiva, tutti gli internauti potevano avere liberamente accesso ad esse.

Si deve pertanto dichiarare che, qualora il complesso degli utilizzatori di un altro sito, ai quali siano state comunicate le opere di cui trattasi tramite un collegamento cliccabile, potesse direttamente accedere a tali opere sul sito sul quale siano state inizialmente comunicate, senza intervento del gestore dell’altro sito, gli utilizzatori del sito gestito da quest’ultimo devono essere considerati come potenziali destinatari della comunicazione iniziale e, quindi, ricompresi nel pubblico previsto dai titolari del diritto d’autore al momento in cui hanno autorizzato la comunicazione iniziale.

Di conseguenza, in mancanza di un pubblico nuovo, l’autorizzazione dei titolari del diritto d’autore non è necessaria per una comunicazione al pubblico come quella di cui al procedimento principale.

Tale constatazione non potrebbe essere rimessa in discussione nel caso in cui il giudice del rinvio dovesse rilevare – cosa che non risulta chiaramente dagli atti – che, quando gli internauti cliccano sul collegamento in esame, l’opera appare dando l’impressione di essere a disposizione sul sito in cui si trova tale collegamento, mentre in realtà proviene da un altro sito.

Infatti, tale circostanza aggiuntiva non modifica affatto la conclusione secondo cui la fornitura su un sito di un collegamento cliccabile verso un’opera protetta, pubblicata e liberamente accessibile su un altro sito, ha l’effetto di mettere a disposizione degli utilizzatori del primo sito l’opera medesima e costituisce, quindi, una comunicazione al pubblico. Tuttavia, dal momento che non vi è un pubblico nuovo, per tale comunicazione al pubblico in ogni caso non è necessaria l’autorizzazione dei titolari del diritto d’autore.

Per contro, nell’ipotesi in cui un collegamento cliccabile consenta agli utilizzatori del sito in cui si trova tale collegamento di eludere misure restrittive adottate dal sito in cui l’opera protetta si trova per limitare l’accesso del pubblico ai soli abbonati e, in tal modo, costituisca un intervento senza il quale tali utilizzatori non potrebbero beneficiare delle opere diffuse, il complesso di tali utilizzatori dovrà essere considerato quale pubblico nuovo, che non è stato preso in considerazione dai titolari del diritto d’autore al momento in cui hanno autorizzato la comunicazione iniziale, ragion per cui per tale comunicazione al pubblico si impone l’autorizzazione dei titolari. Ciò avviene, in particolare, allorché l’opera non sia più a disposizione del pubblico sul sito in cui sia stata comunicata inizialmente o sia ormai disponibile su tale sito esclusivamente per un pubblico ristretto, mentre sia accessibile su un altro sito Internet senza autorizzazione degli aventi diritto».

È facile osservare che nel caso del servizio Google News si tratta di articoli volontariamente, liberamente e gratuitamente messi a disposizione del pubblico dall’avente diritto e che non vi è neanche la riproduzione su un sito diverso da quello su cui è stato in origine pubblicato, ma semplicemente un link a quello originario (come normalmente avviene con tutti i risultati che vengono presentati da un motore di ricerca).

In questo quadro normativo appare legittimo dubitare della legittimità comunitaria della disposizione spagnola, la quale, peraltro, all’evidenza tradisce una discriminazione nei confronti di altri importanti titolari di diritti di proprietà intellettuale. La norma, infatti, si riferisce soltanto a contenuti “divulgados en publicaciones periódicas o en sitios Web de actualización periódica y que tengan una finalidad informativa”.

Quid iuris se il servizio di ricerca (come nel caso di Google Books) facesse una rassegna sui siti degli editori riportando tutte le notizie ivi contenute, comprese le presentazioni e gli estratti?

Si ha l’impressione che rapidamente tutto il sistema dei motori di ricerca dovrebbe sottostare a obblighi di ‘equo compenso’.

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