L’analisi

Google e Facebook scoprono il ‘vangelo’ della privacy. Ma fanno solo marketing, senza i nostri dati muoiono

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Sundar Pichai, Ad di Google, e Mark Zuckerberg, Ad di Facebook, annunciano novità per difendere la riservatezza degli utenti, ma in realtà fanno solo marketing perché la privacy, finalmente, è diventata ‘first’ grazie al GDPR, un modello anche negli Usa. In realtà non cambiano i modelli di business, perché senza i nostri (Big) data muoiono.

Improvvisamente Facebook e Google si mostrano paladini della privacy, in realtà fanno solo marketing (ci è arrivata prima Apple), perché il cambio di rotta è stato imposto dallo scandalo Cambridge Analytica, dalle attese maxi-sanzioni e dall’entrata in vigore del GDPR, che ha reso, finalmente, ‘first’ la protezione e il corretto uso dei dati.

Mark Zuckerberg è passato dallo slogan ‘la privacy è morta’ a ‘il futuro è privato’ annunciando di criptare molte conversazioni e attività sul social network, perché non l’ha fatto prima? Perché Facebook non è riuscita ad evitare la fuga dei dati di 87 milioni di utenti finiti impropriamente nei server di Cambridge Analytica e utilizzati per fini elettorali, mettendo così a rischio le democrazie”, ha tuonato Carole Cadwallard, la giornalista che ha scoperto lo scandalo di Cambridge Analytica.

Sundar Pichai, Ad di Google, ha promesso, in un articolo pubblicato sul New York Times, “privacy per tutti gli utenti” di Big G. “Per noi significa che la privacy non può essere un bene di lusso offerto solo a persone che possono permettersi di acquistare prodotti e servizi premium. La privacy deve essere equamente disponibile per tutti nel mondo”, ha scritto Pichai, mettendo in evidenza le nuove soluzioni adottate dalla società per proteggere i dati degli utenti, come la possibilità di cancellare i dati di navigazione sul web e su Google Maps, dati che da 20 anni sono stati il petrolio per il suo business.

Business che, anche dopo la scoperta del ‘vangelo’ della privacy da parte di Google e Facebook, continueranno a basarsi sui nostri dati personali e big data che lasciamo quotidianamente nelle nostre vite digitali, infatti è lo stesso Ad di Google ad ammetterlo: “tuttavia un piccolo sottoinsieme di dati ci aiuta a pubblicare annunci pertinenti e a garantirci le entrate per mantenere i prodotti Google gratuiti e accessibili a tutti”. Anche Facebook, nonostante le soluzioni annunciate per rendere le sue piattaforme più a prova di privacy, non rinuncerà a sfruttare i dati degli utenti per le sponsorizzazioni dei post e video, perché, in sostanza, senza i nostri dati gli Over the Top muoiono.