Google & Ad-block

Google, con una mano toglie e con l’altra dà

di Roberto Capocelli, Privacy Italia, giornalista specializzato in economia e relazioni internazionali |

Il colosso americano sta mettendo a disposizione degli editori un servizio che permette di rilevare la presenza di un ad-blocker, mentre progetta, allo stesso tempo, di immettere sul mercato un suo ad-blocker integrato nel browser Chrome. Ma che gioco stanno giocando?

La notizia è di quelle che aiutano a capire gli equilibri di un’epoca. Google, cioè l’azienda che controlla la stragrande maggioranza della pubblicità online del mondo, lancia una crociata contro gli ad-blocker mentre progetta, allo stesso tempo, di immettere sul mercato un suo ad-blocker integrato nel browser Chrome.

Google ha infatti detto che gli ad-blocker rappresentano una minaccia per l’editoria, perché colpiscono gli introiti pubblicitari. L’azienda di Mountain View sta dunque mettendo a disposizione degli editori un servizio che permette di rilevare la presenza di un ad-blocker, costringendo il visitatore o a disattivarlo o pagare per accedere al contenuto.

La questione, in realtà, è estremamente complessa e molto inquinata da falsi miti: innanzitutto, il segreto di Pulcinella è che semplicemente la pubblicità online non è un modello di business sostenibile per l’editoria e le informazioni. E’ un fatto incontestabile, punto. Chi nega questa realtà o non sa, o millanta o mente. Dunque non sarà certo la pubblicità online a salvare il giornalismo e le imprese editoriali.

Gli unici vincitori del modello all-free sono i gestori delle piattaforme che sfruttano il network effect per collezionare dati, accentrare la vendita pubblicitaria e utilizzare i dati degli utenti per addestrare gli algoritmi all’intelligenza artificiale.

Secondo poi, di fatto ,gli ad-blocker hanno aiutato gli utenti a rapportarsi con due problemi importanti: quello della privacy, da un lato, e della tutela del consumatore dall’altro. Bloccando gli ad, infatti, i programmi ad-blocker aiutano anche gli utenti a proteggere un minimo i dati personali visto che molte delle pubblicità online contengono anche codici traccianti e cookie.

Inoltre, se è vero che il trade-off è pubblicità in cambio di accesso, è anche vero che non si può forzare l’utente a esperienze di navigazione snervanti, da un lato, e a rallentare la navigazione per permettere alla pubblicità di caricarsi dall’altro.

Proprio per questo la grande G ha promesso un ad-blocker che filtri gli annunci ritenuti inaccettabili e fastidiosi garantendo, ça va sans dire, il lasciapassare ai propri di annunci.

Ora, anche la questione degli annunci pubblicitari inaccettabili è complessa e meriterebbe un approfondimento a parte: di sicuro c’è che, in una duopolio di fatto come quello della pubblicità online, un ulteriore strumento tecnico che permette ai soliti noti di centralizzare ancora di più non sembra essere una soluzione sana ne’ auspicabile.

Di fronte a questa complessità la mossa di Google viene, naturalmente, presentata sotto la classica narrativa Silicon Valley di “aiutare gli editori” ad affrontare il problema. Ma, retoriche commerciali a parte, Google aiuta di fatto solo se stessa.

Di fronte a questo strapotere le leggi non basteranno e, se davvero si vuole una società più libera, si dovranno investire risorse per creare un modello alternativo anche sul piano delle infrastrutture telematiche, degli algoritmi e delle piattaforme.

Vale il vecchio detto: aiutati che Dio ti aiuta. Non certo Google.