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Frequenze Tv, migrazione da banda 700. Parte domani il tavolo del Mise

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Mentre l’asta 5G è ancora in corso, domani la prima riunione di incontri al Mise del Tavolo di coordinamento 4.0 per accompagnare le emittenti nella migrazione dalla banda 700.

Mentre l’asta 5G è ancora in corso, con i rilanci che hanno già superato i 4 miliardi di euro e non si esclude che raggiungano offerte complessive per 5 miliardi, si apre domani il primo round di incontri al Mise del Tavolo di coordinamento 4.0, istituito dal ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro  Luigi Di Maio, che domani presiederà il confronto volto ad accompagnare le emittenti televisive nell’era del digitale post 700 Mhz (Qui il PDF del Decreto, con tutti i partecipanti).

 

La banda 700 è stata oggetto della gara 5G, ha fruttato quasi 2 miliardi alle casse dello Stato, e i broadcaster che oggi la occupano per la trasmissione del segnale digitale terrestre dovranno lasciarla alle telco in vista del 5G a partire dal 30 giugno 2022. Nel frattempo, come previsto dalla Legge di Bilancio, il Mise in collaborazione con l’Agcom e le associazioni che rappresentano tv locali e nazionali sono chiamati a collaborare per trovare un percorso comune per il rilascio meno traumatico possibile della banda 700.

Non sarà certo una passeggiata per le emittenti, soprattutto le locali, che dovranno fare i conti con una netta riduzione dello spazio frequenziale e anche i cittadini dovranno essere ben consapevoli delle implicazioni di questa migrazione.

Un’operazione complessa per le emittenti, che vedranno ridotto lo spazio nel quale attualmente trasmettono, ma anche per i cittadini che in molti casi dovranno acquistare un nuovo tv o decoder.

 

Uno dei temi più controversi sul tavolo del Mise, oggetto di una precedente segnalazione dell’Agcom, riguarda la riserva di un terzo delle frequenze per il digitale terrestre alle emittenti locali. Con la contrazione delle risorse spettrali e dei mux per il digitale terrestre, lo spazio per le emittenti locali si restringerà e non pochi broadcaster nazionali temono di non trovare posto sufficiente sulle frequenze in banda sub 700 su cui potranno trasferire il loro segnale.

Di fatto, dopo la migrazione dai 700 Mhz le frequenze per le tv nazionali passeranno da 20 a 10 mux, mentre alle locali ne andrebbero 4 più parte di un mux regionale della Rai. L’allocazione sarebbe inefficiente perché nel frattempo diverse emittenti locali hanno chiuso i battenti e altre lo faranno prima del 2022, perché un altro nodo riguarda gli indennizzi per la rottamazione delle frequenze, par a circa 300 milioni di euro, che secondo le locali sono insufficienti.

C’è da dire però che in Italia ci sono più di 600 emittenti televisive locali, molte delle quali trasmettono quasi esclusivamente televendite. Una formula che non può più reggere nel 2018, in temi di 5G e con la carenza cronica di risorse spettrali per i nuovi servizi promessi dall’IoT e da Industria 4.0.

Resta quindi da capire se la riserva obbligatoria da destinare alle tv locali resterà di un terzo del totale o se prima del 2022 le cose cambieranno a favore delle emittenti nazionali. Anche perché un’altra novità importante contenuta nella Legge di Bilancio riguarda il cambiamento dei diritti d’uso delle frequenze a diritti di “capacità trasmissiva” da assicurare ai fornitori di contenuti in base alle loro reali esigenze e a criteri economici che prendono in considerazione numero di addetti e fatturati.

Come calcolare la capacità trasmissiva da assegnare alle emittenti è ancora da stabilire. E il Tavolo 4.0 sarà il luogo deputato a creare i nuovi meccanismi.

Il passaggio al nuovo standard del digitale DVB-T2, fissato per il 2022, preceduto dal cambiamento di codifica, da Mpeg-2 a Mpeg-4, che i televisori più vecchi potrebbero non sostenere senza l’ausilio di un decoder.

Il passaggio alle nuove frequenze post 700 Mhz avverrà poi in maniera sfalsata, con le locali che inizieranno a ricevere risorse sostitutive a partire dal 2020, mentre lo spegnimento delle nazionali è fissato a giugno 2022.

L’adeguamento degli impianti di trasmissione sarà inoltre una voce di costo per le emittenti, a fronte di contributi statali di un centinaio di milioni.

La roadmap per gli utenti. Entro il 2022, (c’è quindi un lasso di tempo di cinque anni), gli utenti italiani dovranno munirsi di un televisore nuovo o di un decoder che supporta il nuovo codec di compressione delle immagini HEVC.

Dal primo gennaio di quest’anno, le aziende produttrici di televisori sono obbligate a utilizzare solo sintonizzatori digitali in grado di ricevere in DVBT2, trasmettere in Mpeg4 in questo periodo di transizione e successivamente in HEVC o H.264.

Da quest’anno, i nuovi televisori sono gli unici a poter essere commercializzati. Il problema del decoder si porrà principalmente per i vecchi Tv ed è per questo che in prospettiva saranno con ogni probabilità il secondo e il terzo televisore di casa che avranno bisogno di un decoder.

Tetti pubblicitari. Nel frattempo, il settore televisivo vive un nuovo fronte di frizioni legato alla volontà del Governo di mettere un tetto agli spot televisivi, per ridistribuire la pubblicità fra tv e carta stampata. Il sottosegretario con delega all’Editoria Vito Crimi ha lanciato il sasso una decina di giorni fa e oggi Silvio Berlusconi ha detto la sua senza troppi giri di parole.

“Hanno annunciato misure sui tetti pubblicitari che farebbero chiudere Mediaset il giorno dopo”. Il Presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi, non usa mezzi termini definendo l’esecutivo (“soprattutto i Cinque Stelle”) “nemico delle imprese”, visto che limita la libertà di quelle che “vogliono decidere dove meglio allocare la loro pubblicità”.

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