Milioni di capi prodotti a settimana, prezzi stracciati e un impatto devastante per il Pianeta. Sono le principali caratteristiche dell’ultra fast fashion, il trend affermatosi negli ultimi anni nel mondo della moda. Un modello produttivo figlio della combinazione di due colonne portanti del nostro tempo: il consumismo e la digitalizzazione. Ed è proprio sulla possibilità di arginare l’impatto ambientale e sociale della moda usa e getta, alimentata dal proliferare di piattaforme online come AlìExpress, Temu o Shein, che accende i riflettori la nuova proposta di legge del senatore Gianluca Cantalamessa (Lega).
L’obiettivo principale della legge? Regolamentare il fenomeno dell’ultra fast fashion, online e offline, attualmente fuori controllo.
I dati inquietanti che si nascondono dietro l’ultra fast fashion
Piattaforme come Shein, Temu e AliExpress sono diventate simbolo di una produzione senza sosta, capace di immettere sul mercato oltre 5.000 nuovi articoli al mese, spingendo milioni di consumatori verso un acquisto compulsivo e fugace.
Dietro questi prezzi stracciati si nascondono però dati inquietanti: il settore tessile è responsabile di circa il 10% delle emissioni globali di CO₂, consuma enormi quantità di acqua e produce centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti tessili ogni anno.
Secondo l’ISPRA, in Italia oltre 660.000 tonnellate di rifiuti tessili finiscono ogni anno in discarica o negli inceneritori. Numeri che, uniti al progressivo calo dell’occupazione nel tessile tradizionale, mettono a rischio il Made in Italy e le sue competenze manifatturiere.
Chi è dentro e chi resta fuori
Entrando nel merito della proposta, la legge distingue in particolare tra due modelli: la moda accessibile regolata, che rispetta criteri ambientali e di tracciabilità, quindi esclusa dalle sanzioni, e ultra fast fashion aggressivo, basato su sovrapproduzione, materiali scadenti e opacità delle filiere, destinatario delle nuove restrizioni.
Come “bollare” l’ultra fast fashion
In primis, il provvedimento punta ad individuare dei criteri oggettivi volti ad identificare il modello produttivo dell’ultra fast fashion. Tra questi, i più rilevanti sono sicuramente l’immissione sul mercato di migliaia di nuove referenze al mese (più di 5000), anche tramite canali digitali, l’affidamento a modelli produttivi non conformi agli standard ambientali e sociali internazionalmente riconosciuti, la mancanza di tracciabilità, di certificazioni di sostenibilità, o di strumenti digitali come il Passaporto Digitale del Prodotto e, non in ultimo, l’impiego prevalente di materiali sintetici di bassa qualità e breve durata, difficili da riciclare. E proprio su quest’ultimo punto vuole intervenire la legge, incentivando l’adozione di strategie strutturate per il fine vita dei prodotti (come programmi di ritiro, riparazione, riciclo), il riuso o la manutenzione dei capi da parte del produttore o del distributore, e l’applicazione di una classificazione di sostenibilità.
Eco-score, tasse e stop alla pubblicità: cosa prevede la legge
La proposta introduce, quindi, una serie di strumenti per rendere visibile e penalizzare l’impatto ambientale dei prodotti tessili importati o venduti in Italia, anche mediante gli e-commerce. Tra questi anche una tassazione progressiva e limiti pubblicitari.
Eco-Score Tessile Nazionale (SNET)
Secondo il testo al varo del Parlamento, ogni capo riceverà una classificazione da A a E in base alla sua sostenibilità, dalla provenienza dei materiali alle condizioni di lavoro.
I prodotti nelle classi D ed E saranno soggetti a tasse ambientali, limiti pubblicitari e possibili esclusioni da incentivi pubblici.
Divieto di pubblicità per il fast fashion
Altro paletto centrale nel provvedimento è lo “stop”, dal 1° gennaio 2026, a ogni forma di promozione diretta o indiretta per i marchi e i prodotti che rientrano nel modello “ultra fast fashion”.
Il divieto riguarda anche influencer, creator e piattaforme digitali. Verrebbe, inoltre, vietato l’uso di parole come “gratis” o “illimitato” per stimolare il consumo compulsivo.
Tassa ecologica sui pacchi extra-UE
La proposta ha un obiettivo duplice: difendere l’ambiente e proteggere l’industria europea. Tra gli interventi previsti che vanno in questa direzione, rientra ad esempio la tassa per pacchi sotto i 2 kg contenenti abbigliamento proveniente da Paesi extraeuropei: l’aggravio a carico degli importatori o delle piattaforme di e-commerce è compreso tra 2 e 4 euro.
Contributo ambientale
E ancora, le aziende che immettono sul mercato prodotti a basso punteggio ambientale dovranno versare un contributo per ogni chilogrammo di tessuto venduto:
- €0,30/kg per i capi in fascia D
- €0,50/kg per quelli in fascia E
Obblighi di trasparenza e tracciabilità
Le piattaforme dovranno, quindi, indicare origine, materiali e messaggi ambientali accanto al prezzo, promuovendo il riuso e la riparazione.
Una svolta “green” con risvolti geopolitici
Oltre a ridurre le emissioni, la legge mira a contrastare la concorrenza sleale delle piattaforme extra-UE che producono a costi e standard minimi, erodendo il tessuto produttivo italiano.
“Non si tratta di vietare la moda low cost, ma di rendere visibile il suo costo ambientale,” spiega Cantalamessa nella relazione introduttiva. “Chi inquina e sfrutta deve pagare, chi produce in modo trasparente deve essere premiato.”
Se approvata, la legge potrebbe segnare un precedente europeo nel regolamentare il fast fashion, anticipando la strategia UE sui tessili sostenibili e aprendo la strada a un’etichetta ambientale unica.
Resta da capire come reagiranno i giganti dell’e-commerce e le piattaforme social, oggi principali motori della moda “istantanea”.


