Antitrust

Facebook, scarsa concorrenza. Per questo gli regaliamo i nostri dati?

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In Italia, Belgio e Germania le Autorità Antitrust si domandano se Facebook non raccolga troppi dati sugli utenti sfruttando una posizione dominante ed “estorcendo” il loro consenso anche grazie alla sua posizione dominante nel mercato dei social media.

I dati raccolti da Facebook sono il nuovo petrolio dell’economia digitale. Dati sempre più dettagliati sulle attività online degli utenti, che si trasformano in oro sonante per gli algoritmi pubblicitari delle aziende.

Un’analisi del New York Times mette in fila le diverse inchieste aperte in Europa a livello antitrust per verificare se la raccolta massiva di milioni di dati di utenti di Facebook e no raccolti su siti di terze parti grazie al tasto “Mi piace” e analytics è stata corretta o se si tratta invece di una sorta di “estorsione” digitale, visto che non c’è abbastanza concorrenza?

Ad aprile è stata l’Antitrust italiana ad aprire un’inchiesta sul social media di Mark Zuckerberg, per verificare tra le altre cose se “ha esercitato un indebito condizionamento nei confronti dei consumatori registrati, i quali, in cambio dell’utilizzo di Facebook presterebbero il consenso alla raccolta e all’utilizzo di tutte le informazioni che li riguardano, in modo inconsapevole e automatico”.

A febbraio era stata l’Autorità per Concorrenza belga ad aprire un fascicolo su Facebook, rea a suo dire di raccogliere dati sugli utenti in mancanza di un esplicito consenso. Il regolatore di Bruxelles considera peraltro “eccessiva” la raccolta di dati su altri siti diversi dal social.

A dicembre, in Germania era stata l’Autorità per la tutela della Concorrenza tedesca a concludere in via preliminare che Facebook stava abusando di una posizione dominante raccogliendo una quantità senza limiti di dati da siti di terze parti incrociandoli poi con gli account degli utenti di Facebook.

L’Autorità tedesca è del parere che vista la dominanza di Facebook nel mercato della pubblicità online, visto che detiene il 95% del mercato in Germania (Twitter e Google Analytics raccolgono anch’essi dati, ma sono di nicchia fra i tedeschi), il consenso all’uso dei dati da parte degli utenti non è libero e volontario.

Dopo lo scandalo Cambridge Analytica, l’attenzione sulle pratiche di raccolta dati di Facebook è aumentata sollevando diversi quesiti sul valore dei dati raccolti dal social media. Se qualcosa viene venduto ad un certo prezzo, si sa esattamente quanto vale. Per i dati le cose non stanno allo stesso modo, perché il loro valore cambia a seconda dell’acquirente.

Secondo il New York Times, i regolatori europei non stanno cercando di quantificare il valore monetario preciso dei dati, ma sostengono che alcune pratiche del social media sono scorrette e svianti, pur non procurando dei danni economici diretti ai consumatori.

Con Facebook di mezzo, è difficile sapere cosa stai cedendo (in termini di dati personali) perché non sai quanto valgono e per questo motivo fare una scelta davvero informata è impossibile.

Secondo recenti dati di una ricerca condotta da Pew Research, il 68% degli adulti negli Usa utilizza Facebook. Ma l’Antitrust americana non considera il social media di Mark Zuckerberg un soggetto dominante, perché molti consumatori preferiscono Twitter, Snapchat e altre piattaforme.

Detto questo, Facebook guadagna in media 84 dollari da ogni utente negli Usa e in Canada e 20 dollari in media da ogni utente a livello globale, a fronte rispettivamente di 13,50 dollari e 5 dollari nel 2012, anno in cui sbarcò in borsa. La pubblicità mirata verso i suoi 2,2 miliardi di utenti globali ha generato ricavi per 40,6 miliardi di dollari nel 2017.

E’ pur vero che Facebook consente agli utenti di scegliere l’opt-out alla fruizione di pubblicità derivante dalla navigazione su altri siti e app, ma non possono scegliere l’opt-out rispetto alla raccolta dei dettagli delle attività che svolgono con questi servizi da parte di Facebook medesima.