Dibattito

F. Vatalaro (UniTorVergata): ‘Open Fiber, concessione a serio rischio. L’azienda andrebbe commissariata’

di Francesco Vatalaro Università di Roma Tor Vergata |

Dal punto di vista giuridico, si possono nutrire fondati sospetti sull’intervenuta decadenza della concessione ventennale, in base alla Lex specialis di gara per le aree bianche.

Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera di Francesco Vatalaro, professore ordinario di Telecomunicazioni, Università di Roma Tor Vergata:

Caro Direttore,

ho letto con interesse il tuo articolo del 17 gennaio 2023 intitolato E se invece separassimo la rete di Open Fiber? ove ipotizzi il breakup dell’operatore in OF1 (Open Fiber 1) per le aree nere, cioè quelle competitive, e OF2 (Open Fiber 2) che rileverebbe i progetti a finanziamento pubblico nelle aree bianche e grigie del Paese, a fallimento di mercato e scarsamente competitive. Rappresenta finalmente un punto di vista nuovo che merita di essere approfondito, in quanto potenzialmente risolutivo di un elemento di complessità dell’attuale scenario delle Tlc.

Open Fiber è a tutti gli effetti un’impresa parastatale, a controllo Cdp (60%), che presenta una partecipazione di minoranza di un soggetto privato, il fondo Macquire (40%). Separare i due rami d’azienda, però, non può essere fatto d’imperio, neppure in questo caso: dovrebbe essere una decisione del Cda, con il pieno accordo della minoranza, comunque da tutelare quanto meno per ragioni evidenti di immagine dell’Italia sui mercati. Coinvolgere il socio di minoranza dovrebbe quindi implicare l’offerta di Cdp a Macquire di rilevare l’intera partecipazione di OF1, salvo conguaglio. Sotto certe condizioni, una valutazione economica dei due rami d’azienda potrebbe anche comportare un incasso da parte di Cdp da riallocare nelle Tlc, ad esempio nella stessa Tim con un aumento della sua partecipazione che sembrerebbe andare nella direzione auspicata dal Governo.

Come gestire OF2 rimane un problema. Tu proponi la confluenza in Tim.

Se si esclude il legittimo desiderio di qualsiasi impresa privata di eliminare un concorrente di mercato, Tim non può avere alcun interesse a farsi carico di OF2 neppure, come hai ipotizzato, a fronte di “un aumento di capitale riservato” ossia in buona sostanza di un incentivo economico. Per quanto questo possa essere cospicuo (e, poi, chi paga?) vi sono difficoltà, a mio parere insormontabili, di natura tecnico-ingegneristica e giuridiche.

Dal punto di vista tecnico, la rete di OF2 è strutturalmente diversa dalla rete ottica di Tim. Ricordo che in passato Tim ha già sperimentato una situazione con qualche analogia, quantunque assai meno complicata da gestire, quando nei primi anni 2000 le fu richiesto – e la sventurata rispose – di acquisire la rete di torri dell’operatore mobile BLU: erano incompatibili e le dismise tutte.

Dal punto di vista giuridico, si possono nutrire fondati sospetti sull’intervenuta decadenza della concessione ventennale (articoli 7.4, 31, e 33.3 della Lex specialis di gara per le aree bianche): si noti che, quantunque Infratel Italia ad oggi non si sia mai espressa, un acquisto implica un audit. Poniamo il caso: se la decadenza fosse avvenuta, che cosa acquisterebbe Tim?

Una situazione giuridica così intricata è probabilmente senza precedenti. Se la concessione è decaduta ma lo Stato non ha esercitato il suo diritto-dovere di ritirarla formalmente, allo scadere dei vent’anni cosa accadrebbe? Potrebbe lo Stato pretendere la rete che aveva commissionato in gara da un soggetto privato che la ha incautamente acquistata? Ma potrebbe mai Tim acquistare un asset che non genera ricavi e di cui non è neppure certa l’esistenza in vita? Dubito che un amministratore sano di mente possa procedere in tal senso.

Ma vi è anche il punto di vista dell’Etica. Sì, esiste l’etica del business, e anche lo Stato dovrebbe attenervisi quando, come nella vicenda di Open Fiber, si improvvisa “Stato imprenditore” (ricordi quante chiacchiere, Direttore?). Ebbene, il problema Open Fiber lo ha creato lo Stato e lo Stato dovrebbe risolverlo. Non vedo, dunque, altra via d’uscita se non il commissariamento ex art. 11 Legge 23 agosto 1988, n. 400.

Tuttavia, qualsiasi sia la soluzione del rompicapo, credo che il Governo – certo, quello di oggi diverso da quello che nel 2015 ha creato tutta questa confusione – dovrebbe apprendere la lezione: l’errore di entrare a gamba tesa in un mercato regolato come quello delle Tlc prima o poi lo si paga tutti. Questo potrebbe tornare utile anche nella questione parallela e ben più rilevante per il futuro delle Tlc italiane che ha deciso di affrontare: l’assetto di Tim.

Con stima.

Francesco Vatalaro