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Europa, come gli investimenti potrebbero aumentare di 512 miliardi senza compromettere la stabilità finanziaria

Gruppo discussione

Sintesi

L’Unione Europea deve valorizzare quattro fattori cruciali per il suo sviluppo futuro: a) l’esistenza di un abbondante risparmio interno, b) una continua crescita della domanda di nuovi “beni comuni” dei cittadini in un’economia dei servizi e della conoscenza, c) lo sviluppo continuo delle competenze di eccellenza dei lavoratori e delle imprese, d) una consolidata storia di cooperazione a livello europeo. Tuttavia, gran parte del risparmio interno viene investito in attività finanziarie estere, i bisogni dei cittadini sono largamente insoddisfatti sia nelle aree metropolitane che nelle aree periferiche, la disoccupazione soprattutto dei giovani è troppo elevata e le tensioni e la frammentazione politica sono aumentate sia all’interno che tra i diversi Paesi europei.

L’aumento delle disparità interne, il rallentamento della crescita del PIL europeo e le nuove sfide internazionali (migrazioni, prezzi petrolio, guerre commerciali, tassi di cambio e di interesse, ecc.) indicano che è necessario un cambiamento radicale delle politiche macro-economiche europee, sia quelle di bilancio pubblico che quelle monetarie. L’articolo illustra quindi gli obiettivi e gli strumenti di una nuova politica industriale e regionale a scala europea. Una crescita maggiore è compatibile con l’equilibrio finanziario a scala europea e quindi con un ribilanciamento della differenza (pari a 512 miliardi di euro) tra gli investimenti interni totali e la somma algebrica dei risparmi pubblici, delle famiglie, delle imprese e delle organizzazioni finanziarie nei diversi Paesi. Tutti gli attori: i governi, le famiglie, le imprese e le banche possono o devono partecipare a una strategia comune che potenzi la fiducia degli investitori e dei consumatori, gli investimenti materiali e immateriali e le infrastrutture sul territorio e valorizzi le risorse inutilizzate disponibili nei diversi Paesi.

L’articolo propone il passaggio da un approccio incrementale alla crescita ad un cambiamento “disruptive” della politica economica. Non è sufficiente l’export per sostenere la crescita ed è necessario aumentare la domanda interna e in particolare gli investimenti interni fino a ridurre un inutile surplus della bilancia esterna corrente e avviare progetti di investimento comuni raccogliendo le risorse finanziarie e fiscali indispensabili in modo equo tra i diversi Paesi. Sono necessarie politiche che mirino a stimolare e orientare gli investimenti privati e pubblici verso nuove produzioni innovative e lo sviluppo della conoscenza, a investire nella formazione, nella ricerca e progettazione, ad aumentare la produttività e i salari, a stimolare la domanda di nuovi beni e servizi di alta qualità e di interesse collettivo e infine a sviluppare la solidarietà tra i diversi attori economici (“stakeholders”) all’interno dei singoli Paesi e a rafforzare la fiducia reciproca e l’identità comune europea, creando un consenso ampio tra i vari Paesi dell’Unione Europea per una strategia da realizzare insieme.

Gli investimenti potrebbero aumentare di 512 miliardi senza compromettere la stabilità finanziaria

La crescita economica nell’Unione europea e in particolare nell’area dell’euro dopo nove anni dalla crisi finanziaria è ancora tra le più basse del mondo (2,4% nel 2017, 2,0% nel 2019 e 1,9% nel 2010), inferiore a quella degli Stati Uniti (2.2% – 2.9% – 2.5% rispettivamente) e chiaramente inferiore a quella dei paesi emergenti, come la Cina (6.9% – 6.6% – 6.2%, Fonte IMF World Economic Outlook: October 2018).

Inoltre il rallentamento previsto nel 2019 sia nell’economia europea che in gran parte dell’economia mondiale richiede l’inizio di nuove politiche economiche nell’Unione Europea e chiaramente soprattutto in Italia.

L’economia tedesca si è ridotta per la prima volta dall’inizio del 2015 e nel terzo trimestre 2018 il PIL ha subito una contrazione dello 0,2 percento, che è stata peggiore del previsto e la più grande in più di cinque anni.

D’altro lato in Italia la variazione del PIL rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente secondo l’Istat è in continua diminuzione dal secondo trimestre 2017 (1,7%) e è stata pari a solo lo 0,8 percento nel terzo trimestre 2018.

Il tasso di crescita della produzione industriale rispetto allo stesso mese dell’anno precedente è sceso nel 2018 dal 3,6 per cento in aprile al 1,3 per cento in settembre e l’indice IHS Markit PMI® Composito Eurozona in ottobre in Italia è stato pari a 49.3 (minimo in 59 mesi; valori inferiori a 50 indicano una diminuzione).

I disoccupati in Italia, che erano costantemente diminuiti negli ultimi mesi, sono tornati ad aumentare nel mese di ottobre (2,613 mil. lavoratori) e il tasso di disoccupazione è il 10,1% e quello della disoccupazione giovanile il 31,6%: ambedue tra i più alti in Europa e inferiori solo a quelli di Grecia e Spagna.

Inoltre, gli investimenti fissi lordi nell’area euro sono diminuiti nel periodo 2007-2018 del 1,5 per cento e del 19,5 per cento in Italia (Fonte European Commission, November 2018).

Lo sviluppo futuro dell’economia europea dipende certamente da sfide esterne, come le migrazioni internazionali e la competizione con grandi Paesi come Stati Uniti, Cina e Russia, ma i fattori della crisi economica e politica nell’Unione Europea sono soprattutto interni e dipendono dall’instabilità politica di tutti i paesi europei e delle stesse istituzioni comunitarie. Inoltre, dipendono dalla crescita delle disparità sociali e economiche tra i diversi paesi e all’interno di ciascun paese, come anche da un’inadeguata qualità dell’ambiente sia naturale che nelle aree urbane più congestionate.

Le condizioni oggettive di vita sono peggiorate e non indicano una prospettiva di miglioramento soprattutto per i giovani. Va aggiunto che i sempre maggiori livelli di istruzione e di tempo libero portano i cittadini a chiedere una partecipazione attiva alle decisioni politiche e a opporsi in modo più deciso alla rigidità e all’arroganza dell’”establishment” (governi, banche e grandi imprese) a livello nazionale e internazionale.

La crescente insoddisfazione nelle politiche dell’Unione europea ha portato alla Brexit, alle sconfitte elettorali dei partiti di centro, all’aumento elettorale dei partiti populisti, al cambiamento delle maggioranze governative in quasi tutti i paesi negli ultimi anni. In generale, l’aumento delle disparità e il crescente sentimento di frustrazione stanno portando a una mancanza di fiducia, a una crescente chiusura nazionalista, alla mancanza di consenso su obiettivi comuni e alla frammentazione dell’economia e della società europea.

È quindi necessario modificare un approccio di politica economica che ha portato a questi risultati negativi e definire al più presto le linee guida di un programma del prossimo Parlamento Europeo e della Commissione dell’Unione Europea nella prospettiva delle prossime elezioni europee nel 2019.

E’ sempre più diffusa la critica al paradigma neo-liberista dominante negli anni ’90 e al conseguente strapotere dell’establishment, pubblico e privato, industriale e finanziario, che è stato favorito da politiche economiche di austerità fiscale e di aumento della liquidità e salvataggio delle banche, privatizzazione e deregolamentazione indiscriminata e riduzione dei servizi sociali e degli investimenti pubblici.

Le politiche economiche in Europa si sono focalizzate sulle misure di politica monetaria, sui vincoli dei bilanci pubblici, sulla flessibilità del mercato del lavoro e sulle altre “riforme stutturali” e quindi non hanno focalizzato l’attenzione sul mondo delle imprese e sui fattori che hanno determinato una riduzione della loro propensione all’investimento, deprimendo le capacità innovative e la produttività di lungo periodo. Questo ha portato a trascurare i molti fattori, come il cambiamento nei modelli di business delle imprese, nei modelli di consumo dei cittadini e nella forma delle relazioni tra i diversi attori che fanno parte dei sistemi nazionali di produzione e innovazione. Questi fattori non sono direttamente modificabili con politiche di tipo macro-economico e che richiedono opportune politiche industriali e regionali.

Infatti, il continuo aumento di coloro che protestano contro le politiche di austerità o persino che vogliono lasciare l’Unione (come il Regno Unito e molti partiti “sovranisti” negli altri Paesi), indica che c’è un forte divario tra le istituzioni europee e l’elettorato nei vari paesi membri e hanno determinato fratture nel consenso popolare su modelli di crescita e forme di democrazia. Pertanto, sembra che sia arrivato e non possa essere ulteriormente rinviato il momento per un cambiamento nella politica economica europea.

Nell’area dell’euro, la variazione degli investimenti nel periodo 2007-2017 è stata negativa (-148 mil.), come indicato nella tabella 1. Tuttavia, il saldo della bilancia corrente con l’estero è stato molto positivo nel 2017 (436 miliardi). Ciò implica un deflusso di fondi finanziari dall’area dell’euro verso il resto del mondo, che invece avrebbero potuto essere utilizzati per finanziare investimenti all’interno dell’Unione Europea. Pertanto, il livello degli investimenti e il livello corrispondente della domanda interna potrebbero essere molto più elevati, senza determinare un deficit nel saldo esterno. In particolare in Germania, Italia e Spagna il livello degli investimenti avrebbe potuto essere molto più elevato, consentendo un maggiore tasso di crescita del PIL. Al contrario, nel caso della Francia e del Regno Unito, la crescita degli investimenti nel 2017 rispetto al 2007 è stata sostenuta da un disavanzo del saldo corrente e ciò ha certamente contribuito al più alto tasso di crescita del PIL di questi paesi rispetto all’Italia e alla Spagna, dove l’austerità nei bilanci pubblici e la politica di riduzione della leva finanziaria delle imprese private hanno avuto un impatto negativo sulla crescita del PIL.

La politica “mercantilistica” volta ad espandere le esportazioni piuttosto che la domanda interna dell’Unione europea e in particolare di alcuni paesi (Germania, Paesi Bassi e Italia) ha mirato a favorire la competitività internazionale a breve termine delle imprese, piuttosto che l’aumento dei salari, del reddito disponibile, della domanda per consumi e della propensione a investire e a innovare. In effetti, le politiche di austerità dei bilanci pubblici e l’elevata tassazione delle famiglie e dei redditi di capitale sono state la causa di uno squilibrio strutturale tra domanda e offerta interna, poiché hanno ridotto gli investimenti interni e il consumo, sia privati che pubblici.

Pertanto, una priorità nella politica economica europea dovrebbe essere quella di ridurre l’eccessivo saldo positivo della bilancia corrente complessiva dell’area dell’euro, che è il più grande del mondo e persino superiore a quello della Cina, al fine di ripristinare l’equilibrio tra domanda interna e l’offerta aggregata o tra il risparmio interno e gli investimenti.

La necessità di perseguire questo obiettivo nelle politiche europee è stato inizialmente proposta in un ebook pubblicato dal Gruppo di Discussione “Crescita degli investimenti e territorio” (2017: https://economia.uniroma2.it/dmd/crescita-investimenti-e-territorio ). In particolare, essa è rilevante ora nella discussione sul “bilancio europeo a lungo termine” e sui bilanci europei annuali nei prossimi anni 2018-2020. Questo implica anche un cambiamento dei parametri europei utilizzati per valutare i bilanci pubblici nazionali.

Infatti, le recenti previsioni della Commissione Europea (Autumn 2018) per il 2018 e 2019 sono previsioni “neutrali” a politica invariata (o basate sulle politiche già annunciate dai vari governi per il 2019, analoghe a quelle negli anni passati), mentre sarebbero possibili risultati ben diversi se si facessero delle politiche economiche più appropriate a livello europeo. Infatti, il rallentamento attuale della crescita europea potrebbe essere contrastato efficacemente da un’adeguata strategia europea di politica industriale che rilanciasse gli investimenti privati e pubblici, senza compromettere la stabilità finanziaria.

In particolare, le implicazioni macroeconomiche per l’economia dell’area dell’euro di nuove politiche economiche possono essere illustrate con un esempio numerico, come indicato nella tabella 2. Infatti, se le esportazioni sono considerate come fisse, sarebbe possibile aumentare la domanda interna e le importazioni di un valore esattamente uguale al saldo corrente positivo atteso nel 2019 e questo porterebbe a un aumento del PIL nel 2019 dello stesso importo. Pertanto, la domanda interna e le importazioni potrebbero aumentare senza compromettere la stabilità finanziaria esterna o l’equilibrio tra esportazioni e importazioni dell’economia europea complessiva.

La stima indicata nella tabella 2 si basa sul presupposto che le quote sul PIL dei consumi privati e pubblici potrebbe essere le stesse che nell’anno di riferimento 2017. Pertanto, gli investimenti potrebbero essere aumentati fino ad un livello pari alla differenza tra il nuovo livello obiettivo del PIL e la somma dei consumi privati e pubblici.

Source: elaboration by R. Cappellin (2018) on data: European Commission Economic and Financial Affairs AMECO (Last Update 8 November 2018), http://ec.europa.eu/economy_finance/ameco/user/serie/ResultSerie.cfm

Secondo questi calcoli, il tasso di crescita del PIL nel 2019 nell’area dell’euro potrebbe essere il 6,3%, e quindi superiore all’1,9% indicato nelle previsioni della Commissione europea nell’autunno 2018 o il PIL potrebbe crescere di 463 miliardi. In particolare, gli investimenti nell’area dell’euro potrebbero essere superiori di 512 miliardi di euro a quelli attualmente previsti per il 2019 e      quindi aumentare del 25,7% rispetto al livello degli investimenti nel 2018 e potrebbero essere mantenuti costanti a questo livello negli anni successivi senza compromettere l’equilibrio del saldo corrente esterno. Anche il tasso di crescita dei consumi privati (8,5%) e quello dei consumi pubblici (2,5%) potrebbero essere ben maggiori rispetto a quello previsto dalla Commissione Europea per il 2019.

Questa stima si basa su una consolidata teoria economica come il modello di Thirlwall (1979), secondo la quale il PIL che garantisce l’equilibrio della bilancia commerciale è determinato dal livello delle esportazioni e dalla propensione al consumo e all’importazione:

ΔX = (m c) * ΔY

dove (m) è la propensione all’importazione e (c) la propensione al consumo, (X) sono le esportazioni e (Y) è il PIL. Rispetto al modello di Thirlwall, la stima nella tabella 2 è molto più prudente, e da risultati certamente inferiori alla realtà, dato che si basa sull’ipotesi certamente limitativa di una propensione all’importazione (m) uguale a uno o che tutto il PIL addizionale porterebbe a maggiori importazioni, mentre nella realtà gran parte della maggiore domanda sarebbe prodotta internamente. Inoltre, la semplice stima presuppone che i moltiplicatori dei consumi e degli investimenti siano uguali, mentre gli investimenti potrebbero avere un moltiplicatore più elevato.

Chiaramente, un limite del calcolo di cui sopra è che presuppone che la capacità produttiva inutilizzata nell’area dell’euro sia elevata e che sia possibile aumentare la produzione interna, aumentando la produttività e l’occupazione, in modo da far fronte all’aumento della domanda interna e del PIL. Ciò sembra certamente possibile, dato l’elevato numero di disoccupati nell’area dell’euro e il fatto che i maggiori investimenti e l’innovazione indotta certamente aumenterebbero il PIL potenziale.

Pertanto, la stima presentata nella tabella 2 dimostra che l’area dell’euro potrebbe aumentare significativamente gli investimenti, e quindi la domanda interna e il PIL, senza compromettere la stabilità finanziaria esterna dell’Unione Europea o continuando a vivere “entro i limiti delle proprie risorse “, a differenza di quanto accade effettivamente non solo negli Stati Uniti, ma anche in paesi europei come la Francia e il Regno Unito, che hanno un saldo esterno negativo elevato. L’aumento della crescita futura degli investimenti e della produttività rappresenta per l’Unione Europea un obiettivo politico più solido rispetto a mantenere un eccesso di risparmio sugli investimenti, determinando l’accumulo di attività finanziarie all’estero e un basso livello di investimenti materiali e immateriali e della domanda interna.

Questa stima è stata elaborata dal Gruppo di Discussione “Crescita, Investimenti e Territorio” che è un “think-tank” indipendente o “cross-party”, che unisce esperti economici e non economici in molteplici settori e che mira ad esplorare l’impatto della ricerca economica sulla politica e le istituzioni e a promuovere e migliorare le politiche pubbliche. Negli ultimi anni, il Gruppo ha elaborato una serie di pubblicazioni, in cui sono indicati in modo preciso e operativo le caratteristiche di una nuova politica economica europea che miri a promuovere l’innovazione, gli investimenti, la qualità della vita nelle città europee e nel territorio e in cui la crescita dell’economia europea sia trainata dalla domanda interna (Gruppo di Discussione 2017 e 2018).

Chiaramente una politica di questo tipo richiede che i paesi più sviluppati in Europa, nei quali ci sono le produzioni e le imprese più innovative (“disrupters) siano i primi ad iniziare questo nuovo ciclo di sviluppo, in modo che successivamente la ripresa si possa estendere ai paesi a livello intermedio di sviluppo, che certo da soli non avrebbero la possibilità di agire in controtendenza, ma possono solo svolge il ruolo di “moltiplicatore” dell’impulso iniziale. E’ inoltre vero, che nei paesi a livello minore di sviluppo come l’Italia, i Governi hanno dimostrato finora di non avere la consapevolezza della possibilità di una nuova strategia di crescita e quindi non sono stati in grado di fare adeguate proposte per una diversa politica economica alla Commissione europea.

E’ quindi necessario il passaggio da un approccio incrementale della crescita economica a un cambiamento “disruptive” della politica economica nazionale e europea anche a causa della rapidità dei processi di innovazione che attualmente avvengono in tutte le produzioni. Infatti, lo sviluppo economico non è dato da una crescita incrementale nelle stesse imprese, negli stessi settori e nelle stesse aree territoriali, ma richiede un’accelerazione del cambiamento strutturale.

Con lo sviluppo economico e l’aumentare dei livelli di reddito, dei livelli di istruzione e anche l’aumento del tempo libero dei cittadini aumenta il bisogno di servizi di interesse collettivo rivolti non solo ai singoli ma a gruppi di cittadini: Questi servizi valorizzano le relazioni di interdipendenza nel consumo tra i diversi individui e l’interdipendenza cross-industry tra molteplici settori. Tali beni sono definiti in modo diverso dalla teoria economica, come: beni pubblici, beni comuni, beni club o beni relazionali.

Secondo la definizione dei beni pubblici nella teoria economica (le condizioni di non esclusione e non-rivalità), possono essere definiti come «beni comuni a scala europea» quelli per i quali sono cruciali le esternalità di rete e l’omogeneità delle preferenze, ancor più che il concetto neoclassico di economie di scala (“sussidiarietà verticale”). Pertanto, l’intervento europeo dovrebbe concentrarsi su quei beni che hanno uno specifico “valore aggiunto comunitario”, come: i beni storico culturali, la conoscenza, la cultura, l’ambiente urbano e naturale che possono essere condivisi da tutti i cittadini europei. In generale è necessario che l’azione comune delle istituzioni europee assieme a quella dei governi nazionali e regionali miri a soddisfare i bisogni da parte dei cittadini europei di abitazione, tempo libero e cultura, di crescita economica e occupazione, di formazione e salute, di sostenibilità ambientale. In particolare, è un bisogno dei cittadini tuttora insoddisfatto quello di una prospettiva di progresso economico futuro e di un equilibrio tra una forte identità collettiva e un’autonoma differenziazione individuale. Pertanto, sono anche bisogni collettivi quelli di partecipazione politica, solidarietà sociale verso i più deboli, di giustizia, di lotta alla corruzione e di sicurezza.

Pertanto, il rilancio dell’economia europea deve partire, innanzitutto, dall’individuazione dei bisogni nuovi dei cittadini in un’economia dei servizi e della conoscenza e delle opportunità esistenti di sviluppo di nuove produzioni, mirate a soddisfare questi bisogni. L’obiettivo delle politiche economiche europee deve essere quello di assicurare a tutti i cittadini e non solo ai ricchi e/o ai residenti nelle grandi aree metropolitane, ma anche ai cittadini più poveri e a quelli che vivono nelle diverse aree regionali periferiche, possano godere di una qualità della vita elevata e paragonabile a quella di cui godono i cittadini più ricchi e nei paesi e nelle regioni più prospere.

E’ necessario che il bilancio pubblico dei singoli Stati e dell’Unione Europea preveda adeguati investimenti pubblici e incentivi fiscali e finanziari a investimenti privati, sia in infrastrutture e macchinari che anche in ricerca e formazione di base e continua, per la creazione di nuove produzioni, maggiori posti di lavoro soprattutto per giovani e donne, un rafforzamento della formazione universitaria e specialistica, un miglioramento della salute, dei trasporti, del risparmio energetico, la tutela dei beni storico-culturali, dell’ambiente naturale e la difesa del territorio dalle catastrofi naturali. E’ necessario che la politica dell’innovazione e degli investimenti o la politica industriale in senso lato non promuova solo l’offerta da parte delle imprese e del settore pubblico, ma anche la domanda da parte dei cittadini di nuovi beni e servizi di natura collettiva, tenuto conto delle diverse specificità dei paesi e del territorio considerati.

Il modello di “globalizzazione” basato sulla libera circolazione di beni e capitali e della “libera impresa”, nonché il modello opposto del “localismo / sovranismo”, limitano entrambi l’integrazione economica tra i vari paesi e sono inadeguati in una moderna società della conoscenza, in cui è importante il processo di apprendimento interattivo tra gli individui e tra le comunità locali anche di Paesi diversi, e quindi sono necessarie forme molto strette di integrazione economica a scala internazionale e interregionale.

In conclusione, l’Unione europea non deve solo mirare a obiettivi “negativi/difensivi”, come quello di prevenire i conflitti interni, difendersi da pericoli esterni o ridurre gli ostacoli alla libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone, ma deve anche agire in modo “proattivo” e mirare a raggiungere obiettivi comuni, avviare progetti di investimento comuni e raccogliendo le risorse finanziarie e fiscali indispensabili in modo equo tra i diversi Paesi.

Infine, è necessario promuovere un ampio consenso tra i vari paesi dell’Unione europea su una strategia comune, da realizzare insieme. Di fatto, l’Unione europea è sottoposta a sfide e tensioni enormi e ciò richiederebbe politiche comuni volte a rafforzare la sua identità comune, che riguarda il sentimento di appartenenza comune dei cittadini europei e la condivisione di valori sociali e culturali comuni. Ciò rappresenta il presupposto per rafforzare le istituzioni europee, come è necessario per intraprendere azioni comuni volte ad un futuro sostenibile più coraggiose da parte dei vari paesi. Inoltre, per garantire una maggiore partecipazione dei cittadini alle decisioni politiche, è necessaria una politica di riforme istituzionali che regoli i poteri dei diversi livelli governativi e tra i settori pubblico e privato (“governance multilivello”).

Riferimenti

Cappellin, R. (2018), Europe between globalization and fragmentation: the role of the European common identity, paper presented at the Congress of the AISRe, Bolzano, 17-19 September 2018.

Discussion Group “Investment Growth and Territory” (2017), The role of investment and innovation in a program of economic recovery in the EU and in Italy, in Cappellin R., Baravelli M., Bellandi M., Camagni R., Capasso S., Ciciotti E., Marelli E. (2017), eds., Investments, innovation and new business strategies: what role for the new industrial and regional policy? Milan: Egea.

Discussion Group “Investment Growth and Territory” (2018), For a government program that raises investments and reduces inequalities: the response to the needs of citizens drives the growth of the economy, with articles by Riccardo Cappellin, Maurizio Baravelli, Luciano Pilotti, Enrico Marelli, Leonardo Becchetti, Key4biz.it, June.

Discussion Group “Investment Growth and Territory” (2018 forthcoming), Document: “Discover the sense of common ownership and the trust in the future of the European Union: a program for European economic policies after the 2019 elections“.

Articolo di Riccardo Cappellin[1], Maurizio Baravelli[2], Enrico Ciciotti[3], Enrico Marelli[4] e Luciano Pilotti[5]

Contatti

Gruppo di Discussione “Crescita Investimenti e Territorio”

cappellin@economia.uniroma2.it

[1] Università di Roma “Tor Vergata”

[2] Università di Roma “Sapienza”

[3] Università Cattolica di Piacenza

[4] Università di Brescia

[5] Università di Milano

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