Il regolamento Ue

ePrivacy, prosegue lo stallo sul regolamento Ue per WhatsApp & Co

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Regolamento ePrivacy in stallo nella Ue. Gli Stati membri non trovano la quadra sulle nuove norme da imporre ai servizi di messaggistica degli OTT e all'uso dei cookie.

Regolamento ePrivacy in stallo nella Ue. Il Consiglio Ue stati membri non riesce a trovare la quadra sulle nuove regole sulla data protection da estendere oltre che alle telco Ue anche ai servizi di messaggistica online forniti dagli OTT, come WhatsApp (che fa capo a Facebook) e Skype (che fa capo a Microsoft). Il processo di regolamentazione dei servizi di comunicazione degli OTT, che di fatto hanno eroso gran parte dei ricavi dal settore delle Tlc, è partito un paio di anni fa ma non più tardi della scorsa settimana si è registrato un blocco per il mancato accordo fra gli ambasciatori dei paesi dell’Unione riuniti a Bruxelles.

Tutto ancora da decidere e nuovi negoziati dovranno ripartire a gennaio, sotto la presidenza di turno della Croazia.

Il regolamento riguarda le nuove regole da imporre sull’utilizzo dei dati degli utenti di servizi di messaggistica e dei clienti di servizi Tlc.

Cosa prevede la proposta di regolamento ePrivacy approvata dai Garanti Ue due anni e mezzo fa.

Fra i temi più controversi la regolazione dei cookie e l’attività di monitoraggio online degli utenti tramite questi strumenti, oltre che temi delicati come la pedopornografia online e le richieste di consenso informato per l’utilizzo appunto dei cookie che secondo le nuove regole proposte dovrebbe essere assai stringente e chiaro per l’utente.

Lo scorso anno i principali editori tradizionali europei avevano criticato il regolamento, considerato troppo severo in materia di blocco dei cookie.

Gli Stati membri devono presentarsi con una posizione condivisa prima che il dibattito sulle nuove regole proceda nelle altre sedi, vale a dire la Commissione e il Parlamento.

Il nuovo regolamento ePrivacy dovrà peraltro tenere conto del nuovo regolamento Ue sulla data protection, il GDPR in vigore da maggio dello scorso anno.

Secondo gli attivisti della privacy online, l’annacquamento delle norme previste e la situazione di impasse on cui si trova il Consiglio va a tutto vantaggio dei big tech della rete e delle società che fanno del tracking online un’arma assai sofisticata di profilazione pubblicitaria.