Fake news

Disinformazione e incitamento all’odio, il problema di YouTube che non elimina i contenuti dannosi

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Fake news, razzismo e messaggi diffamatori, la piattaforma video di Google tende a non rimuovere i contenuti pericolosi: “Il problema è nel funzionamento dell’algoritmo per le raccomandazioni dei video”.

Nonostante Google abbia firmato, assieme a Facebook e Twitter, il Codice delle buone pratiche proposto dalla Commissione europea contro la disinformazione online, le policy dell’azienda sul contrasto ai contenuti dannosi non sembrano essere cambiate: chi sbaglia non paga, o meglio, paga poco.
Secondo quanto riportato da euractiv.com, YouTube sembra tenga viva la tendenza sistematica a mantenere attivi online i contenuti accusati di violare il Codice di condotta pattuito con l’Unione.

Durante un briefing a Bruxelles con i giornalisti di qualche giorno fa, i manager di YouTube hanno ribadito il loro impegno contro le fake news e in generale l’uso improprio della rete, ma con qualche riserva: “Le nostre linee guida stabiliscono chiaramente quali contenuti possono rimanere online sulla nostra piattaforma e quali no, ma siamo anche molto sensibili verso il tema della libertà di espressione, quindi tendiamo ad evitare l a loro effettiva eliminazione”.

Una doppia policy, quindi, che sfocia in un atteggiamento passivo verso la disinformazione online: “Se tali contenuti violano le linee guida della community noi preferiamo toglierli magari dalla lista dei consigliati e impedire che siano consigliabili da qualcuno, favorendone la scarsa visibilità e la retrocessione”.
Il problema, però, è che lo stesso management ha confermato che se un utente si è in precedenza iscritto ad un canale, in cui ci sono dei contenuti tacciati di disinformazione o altre violazioni della policy aziendale, questo continuerà a ricevere le notifiche di raccomandazione per quegli stessi contenuti.

È il caso dell’estremista di destra britannico Tommy Robinson, ex leader dell’English Defence League, che si candiderà alle elezioni europee di questo mese, già bandito da Facebook e Instagram per incitamento all’odio e disinformazione, che utilizza ormai solo il canale YouTube, nonostante sia stato denunciato più volte per il caricamento di video razzisti e tesi a diffondere fake news.

Incalzati da euractive.com, i rappresentanti della piattaforma video di Google hanno affermato che i contenuti di Robinson sono ancora online perché “ad oggi, non abbiamo riscontrato nessuna violazione delle nostre policy di community”.
Tuttavia, hanno dichiarato, “da aprile abbiamo attivato delle restrizioni per l’accesso a tali contenuti e impedito la possibilità di monetizzare le visualizzazioni da parte dell’utente”.

Secondo Christoph Schott di Avaaz: “Il problema della disinformazione su YouTube è nel funzionamento dell’algoritmo per le raccomandazioni dei video”.
Le ricerche che abbiamo condotto di recente hanno mostrato che le restrizioni sull’account di Robinson hanno effettivamente funzionato e le visualizzazioni dei video sono notevolmente diminuite, ma tali contenuti sono ancora lì”.

Nell’ultimo report presentato all’Unione europea, con i risultati delle azioni di contrasto ai linguaggi d’odio, alla disinformazione e alle pratiche ingannevoli in generale, è di un milione circa il numero di contenuti rimossi da Google.

Da un’indagine realizzata da Eurobarometro lo scorso novembre, è emerso che la maggioranza dei cittadini dell’Unione è preoccupata proprio per i danni (ingerenze, interferenze, orientamento) che le campagne di disinformazione, le violazioni dei dati e gli attacchi informatici, possano provocare prima, durante e dopo i processi elettorali.
Nello specifico:
il 61% teme che le elezioni possano essere manipolate tramite attacchi informatici;
il 59% teme che le elezioni possano essere influenzate da soggetti stranieri e gruppi criminali;
il 67% teme che i dati personali lasciati on-line possano essere usati per orientare i messaggi politici che si ricevono.
La grande maggioranza (74- 81%) degli Europei, tuttavia, concorda sul modo in cui affrontare queste minacce e tra le diverse indicazioni espresse c’è la richiesta di introdurre maggiore trasparenza nelle piattaforme dei media sociali online, anche con una chiara indicazione del soggetto a monte della propaganda online.