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Digital Single Market, seminario AGCOM: obiettivi lontani l’Italia deve correre

Agcom

Fare il punto della situazione sul dibattito in corso a Bruxelles e fra le capitali europee sul Digital Single Market, una sfida che sembra una ‘mission impossible’ per il nostro paese però da vincere possibilmente entro il 2020, data quanto mai vicina per il raggiungimento dei 16 obiettivi strategici fissati a maggio 2015 dalla Commissione Juncker. Questo il tema del workshop “Digital Single Market ed Ecosistema digitale tra regole e politiche pubbliche”, organizzato ieri dall’AGCOM, padroni di casa i commissari Antonio Nicita e Antonio Preto; hanno partecipato in ordine di intervento Maurizio Décina, Professore emerito del Politecnico di Milano; Claudio Leporelli, Professore ordinario di Ingegneria Economico-Gestionale Università La Sapienza; Mario Libertini, ordinario di diritto commerciale all’Università La Sapienza; Maria Teresa Maggiolino, Docente Dipartimento di Studi Giuridici Università Bocconi; Giulio Napolitano, ordinario di Diritto amministrativo all’Università degli Studi Roma Tre; Pier Luigi Parcu,  Area Director of the FSR Communications & Media and Director of the Centre for Media Pluralism and Media Freedom European University Institute; Oreste Pollicino,  docente di Diritto Comparato e Diritto dei Media presso l’Università Bocconi; Antonio Sassano, docente all’Università La Sapienza di Roma, e alla guida dell’Organo di Vigilanza per la parità di accesso alla rete di Telecom Italia; Augusto Preta, economista e analista di mercato, docente di economia dei media e fondatore di ITMedia consulting; Sergio Boccadutri, responsabile dell’Area Innovazione del Pd e Carlo Stagnaro, Capo Segreteria Tecnica del MISE, che hanno chiuso il convegno.

Piattaforme e Sharing Economy: servono regole chiare

Il convegno sul Mercato interno si è aperto con un minuto di silenzio per le vittime degli attentati di Bruxelles, chiesto dal Commissario Antonio Preto, che nel suo intervento introduttivo ha sottolineato come quella del Mercato Unico Digitale sia una sfida da vincere al 2020 per l’Europa, perché porta con sé un potenziale enorme quantificato in 415 miliardi di euro per la Ue. “Il margine di crescita è enorme – ha detto Preto – a partire dall’eCommerce, con appena il 15% dei cittadini europei che effettua acquisti online in altri stati europei e appena il 7% delle PMI che fa export online. Per questo è necessario creare un contesto regolatorio unitario, mettendo fine ai silos legislativi nell’ICT”. Servono regole comuni per infrastrutture da un lato e servizi dall’altro, tenendo conto del fatto che alcuni mercati non hanno più bisogno di regolazione, ad esempio la messaggistica Sms che subisce la concorrenza di servizi come WhatsApp e posta elettronica, mentre altri mercato vanno regolati ex ante. Nei prossimi mesi AGCOM sarà chiamata ad affrontare temi delicati come la net neutrality e il roaming c’è poi il tema delle piattaforme (come e quanto regolare i gatekeeper?) e la revisione della direttiva servizi media (come eliminare le discriminazioni regolatorie?). Un altro tema caldo riguarda la Sharing Economy, che va assecondata in maniera equilibrata, come nel caso Uber, che impone “una parité des armes – ha detto Preto – perché non si può schiacciare l’innovazione ma i nuovi player devono garantire la tutela dei consumatori, dell’ambiente, la sicurezza e i diritti del lavoro”.

“Nel dibattito odierno sull’ecosistema digitale sono emersi tre dilemmi – tira le somme Preto – Il primo riguarda la regolazione: ex ante o ex post? Il secondo: centro, nel senso di Bruxelles, o periferia, inteso come livello nazionale. Il terzo è quello relativo alle reti e i contenuti, chi viene prima? I tre dilemmi rimangono ancora aperti”.

 

Free movement of data in Europe

 

I sedici punti della Strategia europea del Digital Single Market sono divisi in tre sezioni: la prima relativa al discorso del “crossborder” “Creare sinergia fra i paesi europei per cla crescita – ha detto il Professor Maurizio Décinain tema di consumer protection, eCommerce, copyright, regima IVA”. La seconda sezione riguarda le “telecom rules” e le direttive media, compreso il tema delle piattaforme OTT, confronti di prezzi, privacy e cybersecurity.  La terza sezione riguarda il terzo settore del “maximizing the growth potential” ed è quello sui cui si è concentrato il professor Décina, a sua volta suddiviso in tre temi: free flow data (libero flusso dei dati), interoperabilità e standard. “C’è un tema di tecnologia molto importante in questo percorso del Digital Single Market – ha detto Décina – in primo luogo c’è il problema degli open data, del trasporto transfrontaliero del dato e della sua proprietà. I dati devono essere interoperabili e poi c’è il tema di chi li usa e di chi ha il diritto di accesso”.    

L’interoperabilità è qualcosa che in Italia non esiste fra i centri di calcolo delle PA centrali. Basti pensare all’Anagrafe e al cambio di residenza, che oggi non è condiviso in rete fra i diversi centri di calcolo della PA. Se cambi residenza, l’INPS ad esempio non lo sa in automatico. Ma secondo la strategia europea, l’interoperabilità non solo deve essere portata nella PA, ma anche nel futuro di Internet, di Internet delle Cose, delle Smart City, dell’eHealth, dell’eCommerce di qualsiasi applicazione del digitale e sull’eGov fra le Pubbliche Amministrazioni europee.

Cloud

Oggi servizi Cloud in Europa spesso non possono essere operati se il Cloud è posizionato fuori dal territorio nazionale. “Oggi, come dieci anni fa, il Cloud è dominato da silos non interoperabili come Google, Amazon, Apple che offrono servizi Cloud non soltanto ai consumatori ma anche alle imprese in modo assolutamente autoctono, senza nessuna possibilità di interoperabilità con gli altri silos”, aggiunge Décina sottolineando che i clienti dei Cloud Provider sono pertanto vincolati al fornitore privato.

Standardizzare le applicazioni dell’Internet delle Cose, infine, comporta una serie di complessità enorme che va dall’interoperabilità dei sensori fino ad arrivare alle varie applicazioni come quelle per la mobilità, l’eHealth l’energia.

“E’ un cammino difficilissimo”, dice Décina, che chiude analizzando l’ecosistema digitale dell’eGov. “Ci sono diverse cose che gridano vendetta – dice – la prima cosa sarebbe quella dello SPID unico europeo, un sogno. C’è poi il tema delle interconnessioni dei diversi Business register europei delle partite IVA, per semplificare l’apertura di attività estere nell’area Ue. Obiettivi, quelli della Commissione Europea, che sembrano quindi molto lontani.

Affordability di Internet

Sulla stessa linea d’onda di Décina l’intervento del Professor Claudio Leporelli, secondo cui “L’Agenda Digitale europea crea perplessità perché fissa degli obiettivi indipendentemente dalla situazione dei singoli paesi della Ue non solo in termini economici ma anche culturali, sociali e democratici”. Secondo Leporelli, che ha preso in considerazione le proposte del BEREC inviate a dicembre 2015 alla Commissione Ue confrontandole con gli obiettivi dell’Agenda Digitale Europea, la dura realtà è che in Italia, ma anche in Romani e Bulgaria e negli stati che sono in fondo alle classifiche Ue del digitale, è che “lo scarso appetito digitale deriva dalla mancanza di potere d’acquisto – dice – oltre che da mancanza di interesse e cultura digitale. In Italia, il 90% dei giovani che non ha mai usato Internet ha entrambi i genitori che non lavorano”.

In altre parole, la Strategia della Commissione Ue non fa cenno alla “affordability” della rete, che rischia la frammentazione in rapporto ai prezzi.

L’adesione universale alla rete resta al momento un problema non affrontato in Europa, un capitolo che l’AGCOM, dopo la proposta del Governo Cameron sul broadband a 10 Mbps come servizio universale, ha deciso di aprire nel Consiglio di ieri avviando appunto “un procedimento sul servizio universale e sull’accesso minimo alla banda”, ha detto Antonio Nicita.

Pirateria fenomeno di massa

Si occupa invece di pirateria online il Professor Mario Libertini, secondo cui “si tratta di un fenomeno ormai di massa a livello mondiale – dice – un fenomeno irrefrenabile, come lo fu quello delle fotocopie”. Secondo Libertini, quindi, il Digital Single Market dovrebbe andare verso un nuovo modello di copyright basato sulla condivisione a pagamento dei contenuti, superando inoltre due limiti importanti: le barriere che il copyright pone alla ricerca scientifica e il via libera alla consultazione privata a distanza per le biblioteche universitarie, che sono in crisi generalizzata e non hanno fondi per l’acquisto di nuovi libri.

Super Authority

Sul tema della creazione di una super Authority europea delle Comunicazioni, diversa dal BEREC, si concentra l’intervento del Professor Giulio Napolitano: “In altri settori, soprattutto quello finanziario, è aumentata l’apertura ad autorità europee di regolazione – dice – ma qui c’è un’ambiguità di fondo, perché la regolazione comunitaria è saldamente in mano alla Commissione che non solo è promotore legislativo con attività di raccomandazione, ma si sta rafforzando come autorità Antitrust”.

 

Problema spettro

 

Sono quattro, secondo Pier Luigi Parcu, le aree principali di intervento del Digital Single Market: l’impatto di Internet sui diritti (proprietà privata, copyright ecc); lo spettro e gli investimenti (“Lo spettro è come il pluralismo, gli Stati non vogliono rinunciarci. Cosa succederà?”); la regolazione tecnica delle reti; l’impatto di Internet su tutto il resto dell’economia. Secondo Parcu servono regole generali e non settoriali, mentre per le piattaforme un criterio di giudizio potrebbe essere quello dei mercati rilevanti. Le piattaforme non fanno mercato, creano barriere all’ingresso. Come proteggere l’innovazione? Facebook stava per acquisire Twitter a suo tempo, per fortuna non c’è riuscita.

Frequenze, coordinamento internazionale

Per raggiungere gli obiettivi del Digital Single Market in termini di spettro radio (1200 Mhz in più di capacità per il broadband mobile nel 2020) è necessario un piano nazionale delle frequenze per avviare in tempi stretti il coordinamento internazionale ed evitare così frizioni con i paesi confinanti, in particolare la Francia, dove la banda 700 è già stata assegnata alle telco.

Si tratta di un tema politico, perché implica un punto di frattura con i broadcaster di casa nostra, ed è per questo che “La Commissione Ue si occupa della banda 700, con un documento che fissa i tempi della migrazione dei broadcaster – dice il Professor Antonio SassanoIl commissario Oettinger vuole un accesso il più sincronizzato possibile alle frequenze a livello europeo, come fu ai tempi del Gsm, perché il 5G ha bisogno di spettro e la questione è urgente”. Una decisione delicata, perché la banda 700 in Italia è appunto usata dai broadcaster che detengono licenze al 2034. Una decisione politica, perché il mancato coordinamento internazionale dello spettro è “l’unico ambito nella Ue che può impedire ai paesi limitrofi di fare con le frequenze quello che vogliono fare – aggiunge Sassano – Se l’Italia continuerà fino al 2034 ad usare i 700 Mhz per il digitale terrestre impedirà ai suoi vicini, in particolare alla Francia che ha deciso le date di spegnimento del digitale terrestre nel 2017 in Corsica e Costa Azzurra, di usare le stesse frequenze per la banda larga mobile – aggiunge – con l’effetto indesiderato di creare una storia infinita (neverending story) sulla banda 700 come l’ha definita il Commissario Oettinger”.

Che fare dunque? “La Francia ha già un suo piano frequenze, coordinato con Germania e Regno Unito – chiude Sassano – Nessuno ha detto che il piano francese debba essere anche il nostro, ma per risolvere la questione del coordinamento è necessario avere un nostro piano che l’AGCOM deve fare al più presto”.

Si apre quindi per l’AGCOM il tema “delle regole della migrazione – dice Nicita – il tema è se replicare il modello in stile decoder, con i costi sociali già vissuti con lo switch off dell’analogico”, oppure se guardare all’alternativa della banda larga per la Tv.

Un appello, quello di Sassano, accolto da Carlo Stagnaro, secondo cui il Digital Single Market è “una grande sfida i cui esiti non possono essere noti ex ante”.

Digital Single Market tema politico

Il Digital Single Market è un tema politico, che riguarda 500 milioni di cittadini in Europa e secondo l’onorevole Sergio Boccadutri il rischio di forti ritardi “anche sulla banda 700” è concreto. “E’ necessario creare un contesto di regole comuni, basti pensare al fatto che diversi OTT offrono servizi Tlc senza regole”, dice Boccadutri, secondo cui in relazione alla cessione di sovranità delle Autorità resta primario il fatto di semplificare i rapporti fra le stesse Authority e il Parlamento, favorendo relazioni più agili rispetto a strumenti ormai inadeguati come le audizioni e le relazioni annuali. Per quanto riguarda i tempi della politica, Bocadutri aggiunge che ci sono “enormi problemi nel recepire le direttive europee – dice – come ad esempio quella sui pagamenti elettronici, per la quale c’è tempo fino al 2018, le nuove regole sull’ePayment quando i cellulari in circolazione già consentono di effettuare questo tipo di pagamento”. Un’eternità.

Content Tv

Sull’estensione o meno dei vincoli regolatori l’intervento di Oreste Pollicino, che fa l’esempio dell’Ofcom secondo cui un video è considerato televisivo a seconda della sua durata. Un contenuto trasmesso in Tv è considerato tale ma lo stesso contenuto, spezzettato e trasmesso su Youtube, non è considerato tale. E’ qundi necessario arrivare ad una regolazione univoca in materia, visto che impatta anche il tema del copyright.

 

Piattaforme

 

Nel trattare le piattaforme online, per Augusto Preta bisogna tener conto di due aspetti legati al tema del rapporto tra innovazione e concorrenza: “Il primo riguarda il continuo processo di innovazione che coinvolge l’ecosistema internet e la necessità di verificare se a ogni trasformazione (web, web 2.0, web 3.0) corrisponde un consolidamento degli attori o se tale processo mette in discussione anche i rapporti di forza al suo interno (consolidamento o meno delle posizioni dominanti) – ha detto Preta – Il secondo ha a che fare con gli effetti di rete che caratterizzano le piattaforme online e se queste determinino comportamenti anti-concorrenziali in termini di lock in. A mio avviso bisogna oggi privilegiare un approccio basato sugli effetti e che tenga conto dei costi di passaggio da un operatore all’altro (switching costs) e dalla possibilità per l’utente di utilizzare su internet anche diversi servizi in concorrenza tra loro (multihoming). In altre parole il ruolo delle autorità di concorrenza e regolazione è di verificare se l’efficienza determinata dagli effetti di rete continui a favorire, come accaduto finora, il benessere del consumatore o se invece tenda a consolidare e ad avvantaggiare solo gli operatori dominanti, disincentivando i concorrenti ad entrare nel mercato”.

Antitrust

In materia di Antitrust, invece, l’intervento della Professoressa Maria Teresa Maggiolino, che prende spunto dal caso Google Shopping in Europa per ricordare che è stato aperto nel 2010 e che non è ancora chiuso. “Sei anni per intervenire sono troppi – dice – serve un approccio più rapido e coordinato fra le autorità dei diversi paesi”.  Tanto più che le piattaforme sono collettori di dati e il dibattito sui dati va fatto a livello Ue.

Un mercato, quello digitale, che pone di continuo nuove sfide Antitrsut, come ad esempio la ridefinizione dei mercati rilevanti e la necessità di creare nuove soglie per le concentrazioni. I criteri economici non sembrano più sufficienti, visto il caso del merger fra Facebook e WhatsApp. Una serie di complessità, quelle del digitale, per cui è spesso difficile capire quale Autorità se ne debba occupare, fra Antitrust, Privacy e Garante Comunicazioni.

 

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