L'EDITORIALE

Digital Champion? Inutile gonfiare il petto, se non si rimette ordine nel ruolo. Intervenga Renzi

di Raffaele Barberio |

Il ruolo del Digital Champion ingigantito con attività che non gli sono proprie e con equivoci inquietanti che non aiutano a fare chiarezza. Ora è il tempo della trasparenza.

Nelle ultime settimane è divampata in rete una polemica sul ruolo italiano del Digital Champion, una figura di emanazione europea che in Italia è stata vissuta con un’enfasi, per la verità, fuori misura.

Come è noto, il Digital Champion italiano è Riccardo Luna, scelto un anno fa dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, secondo le richieste della UE, che ha ritenuto utile raccogliere intorno a un tavolo un rappresentante per ciascun Paese europeo a cui dare lo status di “ambasciatore” dello sviluppo digitale nel proprio paese. Essere “ambasciatore” significa sostenere e sollecitare attenzione sugli aspetti digitali di ogni azione della pubblica amministrazione e di quelle quotidiane dei cittadini e consumatori.

Un ruolo apparentemente enorme, ma sostanzialmente poco più che formale, un peso piuma.

E’ a titolo gratuito, e ha un valore molto simbolico.

Dei Digital Champion si sa poco o nulla in tutti i Paesi europei, alcuni dei quali si sono anche dimenticati di averne uno.

Forse anche per questo il nostro Digital Champion italiano decide di giocare il proprio ruolo tutto verso l’esterno, piuttosto che verso l’amministrazione, una scelta originale che non deve essere per nulla dispiaciuta neanche a Matteo Renzi, abituato da sempre a parlare alla pancia della gente.

Come nasce la polemica?

A lanciarla è un gruppo di persone che si sono definite ironicamente Digital Minions, aggregate su iniziativa di Andrea Lisi, presidente dell’Associazione Nazionale per Operatori e Responsabili della Conservazione digitale dei documenti (ANORC), e Marco Camisani Calzolari (conduttore di Pronto soccorso digitale, programma di alfabetizzazione digitale in onda su RAI1 e per questo chiamato il Maestro Manzi 2.0).

I Digital Minions hanno creato un gruppo apposito su Facebook (molto attivo, con oltre un paio di migliaia di persone e con una pubblicazione di post molto alta) e, tra l’altro, hanno anche una rubrica settimanale sulle pagine di questo giornale.

Qual è l’oggetto della polemica?

L’oggetto della polemica è centrato sulle iniziative di Riccardo Luna, promosse a margine del suo incarico istituzionale di Digital Champion e direttamente o indirettamente collegate ad esso.

La circostanza fa scalpore per due ragioni.

La prima è che appena sino a pochi mesi fa sembrava proibito esprimere giudizi pubblici sui comportamenti del Digital Champion italiano, che appariva ben radicato nel sistema di Palazzo Chigi.

La seconda è che sembrava che a nessuno tra coloro che rivestono ruoli istituzionali importasse più di tanto entrare nelle dinamiche legate al Digital Champion: un po’ come dire, ce l’abbiamo, sta facendo, faccia come gli pare (tanto non ha nessuno a cui dover riferire per obbligo istituzionale).

Cosa fa il nostro Digital Champion?

A differenza degli altri Digital Champion europei, di cui si sono perse le tracce, il nostro ha avuto l’idea geniale di costituire un’Associazione di Digital Champions (si proprio con la esse finale, che lascia intendere una “unione” tra Digital Champions, ma si sa che in Italia ce ne è uno solo) , ponendosi e ponendo l’obiettivo della individuazione entro un anno di un Digital Championcino (sarebbe più corretto chiamarlo così) per ciascun Comune italiano, che a conti fatti fa oltre 8.000 persone.

Ma 8.000 persone selezionate da chi?

Dal nostro Digital Champion.

Con quale mandato?

Quello assegnato dal nostro Digital Champion (che non ha alcuna delega in tal senso, il Digital Championcino in ciascun Comune non è previsto da nessuna parte), in tutta privatezza e arbitrarietà.

Con quale incarico?

Con una semplice stella di latta messa sul petto.

Per fare cosa?

Dire, parlare, commentare, proporre, girare…perché è difficile immaginare che un Sindaco, legittimato dai voti dell’elettorato, scelga questa o quella soluzione solo perché suggerita da un volontario dell’associazione.

Certo l’azione volontaria è encomiabile, presuppone sforzi e disponibilità individuali, tutte cose da rispettare. Ciò che non va, è il trionfalistico e ridondante entusiasmo che descrive rivoluzioni digitali presunte vendendole come modifiche dell’habitat analogico dei Comuni italiani. Che versano (ahimè) in tutt’altre condizioni.

E così dietro lo slogan Cambiamo tutto (che è peraltro il titolo dell’ultimo libro di Luna…ottima soluzione di marketing all’amatriciana), vengono vendute mirabilie che non corrispondono a nessuno dei nodi cruciali della modernizzazione digitale di cui il paese ha bisogno.

In sostanza i giochi si fanno altrove, su altri campi, e quello dei Digital Championcini è un campetto di bocce che rischia di coprire egregiamente quanto non va e continua a non andare nei luoghi deputati alle decisioni, quelle vere.

Certo, gli va riconosciuto. Distribuire 8.000 cariche, per quanto informali o di latta, è un’opera ciclopica (quanto geniale) degna di una Pubblica Amministrazione piuttosto che di un bravo mobilitatore.

L’Associazione Digital Champions (sì, con la esse finale)

L’Associazione ha anche un bel direttivo (come poteva mancare?) e naturalmente ha anche un sito, pieno di bei faccioni e sempre attento a guardare l’ombelico dei propri membri scambiandolo per il centro del mondo.

Resta da vedere se questa Associazione, del tutto privata, che viene agganciata al ruolo del Digital Champion, del tutto pubblico, con l’efficace tecnica del “detto e non detto”, ha ricevuto sostegno economico per le azioni di divulgazione delle attività del nostro Digital Champion.

E se lo ha ricevuto, da quali imprese e per quali somme? Ad esempio, come è noto, Telecom Italia (del tutto privata) figura tra i soci fondatori dell’Associazione Digital Champions, anch’essa del tutto privata.

Perché figura un’impresa come Telecom Italia? Se i membri dell’associazione sono volontari, perché coinvolgere imprese che hanno legittimi interessi soggettivi?

L’Associazione, del tutto privata, guidata da un presidente come il Digital Champion, che ha un ruolo del tutto pubblico, ha ricevuto somme ingenti di finanziamento per il proprio funzionamento? E se si da chi?

Tutte domande sollecitate non dal rispetto della forma giuridica (tra privati si fa quel che si vuole), ma dalla spinta alla trasparenza e alla chiarezza che devono accompagnare chiunque eserciti un ruolo pubblico come quello assegnato al nostro Digital Champion, che si espone al rischio di esser percepito come qualcuno che usa una struttura privata per la propria attività di emanazione istituzionale.

Ma torniamo all’Associazione messa in piedi dal nostro Digital Champion.

Che poteri hanno i Digital Championcini?

Nessuno.

Si recano presso le loro amministrazioni comunali, esibiscono l’incarico di Digital Championcino con la fumosità della nomina, che gioca non a caso su una catena di equivoci. In qualche caso la stampa di provincia accompagna, addirittura, una pomposa nomina del Digital Championcino locale (fatta dal Digital Champion), definendola come una nomina di emanazione europea…E così il nostro eroe del paesino della Provincia di Reggio Calabria è ormai una celebrità in Paese, perché in molti ritengono che a Bruxelles si siano effettivamente accorti del suo talento digitale…

Quali sono le attività dell’Associazione Digital Champions?

Moltissime, stando a quanto riportato dal sito dell’Associazione Digital Champions, ma quasi sempre fatte di nulla.

Non un briciolo di vecchie e pericolose procedure finalmente spezzate in questo o quel Comune, il cui merito possa ricondurre all’azione volontaria di questo o quel Digital Championcino.

Non la cronaca di un Sindaco che lancia uno schema pilota nel proprio Comune, magari con la guida di un Digital Championcino.

Solo progetti su progetti, idee su idee, protocolli d’intesa (inutili) su protocolli d’intesa (inutili), costituzione di associazioni locali e l’indicazione di qualche studio di caso di piccole esperienze di startup nate però per conto proprio, che l’Associazione Digital Champions usa solo per fare cronaca pro domo propria (ma quel sito è una lavagna delle proprie attività o uno strumento di cronaca generale che riporta tutto ciò che succede in Italia?).

Insomma molto movimento chiassoso, cose concrete…poco o nulla.

A cosa si deve il successo?

Ma allora perché l’iniziativa tra pubblico e privato del nostro Digital Champion si è sviluppata in modo così forte nel corso dei mesi , raccogliendo un indubbio successo mediatico?

Semplicemente, temiamo, grazie a una fiera degli equivoci, fatti di mezze bugie e di mezze verità.

Come quelle che hanno accompagnato l’appuntamento di Venaria, presentato come occasione per fare un bilancio di un anno di attività del nostro Digital Champion e dei suoi Digital Championcini e per rilanciare i prossimi due anni.

Sarebbe sempre consigliabile prima di rilanciare la posta con scadenze future così lontane, fare un bilancio veritiero di ciò che è stato fatto.

Ma non vi è traccia di ciò.

Originariamente, come ricorderete, l’obiettivo dichiarato da Luna era un anno fa di trovare in 12 mesi 8.000 Digital Champion, uno per ciascun Comune.

A Venaria, dopo un anno, ne sono stati dichiarati circa 1.580 (meno del 20% dei Comuni italiani, i Digital Minions sono di più), ma non è questo l’appunto che va rivolto a Luna.

C’è un problema di mira.

Sbagliata.

Il nostro Digital Champion è rimasto ancorato alla cultura dell’evangelizzazione digitale, al ruolo dell’evangelizzatore che ha il compito di illuminare il prossimo con le mirabilie del digitale. Una sorta di versione 2.0 dell’intellettuale gramsciano (o, senza irriverenza, una versione più attraente di coloro che in giacca e cravatta vi bussano la domenica mattina a casa mentre siete in accappatoio per parlarvi della Torre di Guardia).

Questa idea dell’evangelizzatore appartiene a una cultura della rete che poteva avere un senso sino a una decina di anni fa e più.

Oggi abbiamo un italiano su due con un potente smartphone in tasca, le nostre case dispongono di piattaforme e servizi a go-go (Desktop, Satellite, Pay-tv, Playstation, Xbox, Netflix giusto per citarne alcune).

Nonostante quanto si dice erroneamente in giro, abbiamo tanta infrastruttura di rete (non è quello che frena il digitale).

Abbiamo almeno 25 milioni di italiani su Facebook e non meno di 20 milioni che entrano nella piattaforma almeno una volta al giorno.

Nessuno può fare a meno più del digitale.

Francamente parlare di evangelizzazione è un’operazione di pura retroguardia.

Ma siamo gli ultimi in Europa o poco più.

Le ragioni vanno evidentemente cercate altrove.

Ma rimaniamo a Venaria che rappresenta una cartina di tornasole degli equivoci.

Perché tale è sembrato lo stesso endorsement di Matteo Renzi ai Digital Championcini, che non rispondono di nulla e che non possono rispondere di nulla dal momento che la loro investitura nasce semplicemente dal Digital Champion italiano che ha un ruolo pubblico, ma che quando distribuisce ruoli lo fa a sua volta da semplice privato cittadino.

Che deve fare un Sindaco, dar credito ai suoi collaboratori o fidarsi di uno sconosciuto che si presenta come Digital Championcino del Comune da lui amministrato perché arriva con una raccomandazione indiretta dello stesso Renzi?

O magari perché si presenta con “un incarico di emanazione europea”?

Perché Renzi non ha spezzato questo equivoco, dal momento che la sua presenza a Venaria viene utilizzata per perpetuare l’equivoco?

Forse semplicemente perché a Renzi piace lasciar fare, tanto alla fine chi decide è lui.

E perché il direttore dell’Agid, si è reso disponibile ad un incontro a porte chiuse a Venaria (appare francamente fuori luogo la modalità a porte chiuse che ha indebitamente dato peso ed esclusività alla circostanza) con uno stuolo di Digital Championcini che non hanno alcun ruolo per impegnarlo in un incontro del tutto privato e, appunto, a porte chiuse?

Che senso ha questo riconoscimento di “esclusività”?

Molto meglio incontrare quelle imprese che per mesi non sono state ricevute da AGID.

Anzi, se volete, oggi potete organizzare un dopocena con i vostri amici esperti di digitale, per parlare di digitale a casa vostra, invitando il direttore di un’agenzia governativa. L’incontro a porte chiuse del venerdì a Venaria con i Digital Championcini ha lo stesso peso privato di un dopocena a casa vostra.

Quali le responsabilità?

Di chi sono le responsabilità di questa situazione, che potrebbe trasformarsi in futuro anche in una circostanza di imbarazzo istituzionale?

Certo in primis del nostro Digital Champion, che ha creato la fiera degli equivoci e ha dato luogo a un sistema fondato su mezze verità, capace sì di svilupparsi, ma solo finché qualcuno non obietterà seriamente qualcosa oltre il punto di non ritorno.

Egli avrebbe dovuto fare l’onesto lavoro di Digital Champion e relazionarci sulle cose fatte, con una lista simile a quella della spesa, con cose misurabili, tra quelle fatte e quelle da fare.

Senza strafare.

Avrebbe dovuto fare innanzitutto un proprio sito di ruolo nel contenitore di comunicazione della Presidenza del Consiglio, sollecitando, vitalizzando, creando alleanze.

Così invece non ha fatto.

Il nostro Digital Champion ha invece scelto la via privatistica, dando luogo ad una commistione equivoca, perché mai chiarita, tra pubblico e privato.

Ora corre voce che l’Associazione cambierà nome, ma non è un problema di facciata, quanto di ruoli e chiarezza sostanziale.

I Digital Championcini potranno chiamarsi anche “Angeli del Digitale”, ma il nostro Digital Champion deve fare ordine nelle cose che riguardano la sfera pubblica del suo ruolo, ripeto senza commistioni.

E’ questo è l’oggetto della polemica divampata in rete in queste ultime settimane e non altro. Ma perché nessuno ha obiettato nulla e si è lasciato fare?

Tutto ciò è stato possibile non solo per le scelte a mio parere errate del nostro Digital Champion, ma, ancor di più, per responsabilità di coloro che hanno consentito che questo poco chiaro e poco trasparente meccanismo attecchisse.

Sono responsabilità di tanti, forse troppi, che nella confusione propagandistica di cui spesso la politica non può fare a meno, hanno dimenticato il rispetto dei ruoli e della forma.

Prima dicevamo che non occorre strafare, non servono le urla eccitate dal raggiungimento di falsi obiettivi, in stile curva sud del digitale.

Le battaglie in corso non si vincono con piccole milizie di Crociati del digitale pronti a liberare Gerusalemme dall’assedio dell’analogico.

Si vincono con le rotture di continuità. Quelle vere.

Le grida soddisfatte di autoreferenzialità non portano da nessuna parte.

Proviamo allora a guardare in direzione dei potenti nemici del digitale, quelli che vanno stanati, quelli che impediscono nel silenzio dei retrobottega della Pubblica Amministrazione, con grandi complicità esterne, il processo di modernizzazione digitale di cui il Paese ha bisogno come il pane.

C’è tanto da fare.

Altro che Digital Champion…