la biografia

Democrazia Futura. Raffaele Mattioli, il principe rinascimentale del Novecento

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Nella biografia intellettuale di Francesca Pino. L'articolo di Salvatore Sechi per Democrazia Futura.

Salvatore Sechi

Salvatore Sechi per la rubrica di Democrazia futura “Fresco di Stampa” illustra il volume di Francesca Pino, Raffaele Mattioli. Una biografia intellettuale (Bologna, il Mulino, 2023, 412 p) definendo lo stesso Mattioli come “il principe rinascimentale del Novecento” Direttore dal 1933 al 1972 della “Banca Commerciale Italiana, salvandola dal tracollo durante la crisi del 1929, [Mattioli] ha lasciato il segno nelle scelte di politica economica dei governi postfascisti. Ma sarà ricordato – aggiunge lo storico sardo – anche per il fiume di iniziative di grande prestigio culturale (nei campi dell’editoria, dell’economia, della letteratura, della storiografia, della memorialistica eccetera) in cui ha versato tempo, intelligenza, passione e soldi […] Questa biografia intellettuale segna un punto fermo nella storiografia perché rifugge dall’infatuazione acritica. Era, ed è, facile lasciarsene coinvolgere con un grande imprenditore come Mattioli. Pino riesce a far a scemare la tentazione della venerazione, se non della costruzione del mito. Ogni vicenda, e sono innumerevoli, è ricondotta alla misura e alla discrezione di quanto si può dimostrare, cioè delle moltissime fonti utilizzate” conclude Sechi.

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Non era scritto nei suoi geni di povero studente di Vasto (in Abruzzo) il destino di grande banchiere e mecenate. Tanto meno quello di passare alla storia come una sorta di principe rinascimentale. Ebbene le cose sono andate proprio in questo modo imprevedibile per Raffaele Mattioli.

Dal 1933 al 1972 ha diretto la Banca Commerciale Italiana, salvandola dal tracollo durante la crisi del 1929, e ha lasciato il segno nelle scelte di politica economica dei governi postfascisti. Ma sarà ricordato anche per il fiume di iniziative di grande prestigio culturale (nei campi dell’editoria, dell’economia, della letteratura, della storiografia, della memorialistica eccetera) in cui ha versato tempo, intelligenza, passione e soldi.

Come un fiume carsico riemergono dal silenzio delle piccole e grandi cerchie (penso a quanto ha fatto per ampliare la conoscenza di un suo grande conterraneo, Benedetto Croce) in cui questa dedizione inarrestabile si è manifestata.

Non è un segmento marginale la generosità, il coraggio, lo sprezzo del pericolo con cui ha saputo salvare dalle persecuzioni razziali del fascismo i suoi molti collaboratori (da Antonello Gerbi e Giovanni Malagodi) ma anche decine di intellettuali. Per non parlare del sostegno dato alla pubblicazione di moltissime riviste (da La Cultura allo Spettatore Italiano) al lancio e alla salvezza di gruppi editoriali (come Riccardo Ricciardi e Giulio Einaudi), alla nascita di un nuovo partito come il Partito Italiano d’Azione, allo sviluppo di musei (come per esempio quello di Napoli) e della viticoltura toscana.

Francesca Pino

La storia ricchissima di questo protagonista dell’imprenditoria, della storia civile e intellettuale italiana, è ora nella preziosa biografia che Francesca Pino ne ha redatto per l’editore il Mulino di Bologna[1]. L’ha fatto con mano carezzevole, ma ferma in tutti i passaggi in cui ha avvinto questo personaggio d’eccezione.

Non era un compito facile, anzi una grande sfida.

In passato se ne erano occupati studiosi su cui non è calato l’oblio come l’affresco vivido di Sandro Gerbi[2]. Nell’arioso saggio di Francesca Pino l’originalità risiede piuttosto nel ricorso tenace a una documentazione sterminata di archivi (istituzionali e personali), bibliografie, inediti, testimonianze, eccetera).

Niente è lasciato al caso, tutto è sorretto da riscontri precisi. Del rigore e della preoccupazione di non venire smentita (e anzi di essere inconfutabile) l’autrice Pino ha fatto una scelta di metodo. E l’ha affidato ad una scrittura calda e morbida come un Amarone.

Questa biografia intellettuale segna un punto fermo nella storiografia perché rifugge dall’infatuazione acritica.

Era, ed è, facile lasciarsene coinvolgere con un grande imprenditore come Mattioli. Pino riesce a far a scemare la tentazione della venerazione, se non della costruzione del mito. Ogni vicenda, e sono innumerevoli, è ricondotta alla misura e alla discrezione di quanto si può dimostrare, cioè delle moltissime fonti utilizzate.

In Mattioli il cruccio e la volontà manifesta non è l’ambizione privata di eccellere, cioè il culto della solitudine. Dalla comunità creata in banca alla scelta dei destinatari delle borse di studio, l’obiettivo fu quello della formazione di una classe dirigente. E’ quanto l’Italia non ha saputo allevare accontentandosi di quel che i partiti hanno spesso maldestramente selezionato.

Fino a dopo la prima guerra mondiale questo obiettivo è stato comune sia a Luigi Einaudi a Torino sia ad Angelo Sraffa a Milano. Intorno a questi due docenti universitari si adunò non una casta accademica chiusa e permalosa, ma un ceto vero e proprio. L’elemento dominante non è stato l’allineamento su posizioni conformi, ma la differenziazione, la coabitazione tra diversi.

Ben poco avevano in comune un liberista come Attilio Cabiati, un socialista come Achille Loria, un aristocratico come Giuseppe Prato e uno studioso difficile da soddisfare come Luigi Einaudi. A unirli nello stesso ateneo e indurli ad una costante collaborazione (come ha mostrato Roberto Marchionatti) fu la professionalità, cioè il rigore nel lavoro scientifico. Era un valore, un segno di identità e appartenenza, che passava sopra le opzioni politiche più diverse e opposte esistenti tra loro.

Mattioli fu allievo di Cabiati, amico di Carlo Rosselli e Piero Sraffa, e assistente universitario di Einaudi. Ma dalle scorrevoli e pervasive pagine di Francesca Pino lungo un itinerario disteso sull’arco di circa quarant’anni si scopre il brain trust, una sorta di giardino incantato che Mattioli aveva saputo raccogliere intorno a sé. Da Massimiliano Majnoni d’Intignano a Gianni Antonini, da Antonello Gerbi a Francesco Cingano, da Enrico Cuccia ad Antonio Monti, da Donato Menichella a Pasquale Saraceno, da Federico Chabod a Leo Valiani, da Giovanni Busino a Franco Venturi, da Pietro Pancrazi a Sergio Solmi, da Sergio Steve a Giorgio Rodano fino a Riccardo Bacchelli.

Lungo mezzo secolo, i suoi corrispondenti, beneficiati o meno, sono stati circa un migliaio. I partiti in cui si è riconosciuto sono, all’interno della sua cultura liberale, Il Partito Italiano d’Azione, il PSI e il Pci.

Dicerie da sbrogliare non resistono al vaglio archivistico. Mi riferisco a quella più in voga come il presunto scavalcamento, nel 1933, di Giuseppe Toeplitz al vertice della Comit. Altre domande inevitabili si sfarinano nell’analisi ravvicinata: come fece a rimanere ben saldo in sella ad onta di grandi subbugli da cui venne squassato il nostro Paese; fino all’ultima malizia in cui la stampa moderata ha dato effluvi, cioè come mai abbia appoggiato costantemente il Pci.

Le campagne di stampa con risvolto scandalistici furono la risposta con cui egli, negando interviste e il manto paludoso della pubblicità, amò sprofondare dalla marcia su Roma in avanti in una “solitudine tremenda”.

Ma c’è un filo rosso che Francesca Pino  ha saputo cogliere con garbo e tenacia :”il filo che “collega lo studente Raffaele Mattioli, attento a far propri gli insegnamenti di  maestri come Attilio Cabiati, Luigi Einaudi e Benedetto Croce, al promotore della vita intellettuale italiana attraverso riviste ed editoria in un lavoro collettivo di maturazione e circolazione delle idee, per giungere fino all’anziano banchiere sul viale del tramonto che stimola un gruppo di storici e di intellettuali a ripensare – sulle orme di Gobetti e di Gramsci – allo svolgimento della storia unitaria del paese nella  prospettiva  della responsabilità degli intellettuali e della ‘classe dirigente’, e che riflette sulla storica difficoltà dei rapporti della società civile con lo Stato e su come contribuire a ridurre la diffidenza e la distanza del cittadino dalle istituzioni”[3]  

Aliis laetus, sibi sapiens.


[1] Francesca Pino, Raffaele Mattioli. Una biografia intellettuale, Bologna, il Mulino, 2023, 412 p.

[2] Sandro Gerbi Raffaele Mattioli e il filosofo domato. Storia di un’amicizia, Torino, Einaudi, 2002, 230 p., al quale seguirà: Sandro Gerbi, Mattioli e Cuccia. Due banchieri del Novecento, Torino Einaudi, 2011, 213 p.; Riccardo Bacchelli, Le notti di Via Bigli. Quarant’anni di confidenze con Raffaele Mattioli, a cura diMarco Veglia, Bologna, il Mulino, 2017, 155 p., Sergio Solmi, “Ricordi su Raffaele Mattioli”, in Poesie, meditazioni e ricordi, a cura di Giovanni Pacchiano, Adelphi, Milano 1984, 332 p. e 282 p. Il testo si trova nel secondo volume.

[3] Francesca Pino, “Introduzione”, a Raffaele Mattioli. Una biografia intellettuale, op. cit. alla nota 1, p. 14.