Domande e risposte

Democrazia Futura. Panpatia, Pandemia e Sindemia: cinque domande a C. Clementel-Jones, A. Genovesi, G. Moscato e P. Pozzi

a cura di Bruno Somalvico, storico ed esperto dei media |

Confronto a più voci sulle tesi di Michele Mezza e del professor Andrea Crisanti, con il contributo di psichiatri, sindacalisti, giornalisti ed esperti della trasformazione digitale.

Cecilia Clementel-Jones

Il confronto a più voci  sulle tesi di Mezza e del professor Andrea Crisanti (uscite a metà novembre) si apre con le risposte alle Cinque Domande su Panpatia, Pandemia e Sindemia fornite da Cecilia Clementel-Jones, psichiatra e psicoterapeuta, Alessandro Genovesi, sindacalista e segretario generale FILEA CGIL, Giampiero Moscato, giornalista e direttore di Cantierebologna.com e Pieraugusto Pozzi, ingegnere autore di ricerche, saggi e rapporti sulla grande trasformazione digitale. Rispondendo alle osservazioni di Crisanti sull’inadeguatezza che l’istituto regionale ha mostrato nella drammatica emergenza della pandemia e alla domanda di Mezza su come il governo centrale debba “far valere quella caratteristica che identifica lo stato secondo Carl Schmitt che è proprio il potere di proclamare lo stato di emergenza”, Cecilia Clementel-Jones osserva come “Anche regioni come il Veneto che inizialmente hanno vinto questa sfida nelle successive ondate hanno retto a fatica.

Pieraugusto Pozzi

E’ mancata una regia centrale: autonomia non vuol dire arrangiatevi, ma una regia centrale diventa impossibile se il coordinamento viene interpretato come imposizione. La crescente complessità degli ospedali e la frammentazione delle competenze mediche e paramediche rendono difficile controllare le variabili in gioco. La medicina di base deve essere rafforzata in tutte le regioni”. Per Alessandro Genovesi “I limiti della riforma costituzionale italiana, del titolo V, della degenerazione stessa dell’istituzione Regione (e delle classi dirigenti/consiglieri regionali), con la Sanità che rappresenta l’80 per cento della capacità di spesa (e dalla programmazione al governo del consenso), sono stati evidenti […] Mai come oggi si pone il tema quindi di tornare ad un governo centralizzato nazionale delle politiche sanitarie e socio sanitarie (condizione anche per un miglior coordinamento internazionale, europeo e non solo)”. Giampiero Moscato invece ritiene “che non basti più nemmeno il potere di un singolo Stato. Piuttosto servirebbe una strategia comune a livello mondiale, differenziando ovviamente le misure su aree geografiche e meteorologiche e secondo le situazioni demografiche, garantendo la vaccinazione anche alle popolazioni meno attrezzate”. Quanto a Pieraugusto Pozzi osserva che “alla teoria dello stato di eccezione di Carl Schmitt sembra farsi preferire, per capire ciò che accade nel diluvio digitale al quale siamo soggetti, la parafrasi di Byung-chul Han, ovvero “sovrano è chi dispone della macchina del fango (shitstorm)”. Che testimonia una situazione nella quale la sfiducia sociale che deriva anche da una comunicazione non governabile, è fenomeno molto più rilevante della fiducia provvisoria nelle misure che vengono di volta in volta assunte dal potere politico”.

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1. Il filo rosso che attraversa i ragionamenti di Andrea Crisanti e Michele Mezza nel libro Caccia al virus è che siamo dinanzi ad una transizione e non a una crisi, ossia abbiamo a che fare con un processo di strutturale trasformazione delle nostre relazioni sociali mediante la pandemia. Come valutare lo spessore e le implicanze di questo fenomeno e che dimensione attribuire, sia temporale che storica, a quanto sta accadendo ? come vede la fisionomia del concetto di libertà usato in maniera così contradditoria nel conflitto sui vaccini?

Cecilia Clementel-Jones
Concordo che siamo in fase di transizione accelerata ma si può dire che la pandemia abbia ritardato il processo in alcuni settori (i fermenti di contestazione politica del 2019, di orientamenti vari ma presenti in molti paesi sono stati bloccati) ed accelerato in altri (digitalizzazione). La pandemia non è finita e fino ad oggi, dal punto di vista scientifico, siamo stati ultra fortunati: le varianti sono molto più infettive ma non sembrano più pericolose clinicamente e i vaccini, in occidente e in Cina, sono stati sviluppati e distribuiti a grande velocità. Eventi pandemici hanno spesso segnato svolte storiche ben documentate, nel caso in esame hanno dato una spinta considerevole alla svolta ecologica: l’economia basata su energie rinnovabili sarà qualitativamente diversa dall’attuale. Politicamente l’evento imprevedibile è stata la protervia incompetente con cui Donald Trump (e inizialmente Boris Johnson e Jair Bolsonaro) ha gestito la pandemia e che gli ha fatto perdere le elezioni del novembre 2020,[1] con coda di tentativo eversivo del 6 Gennaio 2021. Sono stati loro a brandire un concetto populista di libertà e neoliberista di predominio dell’economia sulla sicurezza dello stato. Certo lo stato è tale anche perché assume poteri eccezionali in emergenza, come argomenta Carl Schmitt. Purtroppo il famoso giurista non solo fu un entusiasta fiancheggiatore di Adolf Hitler ma si rifiutò di sostenere la denazificazione della Germania e ne sopportò personalmente il conseguente ostracismo. Ciliegina sulla torta: fu Google a togliere a Trump il megafono (twitter) ma non prima di avere accertato che tale tentativo eversivo fosse fallito. Google suppliva così alla mancata presa di posizione dello Stato.

Alessandro Genovesi
Convivere” con questa e altre modificazioni ambientali e sanitarie sarà (è) già la regola. Pensiamo alla lotta per ridurre lo stesso aumento della temperatura planetaria. Se saremo bravi eviteremo la catastrofe ambientale definitiva perché conterremo l’aumento della temperatura, ma non torneremo alla condizione climatica precedente gli anni Sessanta. Il punto è se in questa convivenza manterremo “in grado di agire concretamente” una dimensione democratica delle scelte, per cui la prima delle libertà non è quella di essere lasciato in pace, ma di poter decidere perché su un’idea, una proposta, matura consapevolezza e condivisione collettiva, cioè la democrazia dei moderni, come l’abbiamo intesa dalla rivoluzione francese in poi.

Giampiero Moscato
Nulla sarà più come prima: siamo in transizione verso un mondo nuovo e sapremo solo poi se sarà, come temo, peggiore di quello che stiamo lasciando; oppure, come spero, un mondo che imboccherà la strada per risolvere i problemi non solo dell’oggi ma che sia anche capace di proteggere le generazioni future. La pandemia (o panpatia, o sindemia) però non è la causa di questo mutamento. Piuttosto è una delle concause, anche se appare come la principale, se non l’unica. In realtà la lotta al Covid si limita ad accelerare un processo già in atto a causa dell’altro virus che da anni infesta la comunità globale: la rete, per come il web è fatto ora. In questa rete ci siamo finiti come branchi di acciughe ed è del tutto asservita agli interessi dei social network. Sono loro che stanno modificando le relazioni umane, devastando i poteri come li abbiamo conosciuti noi nativi pre-digitali. La pandemia ha almeno un aspetto utile: sta facendo comprendere non solo ai massmediologi l’enorme potere concentrato nelle mani di pochi che sfuggono per ora quasi del tutto al bilanciamento di contropoteri di pari forza. La libertà è messa in pericolo dal condizionamento dell’algoritmo, molto più che dalle misure anti-Covid. Purtroppo le proteste contro la “dittatura” si sono rivolte quasi esclusivamente contro le misure anti-contagio, forse le uniche utili a noi povere acciughe.

Pieraugusto Pozzi
Cercando di comprendere i fenomeni di questo tempo pandemico, forse l’idea che riesce ad afferrarne meglio il senso è quella di metamorfosi, come la descrive Edgar Morin[2]:

«più ricca dell’idea di rivoluzione, ne conserva il carattere radicale, ma la lega alla conservazione (della vita, dell’eredità delle culture) […] Oggi tutto dev’essere ripensato. Tutto deve ricominciare. E in effetti tutto è ricominciato, senza che lo si sappia […] Quando un sistema è incapace di risolvere i suoi problemi vitali, si degrada, si disintegra, oppure […] si trasforma».

Pare infatti abbastanza chiaro che i processi di dislocazione sociale, economica e culturale in atto siano irreversibili e che poco o nulla possa tornare come prima: per esempio, la trasformazione pandemica si è sovrapposta alla grande trasformazione digitale accelerandola ulteriormente. Sempre il pensiero di Morin ispira a pensare che interdipendenze e doveri siano importanti quanto sovranità, diritti e libertà. E, in particolare, che vada attentamente considerato il bilanciamento delle libertà: tra individuali (di scelta) e collettive (di immunizzazione), tra buone (di parola e associazione) e meno buone (disinformazione, speculazione).

2. Nella lettera ai cittadini, che introduce il testo, i due autori denunciano un uso distorto da parte delle istituzioni della scienza. In particolare scrivono: “per chi, come medico e scienziato o cronista, si sia trovato coinvolto in questa storia diventa ancora più insopportabile assistere ad un uso della conoscenza o delle abilità scientifiche per sostenere o proteggere interessi politici o opportunistiche speculazioni, o, ancora peggio, per preparare future campagne elettorali”. Al netto delle polemiche recenti cosa pensa della relazione fra istituzioni e scienza, e ancora più in generale, fra democrazia e saperi così come è emersa in questi mesi di pandemia?

Cecilia Clementel-Jones
Parliamo qui di autorità ed autorevolezza. Lo scienziato mira all’autorevolezza, la scienza non prescrive ma convince con argomenti razionali raramente definitivi, il consenso scientifico è in divenire. Forse solo il 10-20 per cento di quel che mi insegnarono a medicina mezzo secolo fa non è stato superato da sviluppi imprevisti delle biotecnologie e dei nuovi strumenti di indagine medica. In questo arco di tempo la contestazione delle affermazioni o imposizioni autoritarie prevalenti nella cultura italiana fino agli anni Sessanta ha seguito la scia di un movimento culturale globale che si è definito come liberatorio. L’insegnante, il genitore, il governante, il giudice e via discorrendo hanno un’autorità che deriva dal ruolo assegnato loro nella società (e per la società) alla quale non sempre si accompagna autorevolezza. L’esercizio di tale autorità pare essere divenuto difficile e ingrato e a volte rifugiarsi dietro l’autorevolezza di altri settori, oggi la scienza, ieri la religione. Un politico in questa situazione di emergenza si rende conto che si sta giocando la carriera (vedi Trump) e non sempre ha i nervi saldi o il sostegno necessari per prendere decisioni in prima persona, dopo aver consultato gli esperti: gli è utile avere un capro espiatorio nel caso la situazione volga al peggio. Mi pare che in tal caso la popolazione senta il bisogno di stringersi attorno alle autorità ed approvi anche gestioni poco difendibili, come quella in Gran Bretagna, anche se queste vengono ferocemente attaccate (e lo furono nel Regno Unito) dalle autorità sanitarie o dalla stampa. 

Alessandro Genovesi
Il concetto di neutralità dell’uso della scienza è stato superato da un po’, quello che non è ancora metabolizzato (e anzi con la crisi dei partiti intesi come “agenzie formative” questo è reso ancora più evidente) è la distinzione dialettica tra quello che avremmo definito il “politico” rispetto all’intellettuale tecnico di gramsciana memoria. La scienza fornisce per definizione strumenti e scenari, la politica alimenta la consapevolezza e favorisce la socializzazione dei saperi (o dovrebbe farlo) per inserire la scelta che si compie dentro una visione della società.

Giampiero Moscato
La politica usa ogni circostanza sociale per fini propri e non ci vedo nulla di per sé immorale, dato che ogni forza politica ha un’idea di società e dei metodi che servono per cambiarla. Sarebbe strano se mutasse filosofia di fronte a questa tragedia. Constato però che tendenzialmente ogni governo del pianeta stia adottando – con maggiore o minore efficacia, più o meno errori – misure non contraddittorie, anzi molto simili, perché apparentemente inevitabili. E d’altro lato ovunque, almeno nei Paesi più liberi, tutti i governi trovano un’opposizione di segno simile di No Vax e di No Green Pass. Con percentuali che cambiano ma che mai raggiungono la maggioranza e in molte nazioni si limitano a un 10-15 per cento di popolazione. Si nota infatti che le opposizioni contestano ovunque misure che cercano, sì, di limitare le libertà di movimento, in funzione di contenimento, ma almeno tra i governi occidentali tutti stanno attenuando quelle che sarebbero le ben più severe prescrizioni scientifiche. Il lockdown più del vaccino sembra davvero saper risolvere la pandemia ma poi produce panpatia. Chi governa ha questo doppio problema. Il lockdown mentre risolve un problema ne crea altri ben più gravi.

Pieraugusto Pozzi
L’incrocio tra scienza, democrazia e società è uno dei temi fondamentali della nostra epoca, che Neil Postman aveva in anticipo e con lucidità definito tecnopolio.[3] Un’epoca nella quale i fatti culturali e sociali sono profondamente condizionati dalla presenza dei sistemi tecnologici nell’organizzazione economica e nella vita quotidiana. Inoltre, va considerato che scienza e tecnica, nell’attuale pieno dispiegamento di biotecnologie, genomica, Big Data, algoritmi, nanotecnologie, sono ormai unificate nella tecnoscienza, ovvero in un inestricabile connubio di conoscenza teorica e tecniche operative, nella quale è superata la distinzione tra sapere scientifico e potere tecnologico, tra discipline di base ed applicazioni e nella quale il potere (della tecnica) sembra prevalere sul sapere (della scienza). La tecnoscienza ha quindi una spinta che la pone in un rapporto sempre più dialettico con la sede storica del potere moderno, cioè la politica. Che, essendo sempre meno provvista di idee, visione di futuro e valori, rilascia alle tecnostrutture (tendenzialmente globali) molto più potere di quanto avesse concesso in passato alle burocrazie. In questa dialettica, ai valori unificanti del Secondo dopoguerra, che davano comunque una prospettiva agli aspri conflitti politici e sociali dell’epoca: apertura al futuro, competenza, valutazione scientifica, fiducia e coesione sociale, si sono a poco a poco sovrapposti ritorno al passato, superficialità, opinionismo e anti-elitismo, sfiducia ed egoismo sociale. Discorsi che hanno contagiato anche le scelte sanitarie di fronte alla pandemia: mai interessati da simili disastri nella storia recente, alcuni paesi guida, di grande tradizione scientifica e sanitaria, sono stati tra i più colpiti.

3. In particolare il professor Andrea Crisanti denuncia nei suoi contributi l’inadeguatezza che l’istituto regionale ha mostrato nella drammatica emergenza della pandemia. Anche in questo caso, staccandoci dai contrasti più immediati, come vede la dinamica istituzionale e l’articolazione delle autonomia locali alle prese con circostanze emergenziali? si tratta di rileggere l’autonomia come una bardatura burocratica o invece rimane ancora una risorsa l’ambizione di autogoverno degli enti locali? e il governo centrale come deve far valere quella caratteristica che identifica lo stato secondo Carl Schmidt che è proprio il potere di proclamare lo stato di emergenza? 

Cecilia Clementel-Jones
Le autonomie regionali, previste nella Costituzione, messe in pratica assai tardivamente, dovrebbero essere utili a governare un paese con grandi differenze culturali ed economiche nei suoi territori. Sappiamo tutti che nel caso della sanità vi sono stati disastri: dalla privatizzazione strisciante in Lombardia al controllo della criminalità sulle assunzioni in Calabria (e non solo). Non vi è stato un contrappeso del governo centrale ma un laissez faire generalizzato. La pandemia vede diversissime condizioni ed evoluzioni nel tempo in ciascun territorio: è evidente che un micro management può avvenire solo con la conoscenza in tempo reale della situazione. Anche regioni come il Veneto che inizialmente hanno vinto questa sfida nelle successive ondate hanno retto a fatica. E’ mancata una regia centrale: autonomia non vuol dire arrangiatevi, ma una regia centrale diventa impossibile se il coordinamento viene interpretato come imposizione. La crescente complessità degli ospedali e la frammentazione delle competenze mediche e paramediche rendono difficile controllare le variabili in gioco. La medicina di base deve essere rafforzata in tutte le regioni.

Alessandro Genovesi
I limiti della riforma costituzionale italiana, del titolo V, della degenerazione stessa dell’istituzione Regione (e delle classi dirigenti/consiglieri regionali), con la Sanità che rappresenta l’80 per cento della capacità di spesa (e dalla programmazione al governo del consenso), sono stati evidenti. Lo stesso sistema dei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea), se pensiamo alla proposta di una sanità di prossimità “dinamica” per convivere con gli effetti medici della pandemia (e poi degli stessi effetti sociali, successivi ad essa che variano da condizione sociale a condizione sociale per il singolo, la famiglia, la comunità), potrebbero risultare inadeguati. Mai come oggi si pone il tema quindi di tornare ad un governo centralizzato nazionale delle politiche sanitarie e socio sanitarie (condizione anche per un miglior coordinamento internazionale, europeo e non solo).

Giampiero Moscato
È il dibattito giuridico e filosofico che sta emergendo con prepotenza e tra non molto la situazione potrebbe esplodere. Siamo in stato di emergenza e questo stato in ogni sistema democratico ha un limite temporale. In Italia a gennaio 2022 si supererà quello fissato come massimo dalla nostra Costituzione. Ma la pandemia, che non studia i codici e se ne importa nulla del voto politico, sembra essere decisa a costringere i governi a prolungare lo stato di emergenza. Credo che a breve, nel mondo – quasi sicuramente in Italia – ci saranno sommosse perché uno stato di emergenza in effetti non può diventare la normalità. Laddove ciò accade le frange di pubblico più colpite dalle limitazioni saranno mal disposte a tollerarle ancora. D’altro canto senza l’emergenza questa pandemia rischia di battere chi sta provando a bloccarla. Credo che non basti più nemmeno il potere di un singolo Stato. Piuttosto servirebbe una strategia comune a livello mondiale, differenziando ovviamente le misure su aree geografiche e metereologiche e secondo le situazioni demografiche, garantendo la vaccinazione anche alle popolazioni meno attrezzate.

Pieraugusto Pozzi
Nel trattare questo tema, è essenziale comparare le vicende e le esperienze che si stanno vedendo in altri paesi. Per esempio, anche nel corso di questa quarta ondata, la Germania, che è stato realmente federale, ha sperimentato frizioni evidenti tra governo centrale e Laender. Sembra che la sede del potere più disponibile ad assumere decisioni forti e restrittive (più responsabili?) sia quella più lontana dal contatto con il cittadino elettore. Anche in Italia, il presidente della Repubblica, suprema istanza dell’unità nazionale repubblicana, è intervenuto con discorsi e asserzioni di principio spesso più stringenti rispetto alle decisioni assunte dal governo (che in verità sono stati due, Conte e Draghi) costantemente stretto fra la faticosa negoziazione con le Regioni (che, come è noto, gestiscono sanità e salute) e le indicazioni del Comitato Tecnico-Scientifico, non sempre univoche, specie se riviste nei tempi ormai lunghi della pandemia. Infine, alla teoria dello stato di eccezione di Carl Schmitt sembra farsi preferire, per capire ciò che accade nel diluvio digitale al quale siamo soggetti, la parafrasi di Byung-chul Han[4], ovvero “sovrano è chi dispone della macchina del fango (shitstorm)”. Che testimonia una situazione nella quale la sfiducia sociale che deriva anche da una comunicazione non governabile, è fenomeno molto più rilevante della fiducia provvisoria nelle misure che vengono di volta in volta assunte dal potere politico.

4. Ragionando sulla coppia vaccini/algoritmi, nel libro viene citato una delle lezioni sulla sanita di Michel Foucault, in cui il grande sociologo francese spiegava che “quel che regge la società non sono i codici, ma la distinzione permanente fra normale e anormale, che oggi viene surrogata dalle imprese private che si sostituiscono alle istituzioni pubbliche“. Un modo per sottolineare come, anche in questa drammatica emergenza globale, i poteri privati, sia farmacologici sia digitali, hanno prevaricato sulla sovranità dello spazio pubblico. Come considera questa tendenza? La vede crescere o invece ne percepisce una mitigazione ?

Cecilia Clementel-Jones
Spero che i poteri degli imperi farmaceutici e delle multinazionali che controllano la rete digitale abbiano raggiunto lo zenith (e i controlli istituzionali su di essi il nadir – sono due parole dateci dagli astronomi arabi). I compiti e il raggio di azione dello Stato hanno continuato ad espandersi (ora si stanno espandendo nel digitale) perché il privato non ha interesse o competenza  a governare (ma lo può fare quando silenzia Trump). Ci rendiamo conto di cosa significhi ordine statuale e sicurezza sociale quando li abbiamo perduti. Le strutture politiche di 200 anni fa elaborate in USA non sono in grado di fronteggiare una realtà così mutata. Se la struttura politica (come il Senato romano durante le guerre civili che precedono l’Impero) non è adeguata sarà abbattuta. Carestie, epidemie, guerre ed altre emergenze richiedono una struttura di potere statale efficace che, per essere tale, deve rispondere alla vox populi. Vi sono stati periodi storici in cui la monarchia assoluta è stata modalità efficace, la democrazia liberale potrebbe tornare ad esserlo.

Alessandro Genovesi
Finché rimarrà ambiguo, nei nuovi scenari in cui dovremmo convivere con nuovi processi sanitari e ambientali, il rapporto libertà individuale/tutele collettive – per cui è la prima che definisce la seconda per alcuni, mentre io ritengo sia l’esatto contrario, ovvero sia è ciò che tutela tutti che pone un limite alla liberta dell’io – è evidente che “l’egemonia del privato” continui e si rafforzi. E’ il detentore del sapere  se rimane “privato” colui che rimarrà in posizione di vantaggio, sia verso gli stati nazionali che la stessa Unione Europea. Solo un ritorno al pubblico forte – inteso non per forza come gestore diretto, sorretto da una consapevolezza e legittimazione popolare e diffusa – potrà far rientrare nella sfera dell’interesse generale, cioè che oggi è riconosciuto, culturalmente e legislativamente, “proprietà privata”.  Tutta la discussione sull’uso dei dati, sulla geo referenzialità, sul tracciamento obbligatorio per cui Immuni (app pubblica) perde 100 a 0 con Facebook è lì. Perché alla fine, si tratti di un brevetto o dei dati per calcolare scenari predittivi, il tema è se un sapere che è prodotto da tutti (e quindi pubblico per definizione) è possibile privatizzarlo a fini economici per pochi

Giampiero Moscato
L’Italia è l’esempio perfetto di quanto abbia ragione Foucault: a un potere politico che è così tanto debole che avrebbe potuto farci fare la fine della Grecia (solo nelle gravissime emergenze spuntano capacità di risposta immediate tanto quanto servirebbero sempre, mentre la norma è fare poco, male e in ritardo le riforme necessarie) si è sovrapposto un potere sociale, per fortuna non solo di imprese private ma anche e soprattutto di famiglie – che collettivamente sono tra le più ricche e solide del mondo – che ci fa una nazione più forte e più efficace delle istituzioni che teoricamente la reggono e la guidano. Proprio le debolezze italiane però dimostrano come l’assenza di istituzioni forti rende il nostro Paese (qualsiasi Paese) molto meno potente del proprio potenziale. Nel caso dell’algoritmo (il tema del vaccino presto sparirà dai radar, in un modo o nell’altro, se questo virus si comporterà come quelli che lo hanno preceduto) non esiste una singola forma di Stato in grado di reggerne da solo la forza d’urto.

Pieraugusto Pozzi
Nell’epoca della tecnoscienza, l’etica della conoscenza e della scoperta, tipica della scienza universalistica, comunitaria e disinteressata, lascia spazio alla pratica dell’innovazione tecnologica continua e dell’invenzione, correlate all’interesse economico del loro sfruttamento, riservato a soggetti (tendenzialmente privati) che ne detengano la titolarità (in forma di brevetto, marchio, design, segreto industriale). Una conoscenza operativa, sottratta all’ambito del bene e della conoscenza comune, più orientata alla tutela degli investimenti in ricerca e sviluppo, anche quando essi siano stati in origine sostenuti da soggetti statuali o pubblici. Uno scenario che si è riproposto per i vaccini Covid-19, finanziati da commesse pubbliche ma brevettati da privati. In questo scenario, nel quale i floridi bilanci e la liquidità di Big Tech e Big Pharma sono dirimpettai delle enormi voragini dei bilanci pubblici nazionali, l’Europa prova la sterzata espansiva, di rilancio e di transizione ecologica del Piano Next Generation Eu. La speranza è che le società, i cittadini e le imprese europee possano realmente giovarsene per contrastare oligopoli e autocrazie da posizione non subalterna.

5. Una delle funzioni che il testo reclama per integrare la strategia dei vaccini riguarda il tracciamento che proprio nei momenti di bassa intensità, quale quello che viviamo offre straordinarie opportunità per mappare e limitare il contagio. Immuni da questo punto di vista rimane un terribile fallimento pubblico per la subalternità, spiega il libro, ai grandi operatori della telefonia privata, che hanno impedito che si basasse anche sulla georeferenziazione, cosa che Google e Apple invece fanno da anni. Anche testimonianze della cultura democratica e riformatrice si sono spese contro una violazione della privacy da parte della sanità pubblica. Come vedi oggi il tema della privacy che Andrea Crisanti considera un valore di rinegoziare per non lasciarlo in ostaggio proprio ai monopoli digitali?

Cecilia Clementel-Jones
Credo sia un grande passo avanti che per la prima volta consideriamo la necessità di esaminare e regolare le reti globali di connessione digitale. Ma vediamo cosa è accaduto quando si è trattato di utilizzare i telefonini per un’app di tracciamento del Covid 19 (tenendo presente che gli asintomatici non sono tracciabili se non con tamponi a tappeto). Google ed Apple hanno, bontà loro, offerto un supporto basato sul bluetooth (il telefonino registra tutti gli altri telefonini che si sono trovati a meno di un metro di distanza, in caso di contagio può notificarli che hanno avuto un contatto a rischio, senza geolocalizzare). Il gatto e la volpe (G&A) hanno sconsigliato di usare una possibilità alternativa: la geolocalizzazione che utilizza il GPS, sì, proprio quello che loro utilizzano costantemente. Noi (l’app Immuni è quasi inutile per tracciamento) e i tedeschi, con diverse giustificazioni, ci siamo adeguati ma la Francia, parlando di sovranità digitale, non si è avvalsa della piattaforma Apple-Google (che permette a G&A di acquisire certi dati sulla pandemia) e ha usato bluetooth per StopCovid: i dati restano sui telefonini, avvisano le persone del contatto ma non sono geolocalizzati. L’Inghilterra non solo ha fatto come la Francia ma il National Health Service (NHS) ha sviluppato autonomamente la app e ne ha centralizzato i dati, tenendoseli: i dati anonimizzati dell’utente sono crittografati e archiviati centralmente. L’utente può geolocalizzare volontariamente registrandosi nei luoghi pubblici che frequenta. La Germania ha adottato un approccio non centralizzato[5]. Ricapitoliamo: il controllo capillare e lo sfruttamento dei dati per fini commerciali (compreso il riconoscimento facciale che critichiamo nello Xinjiang) sono del tutto accettabili, l’uso spionistico del data mining da parte degli stati nazionali o a scopo di spionaggio industriale, sono cose che capitano ma un uso necessario di dati accessibili solo alle grandi reti allo scopo di tracciare contatti durante una pandemia costituiscono una grave lesione delle libertà democratiche, really? Così opina centro tedesco (https://algorithmwatch.org/) secondo un articolo pubblicato da Al-Jazeera [6]:

dall’inizio della pandemia una serie di sistemi ADM (decisioni automatizzate) sono stati adottati in fretta , quasi senza trasparenza, senza salvaguardia e con insufficiente dibattito democratico’. Ma non sono gli stessi sistemi automatizzati, basati su algoritmi, che hanno invaso le decisioni mediche, le selezioni delle domande di impiego, i controlli dei rendimenti di colletti blu e bianchi…senza, che io sappia, alcun ‘dibattito democratico’ (per il quale francamente nel contesto del Covid 19 non vi era tempo).[7]

Le conoscenze necessarie ad affrontare ‘dibattiti democratici’ sull’uso di Intelligenza Artificiale (AI) sono parcellizzate e questa fordizzazione delle catene di montaggio informatiche oscura i gravi rischi che stiamo correndo. Fra essi la possibilità che gli stessi monopoli digitali sponsorizzino una critica pseudodemocratica all’uso centralizzato dei dati necessari a governare la complessità del momento attuale da parte delle istituzioni della società.

Alessandro Genovesi
Il tema della privacy rischia di divenire come “il comitato di affari della borghesia” per cui vi è privacy quando occorre vedere i conti in banca per combattere l’evasione, vi è privacy quando un altro, per tutelare la propria salute, non può sapere se chi ha di fronte è potenzialmente un rischio, ma non vi è privacy nella costruzione di offerte commerciali volte a renderci degli “zombi del commercio on line”. Vale quanto scritto in risposta alla domanda 4: il punto è che ruolo e percezione abbiamo (o dobbiamo avere) della funzione del pubblico, in quanto garante delle tutele collettive che vengono prima delle libertà individuali. Me lo pongo anche come sindacalista questo tema: in risposta al fatto che devo tutelare il mondo del lavoro in quanto dimensione generale e non per forza il lavoratore mio iscritto e le sue pulsioni individuali e privatistiche. E qui entra in campo la democrazia, la partecipazione ma anche la funzione “pedagogica” delle aggregazioni politiche e sociali. Quanto sarebbe più interessante se, allargando le competenze del Parlamento, come oggi vi è una “vetusta” Commissione di Vigilanza Rai, vi fosse domani una Commissione di Vigilanza sull’uso pubblico dei dati, che vigili per preservare (il Parlamento è ancora la massima espressione della sovranità popolare in un regime a suffragio universale) e garantire il corretto uso “ai fini pubblici” dei dati digitali a qualsivoglia titolo prodotti da cittadini, imprese, comunità in Italia?

Giampiero Moscato
È un aspetto che comprendo, nel ragionamento di Michele Mezza e Andrea Crisanti, e che tuttavia mi spaventa terribilmente. Usare un mezzo pervasivo e pesantemente condizionante delle nostre comunità per fini socialmente utili – lo capisco anche io e comprendo bene che gli autori la vedano come mossa disperatamente necessaria – ha in sé la chiave per sottarci alla dipendenza dal vaccino, per ora vista come sola unica arma che abbiamo per battere il Coronavirus. Ma avverto che è allo stesso tempo l’istituzionalizzazione, quasi la costituzionalizzazione di una dittatura degli algoritmi: diventerebbe un potere a questo punto potenzialmente molto più terrificante di quello già pericoloso dei social network, i quali condizionano un’umanità di clienti (so bene che questo fatto ha effetti anche sulle elezioni e dunque sulla qualità delle democrazie, ma in maniera secondaria). I governi avrebbero uno strumento che condizionerebbe un’umanità di “elettori”, che da cittadini tornerebbero a essere sudditi se non servi. Diventeremmo una comunità di Frankenstein, o peggio. E non oso immaginare quali conseguenze deriverebbero se questo potere di controllo e condizionamento finisse in mani senza scrupoli, di cui la nostra storia ha avuto anche troppi esempi.

Pieraugusto Pozzi
Certamente, il fatto che Apple e Google abbiano avuto la parola definitiva sulle applicazioni governative di tracciamento e contenimento pandemico è stato l’ennesimo segnale della crisi della sovranità politica, che ha dovuto negoziare con questi giganti, rispetto alla neo-sovranità tecnologica transnazionale. Riguardo alla privacy, quando fu introdotto il Green Pass, giuristi esperti di tutela dei dati, anziché occuparsi delle possibili violazioni della privacy, segnalavano l’insufficiente affidabilità sanitaria del certificato, paventando in particolare il pericolo che i vaccinati potessero muoversi senza limiti, potendo comunque essere contagiosi. Un’invasione di campo o una palla rilanciata in tribuna da parte di esperti che intanto lamentavano l’insufficienza tecnica di altri esperti (magari nel campo medico). Ecco un esempio di ciò che la pandemia, o la sindemia, ha rafforzato: l’idea che ciascuno possa occuparsi delle questioni anteponendo le proprie convinzioni alla competenza specifica. Una competenza che talvolta può offrire interpretazioni che derivano da posizioni accademiche, consulenziali e lobbistiche o dalla semplice convinzione personale, più che da logiche tecnico-scientifiche, scriveva mirabilmente Giorgio Israel ne Il Giardino del Noci. Incubi postmoderni e tirannia della tecnoscienza:

«Come osservò il matematico Enriques […] la scienza porge i mezzi e non i fini dell’operare ed è assurdo cercare in essa le norme della vita. Quando lo scienziato interviene in una Commissione di consulenza deve saper distinguere il proprio ruolo di fornitore di informazioni da quello di soggetto che decide in base a criteri etici di carattere extra-scientifico […] I confini della distinzione sono sottili, ma è soltanto tenendo conto di tale complessità che si può evitare il rischio che l’oggettività scientifica diventi lo sgabello o lo schermo di decisioni che hanno – come è giusto! – motivazioni di altra natura»[8].


[1] Ma forse non quelle del 2024

[2] Edgar Morin, La mia sinistra. Rigenerare la speranza, Trento, Erickson,  2013, ed. or. 2011

[3] Neil Postman, Technopoly. La resa della cultura alla tecnologia, Bollati Boringhieri, Torino 1993, ed. or. 1992).

[4] Byung-chul Han, Nello sciame. Visioni del digitale Nottetempo, Roma 2015, ed. or. 2013),

[5] Euronews, Stefania De Michelis 29.05.2020, https://games.euronews.com/en? Consultato 12 dicembre 2021.

[6] https://www.aljazeera.com/economy/2021/12/9/pandemic-exploited-to-adopt-mass-surveillance-watchdog-warns, 9 dicembre 2021
[7] Cathy O’ Nell, Weapons of Math Destruction (Broadway Books.com, 2016).

[8] Giorgio Israel, Il Giardino del Noci. Incubi postmoderni e tirannia della tecnoscienza, Napoli, CUEN, 1988.