La proposta

Democrazia Futura. La variante Panpatia, modelli sociali e poteri computazionali nella caccia al virus

di Michele Mezza, docente di Epidemiologia sociale dei dati e degli algoritmi, all’Università Federico II di Napoli |

Una riflessione che si propone di misurare la torsione che questa inedita epidemia sta imponendo alle nostre relazioni, modificando la stessa identità e struttura della democrazia.

Michele Mezza
Michele Mezza

Michele Mezza apre oggi per Democrazia futura un Dibattito/confronto a più voci destinato ad uscire fra qualche settimana sull’impatto sociale esercitato dalla pandemia partendo dal libro scritto insieme al virologo Andrea Crisanti Caccia al virus, uscito nel giugno 2021. Il pezzo intitolato “La variante Panpatia. Modelli sociali e poteri computazionali nella caccia al virus” (1) si propone di “misurare la torsione che questa inedita epidemia sta imponendo alle nostre relazioni, modificando la stessa identità e struttura della democrazia […]. “La proposta che suggerisce il libro è sintetizzabile nello slogan innanzitutto vaccini, ma non solo vaccini. Un modo per dire che oggi è indispensabile elaborare strategie di sorveglianza territoriale e di welfare sanitario che integrino la difesa vaccinale con procedure quali il testing di massa, il tracciamento georeferenziato, il sequenziamento di tutti i tamponi fatti. Senza queste misure saremo ancora vulnerabili e ci costringeremo ad una dipendenza pericolosa da vaccini ancora non completamente stabili”. L’articolo prosegue affrontando il tema “Georeferenziazione, strategie territoriali e tutele della libertà” per poi sostenere come “La pandemia è una transizione non una crisi, un processo che non si conclude per riportarci alla fase precedente, ma si evolve accompagnandoci in un mondo nuovo, sconosciuto, senza esperienze ma già abitato da interessi, domini e prevaricazioni”. Mezza quindi si chiede “Come riuscire a convivere con i virus attraverso la rete” osservando: “Non a caso i due mondi – quello del coronavirus e quello di Internet – mostrano tante e tali similitudini, a cominciare dal vocabolario, dalle figure retoriche e dalle categorie concettuali: contagio, virus, trasmissione, catena, network, sanificazione, immune, sicuro”. Dopo una riflessione su “Ri-materializzazione e riproducibilità e Pandemia e PanPatia” il giornalista nolano invita in conclusione a “Trovare il Piave per non far dilagare il contagio. Recintare i virus attraverso i social network” ovvero si tratta a su parere di “chiedere agli organismi istituzionali di fare presto […] Altro che giocare con dettagli procedurali. Dobbiamo fare subito una mappatura dei punti di disagio e di pre incubazione che sono rilevabili semanticamente sui social […]. Mezza conclude a nome del professor Crisanti con “La nostra proposta di intervento”: “il governo dovrebbe indicare un centro di responsabilità riconoscibile, un comitato interministeriale, in cui i dicasteri di Sanità, Innovazione, Ricerca e delle Regioni possano  definire obiettivi e procedure a partire da un negoziato con le piattaforme della sorveglianza privata che devono concedere le API, le chiavi digitali, per accedere ai data set che già loro raccolgono […] Questi dati devono confluire in un cloud computing pubblico che renda trasparente la mobilità dei dati individuali in nome di un fine comune: individuare le fonti reali del contagio”, presentando altresì il proprio corso di epidemiologia sociale e ponendo cinque domande sui PanPatia, Pandemia e Sindemia” che verranno inviate ad un gruppo di esperti.

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Nulla è come prima.

Era questo il mantra della  prima fase della pandemia – quella dove cantavamo sui balconi e ripetevamo che sarebbe andato tutto bene.

Oggi possiamo dire che quell’ammonimento si è perfettamente realizzato :nulla sarà come prima.

Politica, economia, relazioni sociali, movimento sindacale, la stessa scienza sono in via costante di mutazione.

C’è un prima e un dopo Covid-19.

Le piazze dei no vax, i portuali di Trieste, le scorrerie alla CGIL, che si stupisce di essere bersaglio di folle contro il green pass, come dichiarava il segretario generale della Fiom Francesca Re David , visto che la stessa confederazione condivide diffidenze e resistenze nei confronti di tale misura pubblica.

In un mio precedente libro, Il Contagio dell’algoritmo sempre con Andrea Crisanti (2), parlavamo di Idi di marzo della pandemia. A conferma che vivevamo un evento che in poco tempo stava mutando il destino di intere popolazioni. Come l’assassinio di Cesare che aprì la strada all’impero di Augusto.

Chi è Augusto oggi, ci chiedevamo?

Pandemia e torsioni della democrazia

Nel nuovo testo che vi proponiamo come pretesto di una riflessione comune in questo nuovo scenario di contagio a bassa intensità – a Caccia del virus con il professor Crisanti cominciamo a misurare la torsione che questa inedita epidemia sta imponendo alle nostre relazioni, modificando la stessa identità e struttura della democrazia. Un fenomeno senza precedenti per l’ambiente in cui si è diffuso, segnato da una globalizzazione come mai l’umanità ha conosciuto, in cui la mobilità e l’interattività sociale rende non recintabile la malattia.

In particolare vanno colte le connessioni profonde del fenomeno sanitario con le strutture sociali e politiche del momento. Richard Horton, il direttore della prestigiosa rivista scientifica Lancet in un suo saggio parla della pandemia come sindemia, ossia un processo generato e amplificato da disuguaglianze e squilibri sociali ed ambientali. Non riparabile solo con un contenimento vaccinale, premessa e conseguenza di ogni strategia, ma mai esclusiva misura di contrasto all’infezione. La proposta che suggerisce il libro è sintetizzabile nello slogan innanzitutto vaccini, ma non solo vaccini. Un modo per dire che oggi è indispensabile elaborare strategie di sorveglianza territoriale e di welfare sanitario che integrino la difesa vaccinale con procedure quali il testing di massa, il tracciamento georeferenziato, il sequenziamento di tutti i tamponi fatti. Senza queste misure saremo ancora vulnerabili e ci costringeremo ad una dipendenza pericolosa da vaccini ancora non completamente stabili né nella durata né nella perfetta funzionalità su campioni cosi vasti di miliardi di persone.

Georeferenziazione e strategie territoriali e tutele della libertà

Proprio questa strategia territoriale oggi è il buco nero che abbiamo dinanzi: ci siamo spesi tutti per una campagna vaccinale di massa ma ancora non abbiamo allestito reti sociali per prolungare e rendere endemica, come è endemica l’epidemia, la prevenzione e la mappatura del contagio.

Una scelta che ha offerto alle strumentalizzazioni populiste varchi per la loro propaganda.

I conflitti di questo autunno rovente, dove non si vota ma si protesta, non si partecipa ma si denuncia, non si ricorda ma si rinfaccia, non si riconosce ma si pretende, sembrano del tutto irriducibili a quanto solo due anni fa era all’ordine del giorno.

La contesa sta rideclinando il tema stesso della libertà.

Le note incursioni di Massimo Cacciari e Giorgio Agamben sul dualismo vaccini/autonomia personale, sono il segnale di un sommovimento che vede tutte le aree culturali e politiche , ridefinirsi attraverso questo flagello.

Come diceva un noto divulgatore e giornalista cattolico dei primi dell’800, Jean-Baptiste Henri Lacordaire, “fra un ricco e un povero, la legge libera, la libertà opprime“.

Ignorare questa constatazione mette in crisi, persino nelle aree più attigue alla tradizione egualitaria, segnala come sia l’idea stessa di diseguaglianza che oggi è messa in discussione come causa del disagio.

La pandemia, meglio ancora la sindemia, con la centralità della sanità pubblica e il protagonismo delle istituzioni sia europee che nazionali nel sostegno all’economia, invece di sancire una nuova idea di legame comunitario sembra che abbia favorito la messa sotto accusa dello spazio pubblico, sia nella versione statuale che in quella comunitaria,  da parte di moltitudini di individui differenti nelle ambizioni ma egualmente frustrati e insoddisfatti, che scaricano sulle procedure egualitarie dei vaccini la propria diffidenza per una culturale sociale collettiva.

L’integrazione delle relazioni indotte dalla società del distanziamento, con l’avvitamento tecnologico che ha assunto la tutela e l’arbitrato  delle forme di immunizzazione, stanno riclassificando le categorie sia pubbliche che private dei nostri comportamenti.

Siamo nel gorgo di una smart life in cui l’automatizzazione  riempie gli spazi del distanziamento, riclassificando le nostre relazioni medianti poteri incontrollabili e non negoziabili dei monopoli dell’algoritmo.

La pandemia come processo di transizione verso un ignoto già abitato da interessi prevaricatori

La pandemia è una transizione non una crisi, un processo che non si conclude per riportarci alla fase precedente, ma si evolve accompagnandoci in un mondo nuovo, sconosciuto, senza esperienze ma già abitato da interessi, domini e prevaricazioni.

Basta guardare il sistema mediatico per intenderne l’impatto sulla nostra vita: le agorà, prolificano le forme molecolari.

I dati ci parlano della crisi di giornali e emittenti televisive in chiaro. In affanno le stesse  piattaforme satellitari, sotto l’assedio delle piattaforme di video streaming. Recuperano i libri, come antidoto alla ruminazione dei social che consumano e arroventano ogni tema, mettendo in piazza il brusio del mondo.

Sembra che tutto quanto ci accomuna, ci lega e si renda affini, si logora, e quanto invece ci distanzia e distingue l’uno dall’altro si rinvigorisce.

L’imbarazzo dei sindacati confederali in questa stretta su vaccini e green pass segnala un’evoluzione culturale del presidio delle maggiori confederazioni, che tendono ormai a tutelare singoli dipendenti più che l’insieme del movimento del lavoro.

Le sollecitazioni che salgono da una base spuria, che in larghe zone del paese è sensibile a tentazioni sovraniste, spingono i vertici della stessa CGIL ad esprimere un imbarazzato neutralismo sul green pass, Poteri reazionari tendono ad impossessarsi di questa spinta centripeta, usando come una clava la diffidenza per le istituzioni pubbliche di cui i vaccini sono bandiera. Il loro refrain è che la pandemia come costrizione comunitaria  dello spirito irridente e singolo dell’individuo  deve finire. Ma non finisce.

Come riuscire a convivere con i virus attraverso la rete.

Mentre in Inghilterra e Israele, dove pure si sono raggiunte punto di vaccinazione vicine all’immunità di gregge, arrivano nuove immagini di ospedali assediati da positivi. Si sta incagliando quell’automatismo che sembrava risolvere tutto con i vaccini. E si ripropone come più adeguata  la fatica di una strategia composita, che affianca ai vaccini pratiche e procedure territoriali di vigilanza e tracciamento.

Andrea Crisanti, il microbiologo che nella primissima fase dell’epidemia riuscì a mitigare gli effetti di Covid 19 a Vò, in Veneto, ci avverte che non è immaginabile ripetere la performance di vaccinazioni di massa quali quelle che abbiamo attraversato nel 2021 ogni anno. Nessun paese al mondo può permettersi  decine di milioni di vaccinati per neutralizzare rischi di ricadute.

Dunque? si tratta di dare forma e sistema ad una convivenza con il virus. Vaccini e sorveglianza sociale, ripete ancora Crisanti, indicando come indispensabile non una misura occasionale e emergenziale, come sono appunto i vaccini, ma una strategia di servizio pubblico, un modo per essere stato al tempo della pandemia, come deve essere un nuovo welfare sanitario sul territorio.

Un tema questo che non può essere affrontato nazionalmente, ma deve investire  globalmente il modo con cui la nostra specie occupa questa pianeta.

Proprio l’ampiezza del fronte di lotta al virus, la sua scomposizione e pervasività, la sua configurazione pulviscolare, che prende forma in base ai movimenti e ai contatti di ogni singola persona, rende questa azione di contrasto quanto mai difficile e sicuramente imprevedibile nei suoi effetti finali.

Mai nella storia dell’umanità  l’intera popolazione del pianeta si è trovata, esattamente nello stesso istante, immersa nella stessa situazione, con lo stesso scenario e il medesimo linguaggio, a prescindere da condizioni sociali, geo politiche e geografiche.

Solo un altro fenomeno può ambire per numero, identità, coinvolgimento e potere totalizzante a coincidere con la diffusione del coronavirus: la rete.

Non a caso i due mondi – quello del coronavirus e quello di Internet – mostrano tante e tali similitudini, a cominciare dal vocabolario, dalle figure retoriche e dalle categorie concettuali: contagio, virus, trasmissione, catena, network, sanificazione, immune, sicuro.

Rimaterializzazione e riproducibilità

Questa identificazione ci annuncia che attorno a noi si sta creando uno scenario che nessuno aveva ipotizzato: la ri-materializzazione di un mondo che fino all’inizio del 2020 eravamo tutti intenti a virtualizzare. Entriamo così nell’epoca della riproducibilità materiale dei processi digitali, potremmo dire anagrammando il celebre saggio di Walter Benjamin del 1936.

Non è più la rete che ruba immagini e concetti alla vita reale per farsi intendere ed accettare. E’ l’umanità che scopre come la virtualizzazione della vita non sia solo una scorciatoia cognitiva, un trucco semantico per fare intendere una novità tecnologica. Siamo dinanzi ad un salto della storia che ci veniva annunciato dall’avvento della rete con le sue progressive e modulari figure concettuali, che ci spingevano a considerare un malaware il virus peggiore che potevamo incontrare, o la velocità di trasmissione di un contenuto da un punto all’altro dell’infosfera un fenomeno da riservare esclusivamente agli standard di connessione digitale.

Questi eventi tecnologici oggi , alla luce di questa compressa e frenetica esperienza terapeutica, ci appaiono come gli ambasciatori di un cambiamento ancora più sostanziale del nostro modello di vita, in cui  l’energia che costantemente connette e organizza i destini della popolazione planetaria sia appunto una dinamica connettiva che ricava forza dalla relazione fra due soggetti che, attivando una trasmissione da punto a punto di un oggetto, reale o virtuale, trasformano la realtà.

Pandemia e PanPatia

Ancora Benjamin ci aiuta a mettere a fuoco questa contorsione.

I due mondi, i due sistemi antropologici, la pandemia causata da un virus fisico che colpisce ed uccide indiscriminatamente ovunque, e quella che il filosofo Aldo Masullo, scomparso anch’egli nei mesi spietati del contagio, ha chiamato, per contrapposizione, la PanPatia, la forma di connessione e condivisione virtuale che stiamo sperimentando da mezzo secolo e che oggi rappresenta l’unico modo per poter rimanere animali sociali nonostante l’isolamento sanitario, la composita piattaforma digitale che ci permette di comunicare e vivere. Il dopo sarà terribile, prevedeva Masullo, e solo una forma di cooperazione globale sosterrà l’umanità nella sua inedita marcia fuori dal tunnel pandemico (3).

Pandemia e Panpatia sono due metafore di un unico concetto: la vita, e la morte, oggi si realizzano esclusivamente mediante un modello esplicito di contatto da punto a punto, attraverso cui scorre ogni energia, risorsa, o contagio.

E’ proprio questa configurazione della realtà antropologica che rende assolutamente convergenti le due realtà, cronicizzandole, nella loro dinamica. Saremo ormai un mondo che alterna e intreccia, permanentemente momenti di pandemia ad altri di PanPatia.

Del resto persino il lessico, i meccanismi, le figure retoriche, più in generale il linguaggio, è assolutamente identico

Non è un quesito puramente accademico o retorico. E’ oggi la frontiera del pensiero di un’umanità che si deve misurare con due fenomeni che conosce da tempo ma che non padroneggia , ne riesce nel suo insieme a decifrare.

Trovare il Piave per non far dilagare il contagio. Recintare i virus attraverso i social network

Ora si tratta di reggere all’offensiva, di trovare il Piave per non far dilagare il contagio. Una ricerca degli scienziati della regione toscana svolta a Vò, il comune veneto epicentro dell’epidemia italiana, dove si registrò la prima vittime, e dove appunto il professor Crisanti riuscì a recintare il contagio (4), ci dice che oltre il 70 per cento dell’infezione che ha coinvolto tutta la popolazione comunale è stata indotta dagli asintomatici giovani.  

Sono proprio le figure sociali più dinamiche e resistenti che infettandosi nelle fasi iniziali del contagio, quando ancora non era scattato l’allarme, che oggi producono gli effetti a cascata che contiamo ogni sera con le drammatiche conferenze stampa della protezione civile.

Gli asintomatici sfuggono a tutte le griglie selettive del sistema sanitario, come ospedali e medici di base, e, presumono per altro, di avere anche la possibilità di una maggiore circolazione.

Intervenire su questi micro focolai itineranti è indispensabile e urgente. C’è un solo modo che permette di individuare  il grosso di questi reparti d’assalto del virus, tracciarli e recintarli, o comunque, sapendo dove si concentrano pianificare in quelle aree gli sforzi maggiori sull’infrastruttura sanitaria: i social.

Come ci hanno spiegato tutti gli epigoni di Cambridge Analytica, sono i social il luogo dove si rileva ogni impercettibile increspatura umorale ed emotiva, permettendo di realizzare un micro targeting di precisione che mette nel mirino individui e singoli gruppi omogenei su cui intervenire. I listini di borsa ci raccontavano come questa tecnica produca centinaia di miliardi di fatturato per gli OTT. Google e Facebook già fanno queste azioni di scannerizzazione sociale, da anni, ed usano e rivendono i data set localizzati che ricavano dalle loro elaborazioni.

Per cui il problema ora non è come esporre i cittadini ad un controllo sociale, ma come usare questa strategia di analisi e profilazione di massa per un interesse universale indifferibile, quale quello della sopravvivenza. Ogni fisima garantista, ogni pedante richiesta di certezze sulle forme della costruzione delle nostre identità digitali, che non sia stata già diretta nei confronti di coloro che da tempo fanno strame dei nostri diritti, in virtù di un fine speculativo che diventa anche, come proprio Cambridge Analytica dimostra, una palese interferenza nelle nostre libertà. Il punto allora non è controllare  come lo stato e le comunità locali fanno quello che già fanno Google e Facebook, ma semmai quando possono osare a riprodurlo .

Fate presto

Dovremmo essere proprio noi cittadini a chiedere agli organismi istituzionali di fare presto, proprio come titolavano i giornali all’indomani del terremoto in Irpinia: fate Presto.

Altro che giocare con dettagli procedurali. Dobbiamo fare subito una mappatura dei punti di disagio e di pre incubazione che sono rilevabili semanticamente sui social.

La dimostrazione di questa potenzialità che ci è stata confiscata dall’arroganza proprietaria delle grandi piattaforme ci è venuta nella primavera del 2021 dalla pubblicazione da parte di Google (5) e Apple (6), ossia i titolari dei due sistemi operativi che dominano il mercato della telefonia mobile, di mobility report che hanno scansionato ogni spostamento granulare di centinaia di milioni di individui, documentandone  la dinamica, il verso e la modalità del trasporto, esattamente quanto Immuni neanche si propone di fare, colpevolmente.

La domanda che un ipotetico tribunale di Norimberga dovrebbe risolvere alle autorità europee implacabilmente sarebbe: perché a scopo commerciale si e per salvare vite umane non si è dotato di questa capacità di georeferenzazione anche le app pubbliche?

La nostra proposta di intervento

A livello nazionale, il governo dovrebbe indicare un centro di responsabilità riconoscibile, un comitato interministeriale, in cui i dicasteri di Sanità, Innovazione, Ricerca e delle Regioni possano  definire obiettivi e procedure a partire da un negoziato con le piattaforme della sorveglianza privata che devono concedere le API, le chiavi digitali, per accedere ai data set che già loro raccolgono. Soprattutto  in un quadro di raffreddamento del contagio, in cui i numeri dei positivi tornano tracciabili, si deve rimettere in funzione Immuni, svegliando Biancaneve dal suo sonno mortale. Bisogna raccogliere le informazioni localizzate sui contatti con i positivi informando chi li ha incontrati  di dove e di quando.

Questi dati devono confluire in un cloud computing pubblico che renda trasparente la mobilità dei dati individuali in nome di un fine comune: individuare le fonti reali del contagio. In questo spazio vanno sovrapposti di dati ricavati dai social, con i flussi della mobilità telefonica che sono già usati da alcune regioni, come la Lombardia. Ma senza i social le celle  della telefonia mobile ci dicono solo che qualcuno si sposta da un punto all’altro.

Ora l’evasione di massa dalle zone più infestate si è esaurita, e dobbiamo capire chi spostandosi ha trasportato il virus in territori dove altri giovani asintomatici lo hanno raccolto. Dobbiamo tracciare questo passaggio: il momento in cui un residente  in una data regione, anche inconsapevolmente, segnala un proprio, seppur minimo, disagio, un raffreddamento, qualche colpo di tosse, stanchezza o mucose arrossate.

Da qui deve partire la caccia. Per fare questo bisogna disporre di un cruscotto semantico per interrogare i data base. E’ su questa funzione che si gioca tutta la partita: come individuare quelle parole chiave, le famose Key words, che permettono di intercettare i sentiment in rete. Ora bisogna andare oltre, e declinare questi termini secondo pratiche, esperienze e culture regionali. Un ragazzo di Bolzano segnala un eventuale sua contrarietà in maniera diversa di un calabrese o di un sardo. Su queste sfumature bisogna lavorare per avere la massima focalizzazione e poter setacciare i maniera più focalizzata possibile le zone dove vivono i casi di insorgenza dell’incubazione.

Il nostro corso a Napoli e la mobilitazione dei saperi

A Napoli, nel corso di Marketing e Nuovi Media della Federico II, che ora si è evoluto nel prossimo corso di Epidemiologia sociale, proprio nel pieno della prima fase, grazie alla collaborazione con lo staff di Padova del professor Crisanti, abbiamo sgrezzato un primo nocciolo semantico, e su questa base abbiamo rintracciato scie di informazioni in rete essenziali per scorgere il formarsi di cluster di incubazione di infezione.

E’ una mobilitazione dei saperi, di  abilità e di volontà, che mette in campo una logica che non a caso si chiama virale, che avrebbe la stessa potenza, mobilità, e adattabilità del coronavirus.

L’intelligenza è simpatia, scrisse nel suo preveggente saggio Manifesto Cyborg(Feltrinelli) pubblicato a New York, in un lontano anno ancora analogico come il 1991, Donna Haraway, la più lucida delle filosofe del femminismo socialista digitale, che intuì come le biotecnologie che stavano prendendo velocità, sull’onda della potenza di calcolo che cresceva esponenzialmente, avrebbero modificato radicalmente le forme e modalità del modo in cui l’uomo avrebbe ragionato. La lucidissima filosofa di genere ci stava annunciando che “non dovremmo mai criticare quello di cui non ci sentiamo complici”. Non possiamo, in sostanza sentirci capaci di razionalizzare fenomeni e concetti se non ne siamo parte direttamente.

Questa oggi è la panpatia: un intreccio di saperi e capacità che sono nel dominio umano e che possiamo ribaltare sul virus in virtù di una potenza cognitiva cooperante che già sta ridisegnando la nostra esistenza.

Cinque Domande su PanPatia, Pandemia e Sindemia

  1. Il filo rosso che attraversa i ragionamenti di Crisanti e Mezza nel libro Caccia al virus è che siamo dinanzi ad una transizione e non una crisi, ossia un processo di strutturale trasformazione delle nostre relazioni sociali mediante la pandemia. Come valuti lo spessore e le implicanze di questo fenomeno e che dimensione attribuisce, sia temporale che storico, a quanto sta accadendo? come vedi la fisionomia del concetto di libertà usato in maniera così contradditoria nel conflitto sui vaccini?
  • Nella lettera ai cittadini, che introduce il testo, i due autori denunciano un uso distorto da parte delle istituzioni della scienza. In particolare scrivono: “per chi, come medico e scienziato o cronista, si sia trovato coinvolto in questa storia diventa ancora più insopportabile assistere ad un uso della conoscenza o delle abilità scientifiche per sostenere o proteggere interessi politici o opportunistiche speculazioni, o ancora peggio per preparare future campagne elettorali”. Al netto delle polemiche recenti, cosa pensi della relazione fra istituzioni e scienza, e ancora più in generale, fra democrazia e saperi così come è emersa in questi mesi di pandemia?
  • In particolare il professor Crisanti denuncia nei suoi contributi l’inadeguatezza che l’istituto regionale ha mostrato nella drammatica emergenza della pandemia. Anche in questo caso, staccandoci dai contrasti più immediati, come vedi la dinamica istituzionale e l’articolazione delle autonomia locali alle prese con circostanze emergenziali? si tratta di rileggere l’autonomia come una bardatura burocratica o invece rimane ancora una risorsa l’ambizione di autogoverno degli enti locali? e il governo centrale come deve far valere quella caratteristica che identifica lo stato secondo Carl Schmidt che è proprio il potere di proclamare lo stato di emergenza ?
  • Ragionando sulla coppia vaccini/algoritmi, nel libro viene citato una delle lezioni sulla sanita di Michel Foucault, in cui il grande sociologo francese spiegava che “quel che regge la società non sono i codici, ma la distinzione permanente fra normale e anormale, che oggi viene surrogata dalle imprese private che si sostituiscono alle istituzioni pubbliche“. Un modo per sottolineare come anche in questa drammatica emergenza globale i poteri privati, sia farmacologici che digitali, hanno prevaricato sulla sovranità dello spazio pubblico. Come consideri questa tendenza? La vedi crescere o invece ne percepisci una mitigazione ?
  • Una delle funzioni che il testo reclama per integrare la strategia dei vaccini riguarda il tracciamento che proprio nei momenti di bassa intensità, quale quello che viviamo offre straordinarie opportunità per mappare e limitare il contagio. Immuni da questo punto di vista rimane un terribile fallimento pubblico per la subalternità, spiega il libro, ai grandi operatori della telefonia privata, che hanno impedito che si basasse anche sulla georeferenziazione, cosa che Google e Apple invece fanno da anni. Anche testimonianze della cultura democratica e riformatrice si sono spese contro una violazione della privacy da parte della sanità pubblica. Come vedi oggi il tema della privacy che Crisanti considera un valore di rinegoziare per non lasciarlo in ostaggio proprio ai monopoli digitali?

Note al testo

  1. Materiali introduttivi per una messa a fuoco delle forme di impatto sociale della pandemia sulla base del libro di Andrea Crisanti e Michele Mezza Caccia al Virus, Roma, Donzelli, 2021, 128 p.
  2. Michele Mezza, Il contagio dell’algoritmo. Le Idi di marzo della pandemia. Con un saggio di Andrea Crisanti. Prefazione di Enrica Amaturo. In appendice l’ultima lezione di Giulio Giorello nella testimonianza della moglie Roberta Pelachin, Roma, Donzelli, 2020, 288
  3. Aldo Masullo. Cfr https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/04/13/coronavirus-il-professor-aldo-masullo-il-dopo-sara-certamente-molto-piu-duro-del-presente-e-tutto-sara-meno-controllabile/5768575/
  4. https://www.repubblica.it/salute/medicina-e-ricerca/2020/03/16/news/coronavirus_studio_il_50-75_dei_casi_a_vo_sono_asintomatici_e_molto_contagiosi-251474302/ 
  5. https://www.google.com/covid19/mobility/
  6. https://covid19.apple.com/mobility.