Big data

Democrazia Futura. Internet è per la libertà o per il suo contrario?

di Massimo De Angelis, scrittore e giornalista |

L'irresistibile ascesa delle piattaforme e le minacce di un loro uso illiberale. Sono sempre più numerosi coloro che si interrogano sulle forme di controllo delle persone in atto e possibili, e anche sui rischi che tutto questo può implicare. Si moltiplicano inoltre le domande sul condizionamento e sui processi di vera e propria ibridazione tra la rete e la mente umana. Cosa ci aspetterà nei prossimi anni?

Pubblichiamo di seguito il contributo di Massimo De Angelis, scrittore e giornalista, alla rivista DEMOCRAZIA FUTURA, promossa dal gruppo di “Infocivica 4.0” e diretta da Giampiero Gramaglia, a cui seguirà quotidianamente la pubblicazione di tutti gli altri articoli.

La vicenda del Covid accelererà la diffusione e l’uso di strumenti di sorveglianza e di controllo delle persone, dei loro contatti, dei loro spostamenti, del loro stato di salute. Soprattutto, però, quanto il mondo ha conosciuto quest’anno, ha portato e porterà alla luce e all’attenzione dell’opinione pubblica processi che sono già in atto da tempo.

Sono sempre più numerosi coloro che si interrogano sulle forme di controllo delle persone in atto e possibili, e anche sui rischi che tutto questo può implicare. Si moltiplicano inoltre le domande sul condizionamento e sui processi di vera e propria ibridazione tra la rete e la mente umana. E non è un caso, visto che l’agenzia di ricerche Arpa, la madre di Internet, che per molti anni, già a partire dalla fine degli anni Cinquanta, investì nella ricerca sulle telecomunicazioni a scopi militari, se partì mettendo al centro della ricerca ingegneri e matematici diede presto maggiore importanza a psicologi comportamentisti, il più importante dei quali è senz’altro Joseph Licklider.

L’ipotesi di base era quella di un isomorfismo tra sistema neuronale umano e quello delle reti comunicative del futuro e quindi di una inevitabile integrazione tra cervello umano e rete. E così già nel 1960 Licklider scriveva: “Sembra del tutto possibile che a tempo debito ‘macchine’ elettroniche o chimiche superino il cervello umano nella maggior parte delle funzioni che adesso consideriamo di sua esclusiva competenza”.

Le origini della discussione sugli effetti del mondo digitale

Facciamo un passo indietro. Già a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso il pensiero filosofico, e in particolare quello francese, con Foucault, Deleuze ed Ellul in primo luogo, comincia a pensare gli effetti del nuovo mondo digitale. Al centro vi è l’idea che i processi produttivi, dopo aver sfruttato la natura vergine esterna, possano cominciare a farlo con quella interna, e cioè quella umana. La soggettività umana può essere messa a frutto attraverso le tecnologie comunicative. Molti interrogativi scaturiscono da questa circostanza.

Essi ruotano intorno ad alcune questioni principali: quanto e come la logica binaria del digitale può condizionare ed eventualmente deformare/impoverire la logica intellettiva umana? E che cosa può implicare la delega alla rete di processi mentali come la memoria? Che impatto poi può avere essa su sfere più profonde dell’umano: le emozioni, le fantasie, i desideri? E infine, quali possono essere gli effetti dell’intensificazione artificiale della soggettività che va appunto manipolata/sfruttata dalle nuove tecnologie? Si individua ad esempio una possibile dissociazione tra espansione (delirante) della soggettività e libertà.

Si tratta qui di fondamentali questioni antropologiche. Ad esse se ne aggiungono di sociologiche. A cominciare dal fatto che tende a finire la distinzione tra la sfera della produzione e quella della riproduzione e quella tra pubblico e privato. Riguardo al primo tema, anche la sfera della riproduzione (si pensi al tempo libero) va “organizzata” produttivamente con l’intrattenimento in un senso diverso e più profondo rispetto a quello della vecchia tv. Nel senso che la mente occupata nel tempo libero va e può essere sottoposta con il digitale a uno screening e a una raccolta dati che può essere commercializzata a fini pubblicitari e d’altra parte utilizzata per conoscere i gusti della persona scrutinata e indirizzarla. 

Questo è in effetti il meccanismo che rende già pertinente parlare di sorveglianza. Mentre io navigo nella rete, qualcun altro, la piattaforma stessa (Google, Facebook, ecc.), non solo naviga con me ma mi scatta una marea di istantanee che vengono immagazzinate e dalle quali vengono estratte le mie parole, le mie immagini, i miei siti preferiti etc. Traducendoli in numeri facilmente ponderabili. Questo al fine di conoscere i mei gusti e di anticiparli con l’offerta di prodotti corrispondenti. Tutto ciò, come oggi già si comincia a vedere, se porta il consumatore a una soddisfazione indotta abbastanza rapida, ha come effetto una riduzione delle sue tendenze esplorative.

In breve un appiattimento del gusto cui corrisponde, l’esperienza ce lo mostra, la crescente ripetitività e piattezza dei prodotti e la progressiva scomparsa di ogni autentica sorpresa e creatività nel prodotto culturale. La programmazione soffoca progressivamente ogni ungeplantes, ovvero ogni cosa imprevista.

La società della moltitudine di single

Un’altra fondamentale questione sociologica, individuata già da quei pensatori, è quella legata all’ eclissi delle tradizionali strutture di formazione (e di disciplinamento) delle persone. La scuola, la fabbrica, la caserma, persino gli ospedali sono spiazzati dalle nuove tecnologie. La formazione è sostituita dall’induzione e dal condizionamento, la disciplina da sorveglianza e controllo, la rete si pone in alternativa alle altre istituzioni. Il Sé perde però così progressivamente struttura e spessore.

Le nuove tecniche produttive mettono poi in crisi il modello fordista del lavoratore e della sua famiglia. Il modello antropologico che si afferma con la “civiltà della Rete” è quella del single che può essere occupato in modo flessibile, anche h24, consumare in modo illimitato e porre termine alla sua vita senza lasciare in carico alla società gravami assistenziali per sé e la sua famiglia. La società propugnata dai giganti della rete, secondo quanto sostenuto da diversi studiosi, è quella  della società della moltitudine di single, soggetti destinati a nomadismo spaziale e lavorativo, tendenzialmente poco qualificati e con massima flessibilità negli orari e tempi di vita, in un contesto di uguaglianza umanitaria globale che ignora o svaluta ogni identità e peculiarità in nome di un universale diritto al consumo (diritto peraltro proclamato nel mondo del desiderio ma mai fattualmente garantito sul piano della realtà) che rinvia a una sovrapposizione, nell’individuo, della figura del consumatore a quella del cittadino.

Uno studioso del rango di Sloterdijk ha più recentemente nei suoi studi, senza alcun atteggiamento pessimistico e neanche critico (casomai “cinico”), avvicinato la realtà umana quale oggi si rappresenta a un insieme aggregato di bolle si schiuma, leggere e inconsistenti, in perenne movimento, espansione, estinzione. 

Dopo le Torri gemelle la nascita delle piattaforme trasforma Internet: algoritmi e accesso ai metadati

La nuova era digitale nasce col terzo millennio, in contemporanea, non casuale come vedremo, con l’attacco alle Torri gemelle. La storia di internet è già assai lunga. Ma la svolta è avvenuta con internet 2.0, grazie alla quale dalla prima internet orizzontale, paritaria e comunitaria, si è passati a piattaforme in cui vi è chi gestisce e detiene i dati da un lato e chi naviga dall’altro. È un passaggio che ha portato a un mutamento profondo di internet, che da luogo di libertà che garantiva privacy e anonimato è divenuta un luogo di minuziosa individuazione e profilazione degli utenti. Una individuazione peraltro indelebile come hanno dovuto accorgersi soprattutto quei giovani che nei loro colloqui di lavoro hanno appreso che i loro interlocutori sapevano tutto e troppo di loro grazie ai dati forniti dalla rete.

È ormai noto il ruolo che hanno in tutto ciò gli algoritmi che possono processare, ordinare, raccogliere ed evidenziare una quantità strabiliante di dati in tempi rapidissimi. Essi sono nutriti dai big data.  Grazie ad essi si possono:

  • Ottenere dati statistici straordinariamente precisi e sofisticati cui oramai è difficile rinunciare per le grandi-medie aziende. Potrebbe definirsi il metodo della rete a strascico.
  • Procedere alla profilazione degli individui, grazie a picchi di parole usate, immagini, pubblicità e suggerimenti visualizzati: come si capisce è un metodo molto più personalizzato.
  • Soprattutto si può accedere ai metadati che per molte attività (ad esempio quelle di spionaggio) sono i più importanti. Essi si chiamano metadati perché sono dati risultanti da altri dati. Registrano tutti i dati che derivano dai nostri dispositivi: Iphone, computer, tablet ma sempre più anche veicoli (display delle auto, aeroplani) ed elettrodomestici (televisore, frigorifero, aspirapolvere). Prendiamo una telefonata. Viene registrata data e ora della chiamata, durata della stessa, numero da cui e a cui si è chiamato, loro localizzazione. Lo stesso vale per una email. I metadati dicono dove hai dormito la notte e a che ora ti sei svegliato, dove sei stato durante il giorno, le persone con cui sei entrato in contatto e un mucchio di altre cose.
  • Strumento essenziale è il cloud col quale si immagazzinano e setacciamo i dati.
  • Nel prossimo futuro, grazie al Covid19, diventeranno di crescente importanza i dati biometrici e il connesso riconoscimento facciale che consente, processando i dati, di abbinare i volti con le altre informazioni in modo particolarmente rapido ed efficiente.

Un mondo globale senza patria e confini o un capitalismo della sorveglianza?

L’utopia dei guru del digitale è quella di creare un mondo globale senza più patrie né confini. “Ecco a voi internet – scrive Eric Schmidt, per vent’anni alla testa di Google e oggi chairman del Defense innovation advisory board del Pentagono – il territorio senza governo più grande del mondo”. Un mondo, aggiunge “che rappresenta una fonte di bene inesauribile, ma anche di male potenzialmente terrificante, e stiamo iniziando solo ora a vedere il suo impatto reale sul mondo”(1).

Per quanto riguarda le nostre vite e le nostre società l’idea è quella di andare ben al di là dell’attuale uso di Internet, come afferma la Shoshana Zuboff nel suo Il capitalismo della sorveglianza (2) che fornisce una analisi ampia, acuta e approfondita del nostro tempo digitale. “L’idea è quella di trasformare ogni spazio fisico, dall’interno di un ufficio a un’intera città, in un ‘ambiente navigabile’, nel quale poter vedere tutto quello che accade al cospetto di miliardi o migliaia di miliardi di sensori”. “Gli spazi possono venir aggregati in un flusso ininterrotto di informazioni, immagini e suoni ricercabili, proprio come un tempo Google aveva aggregato le pagine web per indicizzarle e usarle per le ricerche: questo passaggio creerà un sistema nervoso ininterrotto in grado di comprendere l’intero pianeta, e al momento una delle principali sfide per la comunità informatica è come fondere i sensori elettronici ‘onniscienti’ in rapida evoluzione con la percezione umana”.

Il terreno di battaglia è quello della casa smart. Scrive ancora la Zuboff: “La casa smart con il suo internet delle cose è la tela sulla quale i nuovi mercati dei comportamenti futuri lasceranno il proprio segno. Si mira a ogni angolo e pertugio, a ogni frase e gesto per poterli espropriare. La solitudine è vietata”. Ma lo stesso discorso può farsi per le smart cities. Attenzione: il fascino dell’idea è che ciascuno di noi potrà muoversi fisicamente, ininterrottamente, in uno spazio internet, il trucco è che in tali percorsi sarà seguito e monitorato costantemente da un Grande fratello.

Dal tracciamento degli individui al rilevamento delle loro emozioni. Una svolta irta di incognite

Un ulteriore avanzamento della strategia del controllo è dato dalle ricerche volte a prevedere e indurre delle scelte; commerciali ma anche ad esempio politiche. Facebook e Cambridge analitics negli anni Dieci si sono dedicati a tale tipo di ricerca. All’inizio del 2014 Facebook ha brevettato un sistema di rilevamento delle emozioni.

Nuove macchine vengono addestrate a isolare, catturare e renderizzare i comportamenti più intimi e sfumati – scrive in proposito la Zuboff – “da un inconsapevole battito di ciglia a una mascella che si serra per la sorpresa in una frazione di secondo”. Ne abbiamo parlato prima a proposito dei nuovi tracciamenti biometrici resi più semplici dal Covid-19. Come sostiene il progetto SEWA, le tecnologie che possono analizzare in modo consistente e accurato contemporaneamente le interazioni facciali, vocali e verbali, per come vengono osservati dalle webcam onnipresenti nei dispositivi digitali, avranno un impatto profondo sia sulle scienze di base, sia sull’industria; sia, ancora, sulla sicurezza.

“Che cosa accade alla mia volontà di volere in prima persona – si chiede in proposito la Zuboff – quando il mercato circostante si traveste da specchio, cambiando forma a seconda di quel che ho deciso di sentire, ho sentito o sentirò: ignorandomi, provocandomi, sostenendomi, punendomi, pungolandomi?”

Si tratta di una prospettiva più complessa rispetto alla semplice raccolta dati e straordinariamente ricca di potenziali sviluppi. Essa ha l’obiettivo di modificare gusti e scelte ma anche di indurre precisi comportamenti. Come spiega un software engineer “il nuovo potere è l’azione: l’intelligenza dell’internet delle cose significa che i sensori possono anche diventare attivatori. Il vero obiettivo sono intervento, azione e controllo ubiqui. Il vero potere è quello di modificare le azioni in tempo reale nel mondo reale”.

L’obiettivo è farlo con “la stessa facilità con la quale modifichiamo il comportamento di un dispositivo”, ad esempio il livello di riscaldamento in un quartiere. Scrive in proposito la Zuboff: “Nella nuova fase della competizione i capitalisti della sorveglianza hanno scoperto di avere bisogno di economie d’azione, basate su nuovi metodi che vanno oltre il tracciamento, la cattura, l’analisi e la previsione del comportamento, intervenendo sugli accadimenti e contribuendo attivamente alla formazione del comportamento”.

I presupposti teorici di tali applicazioni vanno rintracciati nella psicologia di Skinner (che ha a lungo studiato Pavlov) e ai nostri giorni nel comportamentismo di studiosi come Brian Fogg e Alex Pentland. Il principio filosofico su cui tutto ciò si fonda è che la libertà è una illusione che può essere anche pericolosa e che il condizionamento dell’uomo è la soluzione più umanistica e che garantisce più sicurezza.

Come ha spiegato Pentland che ha dedicato a questo tipo di ricerche molto tempo e una gran quantità di mezzi a fini di mercato, essenziale è “applicare agli uomini il monitoraggio del comportamento animale” e cioè su “soggetti inconsapevoli eliminando ogni possibile resistenza”.

Attraverso una serie di pattern matematici è possibile giungere a prevedere e influenzare i comportamenti. Pentland ha usato i propri lavoratori come “laboratorio vivente” ma l’obiettivo – come racconta la Zuboff – è lo “sviluppo del sistema sociale sulla falsariga dei sistemi di macchine, usando il flusso di dati comportamentali per giudicare la ‘correttezza’ di un pattern di azioni e intervenendo quando necessario per trasformare un’azione ‘cattiva’ in un’azione ‘corretta’”.

E qui giungiamo a un punto delicatissimo che riguarda la domanda: che succede se tali tecnologie finiscono nelle mani sbagliate, tanto per parlar chiaro quelle di un potere autoritario?

L’irresistibile scalata delle piattaforme Over-the-Top al vertice del mondo finanziario favorita dalla deregulation di Clinton

Prima però è necessario affrontare un’altra questione. Si è detto della svolta e accelerazione impressionante realizzatasi nel mondo digitale a inizio secolo e della non casuale correlazione con le Torri gemelle. Scattano nel 2001 due elementi: innanzitutto la necessità dello Stato americano di poggiare sulla rete per fare schedature. (Già alla fine della guerra in Vietnam l’allora Arpanet era stata accusata di aver operato schedature di massa specie nei campus universitari).

Da tale urgenza deriva una legislazione assai favorevole alle piattaforme che raccolgono dati, a cominciare da Google.   Ma un passaggio decisivo in tal senso era stato compiuto già con la section 230 del Communication Act voluto da Bill Clinton nel 1996.

In questi 20 anni le piattaforme si sono garantite gli enormi profitti che oramai tutti conosciamo godendo di una fiscalità straordinariamente mite. Ma la cosa fondamentale è che il sistema di comunicazione e le piattaforme che lo alimentano sono sempre più divenute non solo le aziende leader ma, insieme al sistema finanziario, il perno e la guida dell’intero sistema produttivo e anche di quello distributivo (Amazon ma anche Alibaba insegnano), con effetti clamorosi sull’assetto sociale e sul mercato del lavoro mondiale e con una azione di sradicamento e di mobilitazione nomadica di quantità sempre più ingenti di popolazione mondiale.

L’influenza delle piattaforme è crescente in ogni ambito: politico, economico, sociale, culturale.

Come racconta bene la Zuboff è sempre più imponente la pressione esercitata sulla ricerca accademica ai più alti livelli e il condizionamento del discorso culturale in genere nel senso del politically correct. Questo attraverso una strategia di visibilità concessa o ostacolata nelle piattaforme come anche attraverso una formidabile azione lobbistica.

Una azione lobbistica volta poi soprattutto, come riporta anche qui assai bene la Zuboff, a influenzare e condizionare le istituzioni nazionali, internazionali e sovranazionali. È impressionante a quanti processi i GAFAM siano stati sottomessi uscendone sempre indenni e quanti tentativi di controllo e di regolazione legislativa, da parte del governo Usa come dalla Ue, siano stati tentati senza mai approdare praticamente a nulla. Frutto tutto ciò dei forti strumenti di pressione da un lato e della rapidità nell’innovazione che riesce sempre a scansare i nuovi lacci e lacciuoli legislativi introdotti.

Il progressivo squilibrio tra piattaforme e potere politico: il potere asimmetrico di Google dall’era Bush ai giorni nostri, le denunce e le accuse di spionaggio a Snowden

“Il potere asimmetrico di Google – afferma la Zuboff – è oggi in grado di padroneggiare tutta l’informazione mondiale”. Ma le novità introdotte da Twitter con la censura di alcune affermazioni del presidente Trump, a prescindere da ogni giudizio su quanto egli affermava, hanno inaugurato un nuovo capitolo di straordinaria rilevanza: quello dell’intervento diretto sulla scena politico-istituzionale da parte delle piattaforme. Un vero terremoto.

Ma se questa perdita di equilibrio nei rapporti tra piattaforme e potere politico è recente ed embrionale, di assai più lunga data è il fenomeno della commistione tra i giganti della rete e il potere statale e anche politico: raccontato anch’esso bene dalla Zuboff e al centro di Errore di sistema (Longanesi, 2019) di Edward Snowden. Il famoso tecnico dei servizi segreti americani che nel 2013 denunciò una massiccia operazione di spionaggio interno ed esterno da parte dell’amministrazione americana dopo l’11 settembre.

Come egli scrive, Internet è (ancora) una realtà fondamentalmente americana (infrastrutture, software, e cioè Microsoft, Google, Oracle), hardware (Hp, Apple, Dell), chip, router, modem, nonché piattaforme (Google, Facebook, Amazon). Per quanto godano di notevole autonomia, esse sono sottoposte alla legislazione e al controllo da parte dell’amministrazione americana, ma anche sottoposte a politiche segrete americane. La Cina sta crescentemente contrastando tale egemonia ma lo scenario è ancora prevalentemente questo.

Durante l’era Bush la commistione è tra Google da una parte, Nsa, Cia e Fbi dall’altra. Un rapporto strutturato e massiccio. Con Obama essa si sposta anche sul terreno dei rapporti politici.

La Zuboff ricostruisce il ruolo di Google nella raccolta massiccia di dati, soprattutto metadati, per favorire la prima campagna elettorale di Obama e poi, di conseguenza, le porte scorrevoli e sempre aperte tra uomini di Google e dell’amministrazione Obama negli otto anni di sua presidenza. Al punto che nel 2013 lo stesso Schmidt dichiarò forti investimenti sulla squadra obamiana di analisi dei dati.

Il punto più critico dell’azione di spionaggio si raggiunse con lo sviluppo del sistema di sorveglianza Stellar wind, il Presidence surveillanche program, di schedatura di massa senza bisogno di alcun permesso.

Esso fu reso possibile dal Patriot Act di George W. Bush dopo l’attacco del 2001. E fu il primo nucleo di una struttura che crebbe negli anni dell’amministrazione Bush e poi di quella Obama con la creazione, anche, di grandi centri di intercettazione e comunicazione coperti, come quello nelle Hawaii nel quale lavorò per l’appunto Snowden, riuscendo a trafugare da lì il materiale necessario alla sua successiva denuncia. O come lo Spy centre nello Utah, destinato a immagazzinare e analizzare miliardi di miliardi di intercettazioni raccolte in ogni angolo del mondo.

Tale vicenda ha reso fortissimo il problema del rapporto tra libertà e sicurezza negli Usa. In America la sensibilità per tali fenomeni è enormemente superiore rispetto all’Italia. Anche se gli effetti di tali operazioni non siano per il nostro Paese minori. Lo stesso Eric Schmidt ammette che quanto accaduto comporterà inevitabilmente una nuova regolamentazione.

L’intera vicenda di questo programma fu denunciata da Snowden che fu perciò accusato in Usa di spionaggio e dovette riparare in Russia dove vive tuttora. Assai recentemente una Corte d’appello americana è giunta alla conclusione che comunque quanto da Snowden denunciato era reale e che le sue rivelazioni hanno avuto un influsso positivo sul dibattito pubblico del Paese in materia di dati sensibili. E ha perciò rivolto una mozione di condanna alla Nsa. Chissà se questo porterà a riconsiderare anche l’accusa di spionaggio e la relativa condanna. Snowden, infatti, ha sempre dichiarato di aver agito in nome dei valori della Costituzione americana oltre che in difesa dei vecchi valori liberali di Internet, calpestati dalla commistione di cui si è detto. Non è facile dargli torto.

Oltre che nell’autobiografia di Snowden, la sua vicenda è ricostruita in Dark mirrror uscito qualche mese fa negli Usa, scritto da Barton Gellman, giornalista del Washington Post che ha vinto tre premi Pulitzer e che raccolse proprio le prime informazioni di Snowden e lo aiutò nel rendere pubblico quel che sapeva.

Il mondo digitale come terreno di scontro tra le grandi potenze e tra esse, il terrorismo e le potenze medie e piccole. Le minacce di un uso totalitario delle piattaforme

Tutto finito? Naturalmente no. Il meccanismo non si è estinto e in certo senso non può neanche estinguersi. Anche lo sviluppo di questo intreccio tra digitale e intelligence ben raccontato nei suoi aspetti tecnici, umani e professionali da Snowden e Gellman, va inquadrato nel suo contesto. Il mondo digitale è il nuovo terreno di scontro tra le grandi potenze come anche tra grandi potenze da una parte, il terrorismo, le medie e piccole potenze (a cominciare dai cosiddetti Stati falliti o dall’Iran) dall’altra. Tale contesto serve senz’altro a comprendere, anche se non sempre a giustificare, certe scelte e soprattutto ci aiuta a mettere in luce minacce e posta in palio.

Un singolo smartphone ha un potere informativo maggiore di tutti gli strumenti di controllo della Germania nazista e della Russia sovietica” – scrive la Zuboff. Pensate il potenziale di sorveglianza di cui dispone uno Stato potente e totalitario come la Cina. Questa è la più grande sfida del XXI secolo.

Scrive Snowden: “Un conto è dire in modo superficiale, come se fossimo in un film distopico, che il governo può vedere tutto ciò che fanno i suoi cittadini, un conto è dire che quel governo ha realmente cercato di rendere operativo un sistema del genere … Quando lessi i dettagli del sistema di sorveglianza messo in piedi dalla Cina – i dispositivi atti a raccogliere, archiviare, e analizzare costantemente miliardi di persone e tutte le comunicazioni interne – rimasi a bocca aperta”.

Tutta la vita pubblica cinese è schiacciata da questo gigantesco Dispositivo. Il quale combinato con la legislazione oppressiva e l’assenza di ogni libera informazione, consente al potere comunista di tenere soggiogate tutte le popolazioni di quell’enorme Paese. E di operare discriminazioni e soprusi verso chiunque non sia allineato, a cominciare da chi lo fa per motivi religiosi. L’obiettivo è far leva sull’esplosione dei dati personali per “migliorare” il comportamento dei cittadini.

Un po’ come suggerisce anche Pentland. Individui e imprese vengono valutati su vari aspetti della loro condotta e questi dati sono integrati in un database completo. Chi viene colto in fallo comincia ad avere limitazioni: non può avere accesso a concorsi pubblici, non può viaggiare, non può magari comprarsi nemmeno un’auto. E viene anche isolato: i suoi amici e conoscenti vengono infatti avvisati che se continueranno a scambiarsi mail con quella persona saranno a loro volta puniti.

In Cina è lo Stato che guida le danze ed è proprietario di un progetto informatizzato volto a dar forma a una nuova società di comportamenti automatizzati capaci di garantire esiti economici, sociali e politici predeterminati. Una pianificazione totale che fa impallidire quella staliniana, fondata su una certezza e una coazione a comportamenti certi senza però terrore. L’Occidente sottovaluta enormemente la cosa perché non vede e naturalmente non vede perché le autorità cinesi non fanno vedere.

Il programma Stellar wind nacque per combattere la sfida terroristica. Qualcosa del genere potrebbe avvenire per affrontare la assai più minacciosa sfida cinese. Il problema è sempre quello.

Quanto un Paese liberaldemocratico può accettare di alterare le proprie pratiche da società aperta senza cadere in contraddizione con sé stesso? Si può essere ragionevolmente convinti, come sostiene Eric Schmidt, che le nuove tecnologie comunicative alla fine siano comunque più omogenee alle società aperte e che quindi quelle totalitarie entreranno prima o poi in contraddizione con sé stesse? O viceversa il nucleo teorico comportamentista e non liberale alla base di quelle tecnologie che abbiamo prima esaminato, è in contraddizione con le nostre libertà e destinato a favorire torsioni autoritarie anche da noi?

Si può esser certi che sarà questa la domanda fondamentale del nostro futuro, così come si può essere ragionevolmente certi che sarà Internet il campo di battaglia decisivo tra libertà e totalitarismo nei prossimi decenni.

Note al testo:

(1) Eric Schmidt, Jared Cohen, The New Digital Age: Reshaping the Future of People, Nations and Business, London, Alfred A. Knopf, 2013, 315 p. Traduzione italiana: La nuova era digitale, Rizzoli Etas, 2013, 399 p.

(2) Shoshana Zuboff, The Age of Surveillance Capitalism. The Fight for a human Future at the new Frontier of Power, Campus,2018. Traduzione italiana: Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, Roma, Luiss University Press, 2019, 622 p.

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