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Democrazia Futura. Il mito dell’app: dati privati, pubblica sanità

di Erik Lambert, direttore del Silver Lining Project di Roma |

Il rischio delle app di contact tracing (oltre alla privacy) è far credere che possano sostituire le misure collaudate per combattere le epidemie: test, tracciabilità manuale, lavaggio mani, distanza fisica e confinamento. Dobbiamo chiederci perché le due società che controllano il mercato della telefonia mobile, Google e Apple, si sono imbarcate nella definizione delle funzioni di queste app di tracciamento. Quali sono i loro interessi?

Pubblichiamo di seguito il contributo di Erik Lambert, direttore del Silver Lining Project di Roma, alla rivista DEMOCRAZIA FUTURA, promossa dal gruppo di “Infocivica 4.0” e diretta da Giampiero Gramaglia, a cui seguirà quotidianamente la pubblicazione di tutti gli altri articoli.

A metà febbraio 2020, in una Cina che deve affrontare un’epidemia dilagante, poco meno di un mese dopo la conferma ufficiale della trasmissione da uomo a uomo del coronavirus SARS-CoV-2, i cittadini preoccupati possono interrogare un database per scoprire se sono stati in contatto con un caso di infezione riconosciuto: tre giorni dopo il suo lancio, sono già state registrate cento milioni di domande[1].

Il giorno della conferma del contagio umano, il 20 gennaio 2020, China Unicom, un operatore di telecomunicazioni controllato dallo Stato, aveva creato un gruppo di lavoro sul big data come parte integrante della lotta contro l’epidemia, responsabile del coordinamento delle risorse e della creazione di contatti con la Commissione sanitaria nazionale (ministero), il Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie (China CDC) e tutti gli organi competenti delle province del paese.

  • Tre giorni dopo, il 23 gennaio, inizia il confinamento di Wuhan, seguito il giorno successivo da altre tredici città.
  • Lo stesso giorno, Neusoft, la più grande azienda d’Information Technology (IT) cinese, avvia una piattaforma di “auto-segnalazione epidemica” per aiutare i governi locali, le imprese e le istituzioni a registrare le informazioni riguardo all’epidemia.
  • Il 27 gennaio, il Ministero dell’Industria e dell’Information Technology riunisce numerosi esperti di alto livello per discutere la diffusione di servizi basati su big data che potrebbero rafforzare il controllo delle epidemie e le misure di prevenzione.
  • Il 6 febbraio[2], la società di servizi iSoftStone avvia la piattaforma centralizzata per il coordinamento delle risorse mediche per il trattamento del Covid-19.
  • E già la sera dell’8 febbraio la Cina inizia a distribuire un’applicazione mobile per la rilevazione del contatto ravvicinato (“close contact detector”) “che consente alle persone di verificare se sono a rischio di contrarre il nuovo coronavirus[3]. L’app è integrata con un aggiornamento automatico di Alipay, WeChat e QQ, le applicazioni più utilizzate in Cina con una penetrazione cumulativa di quasi il 100% degli smartphone, e due giorni dopo diventa attivo il famoso “codice sanitario di Hangzhou”: verde – puoi viaggiare dopo aver controllato la temperatura, giallo – 7 giorni di quarantena a casa, rosso – visita immediata in ospedale e 14 giorni di quarantena. Questo codice diventerà nazionale alla fine del mese.

Nel giro di tre settimane, quindi, la Cina ha messo a punto una completa infrastruttura informatica per combattere l’epidemia, altamente centralizzata ma anche – sembra – molto efficace: in ogni caso oggetto di orgoglio e propaganda, perché rende possibile mostrare l’abilità cinese nell’uso di big data, intelligenza artificiale e telecomunicazioni. L’impresa non ne è meno impressionante.

Come scrive l’agenzia di stampa nazionale Xinhua, basandosi su una metafora forse non così felice, “Uno ‘Skynet’ anti-epidemico digitale viene lanciato alla velocità della Cina, e il codice sanitario di Alipay sta per diventare lo standard per l’anti-epidemia digitale ovunque”[4] (Skynet è l’intelligenza artificiale che nel film Terminator cerca di prendere il controllo del mondo …).

Una celebrazione più sfumata viene presentata all’inizio di marzo sul sito web del Forum economico mondiale (WEF). Come terza lezione da ricordare, il testo afferma che “i big data e le tecnologie informatiche sono importanti per evitare un rimbalzo” e ricorda che “Hangzhou, dove si trova la sede di Alibaba, è stata una delle prime città a utilizzare dati e tecnologie informatiche per prevenire e controllare il Covid-19. Questo approccio è stato chiamato, alla maniera cinese, a cui piacciono le parole d’ordine “one map, one QR code and one index[5] (“una mappa, un codice QR e un indice“).

Anche Taiwan, spesso presentata come l’altra Cina, è riuscita a limitare molto rapidamente la diffusione del virus. Ovviamente deve anche farne uno strumento di propaganda, evidenziando come il suo successo possa essere un modello per il mondo: non centralizzato e autoritario, ma basato sull’iniziativa dei cittadini, una grande partecipazione digitale pur essendo “veloce, preciso e democratico[6].

La Corea del Sud e Singapore sono gli altri due paesi in cui i politici non hanno potuto evitare di far conoscere al mondo intero il ruolo che la loro Information Technology ha svolto nella lotta contro il Covid-19.

Nasce così il mito dell’anti-Covid computing, che permette di sconfiggere la malattia così come la preoccupazione e la paura che suscita: nei primi mesi, quando le certezze erano limitate e che il numero di casi stava esplodendo, un po’ di rassicurazione era gradita.

E questo mito si è autoalimentato dall’accumulo di annunci di vittoria che evidenziano il ruolo svolto dall’integrazione delle tecniche digitali[7] per la pianificazione del decorrere della pandemia, la sorveglianza, la politica di test e il tracciamento dei contatti, la gestione delle quarantene e delle cure.

Diventa il modello da seguire, anche se ci sono dubbi sulle possibilità di applicarlo in ogni circostanza. Il ruolo riconosciuto, nei quattro paesi, delle tradizionali misure vincolanti e robuste di test, identificazione e quarantena dei casi rilevati, a volte anche col sostegno dalla tecnologia – misure che hanno contenuto e ridotto con successo i focolai di infezione – è significativamente meno affascinante dell’abilità tecnologica. Quindi non c’è da meravigliarsi che nel mondo occidentale, tecnici e politici modernisti si siano uniti in ammirazione per dichiarare “sicuramente c’è un’app per questo!”

O forse più app!

In effetti in questa lotta contro il Covid-19, c’è tutta una serie di compiti, funzioni, che sono assegnati all’IT in generale e al telefono cellulare e alle sue app.

  • Funzioni di informazione per l’abitante: qual è la situazione infettiva nella tua regione, nella tua città, nel tuo quartiere; sei stato esposto al virus, sei a rischio di essere stato infettato.
  • Funzioni di sorveglianza epidemiologica destinate ai servizi sanitari, per conoscere lo stato di salute della popolazione e la prevalenza del Coronavirus.
  • Funzioni di contenimento per combattere la diffusione del virus, individuando i contatti confermati di una persona diagnosticata positiva e quindi potenzialmente infettiva, al fine di spezzare la catena del contagio.
  • Funzioni di sorveglianza per garantire il rispetto di qualsiasi obbligo di isolarsi o mettere in quarantena persone infette o potenzialmente infette.
  • E infine, per i più fortunati, la certificazione della loro non infezione o della loro non sospetta infezione, certificazione ovviamente temporanea.

E poi c’è la pesante Information Technoplogy di gestione degli ospedali, la fornitura di maschere o farmaci, la pianificazione dei letti, il personale, tutto il back-office integrato che consente alle applicazioni di fungere da front-end per la fornitura di queste funzioni. Ma tutto questo è meno sexy dell’app sul cellulare e questa tecnologia dell’informazione, che integra molte fonti e mescola allegramente dati personali e dati pubblici, dati quasi di polizia e statistiche sanitarie, solleva molte domande e riserve giustificate[8], anche se a malincuore tra i fautori di soluzioni “asiatiche”.

Per fornire queste funzionalità, un’app autonoma sul telefono cellulare non è sufficiente. Le app sono solo il front-end di un’elaborazione molto più pesante eseguita centralmente. In Cina l’app “Health Code”, che grazie al suo semaforo ti dice se hai il diritto di muoverti o se devi isolarti o restare in quarantena, si affida all’infrastruttura sviluppata per il “credito sociale”. Il credito sociale, ricordiamolo, è il progetto di registrare tutti gli abitanti della Cina e di assegnare loro un punteggio in base al loro comportamento. Un buon punteggio apre le porte a vantaggi come prestiti a basso interesse, un cattivo punteggio ti impedisce di prendere il treno …

Il calcolo di questo credito sociale si basa sull’integrazione di tutti i dati provenienti da una “smart city”: localizzazione dei cellulari grazie a stazioni base e GPS, telecamere di sorveglianza e riconoscimento facciale automatico, uso di carte di credito e dei sistemi di trasporto, interventi sui social media, ecc. Come spiega molto bene il Mercator Institute for Chinese Studies[9], il “Codice sanitario” aggiunge letture della temperatura, visite dal medico e l’elaborazione di tutti questi dati da parte dell’intelligenza artificiale per determinare un rischio. Essere portatore di Covid-19.

Un codice verde o…

La risposta è un codice verde, arancione o rosso, che si leggerà anche entrando in un negozio o prendendo i mezzi pubblici … La crisi Covid ha accelerato l’integrazione di tutte queste fonti di dati, sia per uso commerciale che per usi della sorveglianza sociale.

In Corea, i dati sul contagio e sui luoghi in cui sono passate persone potenzialmente contagiose sono stati inseriti in un sito pubblico: questi dati sono stati stabiliti dall’anamnesi dei vettori e dal monitoraggio di telefoni cellulari, telecamere di sorveglianza, ecc.  Sviluppatori privati hanno utilizzato questi dati per creare un’applicazione che ha avuto un certo successo, Corona 100m[10], che permette di sapere se un “untore” abita entro 100 metri da casa tua: questa applicazione riporta anche la data della diagnosi, la nazionalità, l’età, il sesso e i movimenti della persona coinvolta …

A Taiwan, che vanta un modello di hacker auto-organizzato e quasi libertario, se sei soggetto a un obbligo di quarantena, devi caricare un’app sul tuo telefono, i cui movimenti saranno monitorati e attenzione a te se non rispondi quando suona o se lo spegni: in meno di 15 minuti[11] la polizia è a casa tua. Singapore, che è il primo stato a introdurre il rilevamento di prossimità basato sul protocollo Bluetooth, fornisce l’identità di ciascun utente a un database centrale e, se l’uso di questa applicazione è volontario per i cittadini, è obbligatorio per i 440 mila lavoratori immigrati. E poiché non tutti l’hanno scaricata, l’app viene sostituita[12] da un piccolo dispositivo, distribuito gratuitamente a tutti, e che registra tutti i tuoi incontri ravvicinati …

Ma come osserva Andreas Kluth[13], questi paesi rappresentano anche varie versioni dello stesso stato d’animo confuciano, che pone senza esitazione il bene pubblico al di sopra dei diritti individuali e della protezione della privacy, in modo più o meno autoritario.

Quando altri paesi cercano di implementare gli stessi metodi e sviluppare applicazioni basate su questi stessi principi, non si fanno attendere reazioni negative, soprattutto in Europa, dove la protezione dei dati personali è un diritto fondamentale e il loro trattamento strettamente regolamentato. Le reazioni non sono sorprendenti: anche in Cina i residenti hanno protestato contro questa invasione tecnica in costante aumento della loro privacy: qualunque sia il peso dell’apparato statale e la sua capacità di mettere a tacere il dissenso, si sta sviluppando un movimento a favore di regole più precise e protettive[14].

Molto rapidamente i primi progetti di app sono stati respinti dalla società civile o anche dai tribunali, come in Israele o in Norvegia. E chi è al potere, deve affrontare il fatto che l’auspicata scorciatoia nella lotta contro Covid non è percorribile. A fine marzo regna la più grande confusione quando compaiono due “salvatori”, Apple e Google, che hanno il potere di decidere, attraverso i loro “appstore”, sulla vita o la morte delle applicazioni sui cellulari.

Per loro, questo dibattito sui dati personali, anche per uso di sanità pubblica, arriva in un momento difficile quando la loro politica in materia di dati personali – come quella di altri giganti del web – è già sotto esame al microscopio. Decidono quindi di limitare il più possibile le funzionalità e limitare l’applicazione al tracciamento anonimo. Sulla base del lavoro svolto a Singapore, sviluppano molto rapidamente protocolli che consentono di rilevare tramite Bluetooth incontri ravvicinati tra telefoni cellulari, memorizzarli, e nel caso in cui un utente di questi telefoni venga trovato infetto da Covid-19, avvisare in modo anonimo tutti gli altri utenti che si sono avvicinati nelle due settimane precedenti. Nessun database centralizzato, nessuna identificazione di potenziali contaminanti. Le amministrazioni sanitarie vedono svanire i loro sogni di utilizzare app per epidemiologia, controllo della quarantena, ecc., Ma Apple e Google possono presentarsi come protettori dei dati personali ergendosi a scudo contro gli Stati invasori.

La grande incognita

E’ se questa nuova applicazione sia davvero utile. Infatti, si rivolge solo a una delle funzioni svolte dalle app cinese, taiwanese, ecc. Ciò è ovviamente dovuto alle preoccupazioni sollevate sulla privacy da queste prime applicazioni, ma è a scapito dell’efficienza?

A parte le lusinghiere presentazioni fatte per evidenziare alcuni paesi che sono riusciti a contenere la prima ondata di epidemia con il contributo delle tecniche digitali (ma spesso si dimentica il Vietnam che è un successo non tecnologico), la principale “dimostrazione ” della loro efficacia si basa su una simulazione, una modellazione effettuata presso l’Università di Oxford[15]. Questo studio molto influente stabilisce che se l’80% degli utenti di smartphone in Gran Bretagna, corrispondente al 64% degli abitanti, attivasse un’app di tracciamento, consentirebbe di contenere l’epidemia al termine di un periodo di lock-down, con solo lievi misure di distanziamento fisico e, naturalmente, a condizione che le persone allertate in caso di contatto rischioso si auto-isolino immediatamente. Notevole lavoro di simulazione, cercando di rappresentare al meglio l’infettività del virus e il comportamento delle persone. Ma non c’è convalida, per buone ragioni, nel mondo reale.

Sul campo nessuno ne sa niente. Come Jason Bay[16], senior manager dei servizi digitali per il governo di Singapore e product manager per Trace Together, la loro applicazione Bluetooth, ha scritto all’inizio di aprile, “Se mi chiedi se una delle applicazioni di tracciamento Bluetooth implementata o in corso di distribuzione in qualsiasi parte del mondo è pronta a sostituire la traccia manuale, ti risponderei senza alcuna esitazione, No. Né oggi, né per il prossimo futuro, né con l’aiuto dell’intelligenza artificiale o dell’apprendimento automatico, né con – Dio non voglia – blockchain (o qualsiasi altra tecnologia alla moda). “

I limiti di questa tecnologia sono evidenti a tutti gli specialisti; l’Ada Lovelace Institute (un istituto di ricerca britannico indipendente, la cui missione è promuovere l’uso dei dati e dell’intelligenza artificiale utile alla società) nel suo rapporto Exit through the App Store?[17] ritiene che ” I limiti tecnici del tracciamento digitale lo rendono un cattivo sostituto del tracciamento manuale, il che significa che deve completare, piuttosto che sostituire, il tracciamento manuale “.

Questa incertezza sull’efficacia dell’applicazione è ribadita in un editoriale sulla rivista scientifica Nature del 30 aprile[18] “Un’altra fonte di preoccupazione è il fatto che ci sono poche prove pubblicate sull’efficacia dell’uso di queste app per identificare le persone infette che non sono state testate o, se utilizzate su larga scala, se saranno in grado di fermare la progressione della malattia”.

Ciò che colpisce è che tre mesi dopo la situazione non è cambiata. BBC News[19] a fine luglio ce lo ricorda con questa domanda: “Ma ci sono prove che [queste app] stiano facendo quello che dovrebbero fare – avvertendo le persone che potrebbero essere state infettate dal virus?” La risposta è tutt’altro che incoraggiante “Non ancora – e la loro implementazione a tutela della privacy potrebbe significare che non sapremo mai se sono state efficaci”. In effetti, la loro natura volontaria e la non centralizzazione dei dati limita la possibilità di avere una visione d’insieme.

La Technology Review del MIT[20] porta a casa il punto: “Se la creazione di app segue il famoso “hype cycle” di Gartner, ora siamo saldamente nella “valle della disillusione”. Le app più recenti cercano di compensare questa mancanza di informazioni. In Italia, l’applicazione Immuni comunica automaticamente alcuni dati cosiddetti “operativi”[21] anonimi a un centro di elaborazione, inclusa l’indicazione se ci sono stati contatti rischiosi con altri utenti dell’app e in quale data. Questo per permettere di sapere il numero reale di utenti attivi e di conoscere il numero di persone allertate (e non solo il numero di avvisi trasmessi).

Ciò potrebbe non essere né sufficiente né significativo: poiché la maggior parte delle infezioni viene contratta all’interno della cerchia familiare, è più che probabile che i contatti familiari rappresentino un’alta percentuale di queste segnalazioni, il che è ovvio per un operatore di tracciamento umano, ma non per un telefonino che registra dati anonimi.

I ricercatori di Oxford

Visto il notevole capitale politico (per non parlare del denaro) che spesso è stato investito nello sviluppo e nella messa in servizio di queste app, possiamo prevedere, senza molto rischio di sbagliare, che questi dubbi non rallenteranno troppo la spinta verso il loro utilizzo: il mito dell’app di salvataggio non è morto!

Alcuni dei ricercatori di Oxford che avevano effettuato la prima simulazione ne hanno eseguita una nuova[22] (ancora in pre-pubblicazione alla data di questo articolo). Il risultato, questa volta sulla base dei dati dello stato di Washington (il primo colpito dall’epidemia negli USA) è ancora più favorevole all’utilizzo delle app di tracciamento, e ne diminuisce le condizioni di successo: non è più necessaria la sua adozione da parte del 64% della popolazione: le app sarebbero efficaci anche con valori molto più bassi e potrebbero quindi aiutare a combattere il rimbalzo previsto per questo autunno.

Il grande statistico inglese Georges Box ha spesso osservato che “tutti i modelli sono sbagliati, ma alcuni sono utili”. Non sorprende quindi che questi risultati siano stati ampiamente raccolti …

Ma in questo caso particolare, il risultato positivo si ottiene assumendo il mancato utilizzo della maschera e il non rispetto delle norme igieniche (lavaggio delle mani)…

E questo è forse il rischio principale di queste applicazioni (oltre a quelle legate alla tutela della privacy): far credere che possano sostituire e quindi trascurare le misure collaudate per combattere le epidemie: test, tracciabilità manuale, lavaggio delle mani, distanza fisica e ovviamente la difficile accettazione del confinamento in caso di picco locale.

Chiediamo a questo punto: perché continuiamo a spingerle? È stato detto che il capitale politico investito gioca un ruolo, così come il “soluzionismo tecnologico”, la speranza di evitare i costi di un sistema sanitario efficiente. Dobbiamo anche chiederci perché le due società che controllano il mercato della telefonia mobile, Google e Apple, si sono imbarcate nella definizione delle funzioni di queste app di tracciamento, ne hanno definito i contorni e si sono presentate. come i paladini della difesa della privacy. È credibile, fino a un certo punto per Apple, ma per Google?

Ovviamente apparire come benefattori dell’umanità, abilitatori della tecnologia salvavita è sempre un elemento importante della comunicazione e delle relazioni pubbliche. Il recente annuncio del porting, ovvero dell’integrazione delle funzioni di base di questo tracciamento nel sistema operativo, che le renderebbe presenti su tutti i cellulari man mano che vengono effettuati gli aggiornamenti, ovviamente semplifica, amplifica e rende più veloce l’implementazione di queste applicazioni. Se si dimostrano utili, è l’ennesimo segno di benevolenza da parte di questi giganti del business: il recente studio dell’Università di Oxford sopra citato è stato finanziato da Google e co-perfezionato dai suoi ricercatori …

Ma è l’unica ragione?

Occorre porre la domanda e non si può fare a meno di pensare al lavoro di Alex – detto Sandy – Pentland, uno dei creatori del MediaLab del MIT, uno dei sette “data scientist” più importanti al mondo secondo Forbes[23], grande promotore del “reality mining”[24] e inventore del “sociometer”: si tratta di un dispositivo che, misurando diversi parametri, permette di “prevedere con precisione il risultato in situazioni di negoziazione, appuntamenti, vendita, bluff e altre attività umane essenziali”[25].  Tra i valori misurati ci sono il tempo trascorso a parlare faccia a faccia, l’analisi delle caratteristiche vocali, il riconoscimento delle attività quotidiane attraverso i movimenti, la localizzazione dei movimenti in luoghi chiusi, la misura della vicinanza ad altre persone, ecc. Non c’è dubbio che ci siano usi utili[26] per questa tecnica.

Le funzioni di base per il tracciamento corrispondono senza dubbio ad alcuni di questi elementi. L’acquisizione in corso di Fitbit da parte di Google comporterebbe un ulteriore passo avanti nella trasformazione di un telefono cellulare in un “sociometer”.

L’interesse è evidente nella lotta commerciale con Facebook, e permetterebbe di contrapporre ai suoi “social graphs” dei “physical graphs”, cioè grafici fisici, il mondo reale contro il mondo virtuale.

Quanto ad Apple, se ha la reputazione di difensore del carattere privato, ovvero strettamente riservato dei dati, resta il fatto che la Cina rappresenta il 17% dei suoi ricavi nel 2019, è vero in costante calo dal 2015 quando ne rappresentava 25%. Se diventa obbligatoria un’ulteriore integrazione della telefonia mobile nell’istituzione del credito sociale – che è tutt’altro che un’ipotesi priva di alcun senso – potrebbe favorire una ripresa in questo mercato così importante e forse decisivo per il valore dell’azienda.

Ma possiamo anche immaginare molte applicazioni che consentono l’interazione con l’Internet delle cose (Internet of Things – IoT) o forse più precisamente un’integrazione dell’individuo con l’IoT. In ogni caso è lecito chiedersi se, in assenza del Covid-19, sarebbe stato possibile collocare queste funzioni di tracciamento e memorizzazione, anche anonime, nel sistema operativo senza suscitare forti reazioni negative.

Per il momento si tratta solo di vaghe preoccupazioni dell’autore di queste righe.

Ma come si dice in Italia “A pensare male…”.

Per la lettura dei precedenti articoli clicca qui


[1] China launches coronavirus ‘close contact detector’ in effort to reassure public over health risks, South China Morning Post, 12 febbraio 2020. Cf. https://www.scmp.com/tech/apps-social/article/3050054/china-launches-coronavirus-close-contact-detector-effort-reassure

[2] Dati del rapporto del CAICT “Research Report on Data and Smart Applications for Epidemic Prevention and Control” (marzo 2020). CF. http://www.caict.ac.cn/english/research/rs/202004/t20200430_280660.html

[3] http://www.xinhuanet.com/english/2020-02/10/c_138770630.htm

[4] http://www.xinhuanet.com/tech/2020-02/19/c_1125596647.htm

[5] https://www.weforum.org/agenda/2020/03/coronavirus-covid-19-hangzhou-zhejiang-government-response/

[6] “How Civic Technology Can Help Stop a Pandemic: Taiwan’s Initial Success Is a Model for the Rest of the World”, Foreign Policy, 20 marzo 2020. Cf. https://www.foreignaffairs.com/articles/asia/2020-03-20/how-civic-technology-can-hel

[7] Sera Whitelaw, Mamas A Mamas, Eric Topol, Harriette G C Van Spall, “Applications of digital technology in COVID-19 pandemic planning and response”, Lancet Digital Health 2020; (2), pp. 435–440, pubblicato online il 2 giugno 2020. Cf. https://www.linkinghub.elsevier.com/retrieve/pii/S2589750020301424

[8] cfr. von Carnap, Katja Drinhausen and Kristin Shi-Kupfer « Risks of digital technology »,l Lancet Digital Health, loc. Cit.

[9] Kai Mercis “Tracing. Testing. Tweaking. Approaches to data-driven Covid-19 management in China”, China Monitor, 24 giugno 2020. Cf. https://merics.org/en/report/tracing-testing-tweaking

[10] cfr. “How Digital Contact Tracing Slowed Covid-19 in East Asia”, Havard Business Review, (4)-2020. Cf. https://hbr.org/2020/04/how-digital-contact-tracing-slowed-covid-19-in-east-asia

[11] BBC “Coronavirus: Under surveillance and confined at home in Taiwan”, 24 marzo 2020. Cf. https://www.bbc.com/news/technology-52017993

[12]Saira Asher,  “Coronavirus: Why Singapore turned to wearable contact-tracing tech”, BBC News, Singapore, 4 luglio 2020

[13] “If We Must Build a Surveillance State, Let’s Do It Properly”, Bloomberg, 22 aprile 2020. Cf. https://www.bloomberg.com/opinion/articles/2020-04-22/taiwan-offers-the-best-model-for-coronavirus-data-tracking

[14] “Inside China’s unexpected quest to protect data privacy”, MIT Technology Review, 19 agosto 2020. Cf. https://www.technologyreview.com/2020/08/19/1006441/china-data-privacy-hong-yanqing-gdpr/

[15]Robert Hinch, Will Probert, Anel Nurtay, Michelle Kendall1, Chris Wymant, Matthew Hall, Katrina Lythgoe, Ana Bulas Cruz, Lele Zhao, Andrea Stewart, Luca Ferretti, Michael Parker, Daniel Montero, James Warren, Nicole K Mather, Anthony Finkelstein, Lucie Abeler-Dörner, David Bonsall, Christophe Fraser, “Effective Configurations of a Digital Contact Tracing App: A report to NHSX”, publicato il 16 Aprile 2020, ma con larga diffusione prima. Cf. https://github.com/BDI-pathogens/covid-19_instant_tracing/blob/master/Report%20-%20Effective%20Configurations%20of%20a%20Digital%20Contact%20Tracing%20App.pdf

[16] “Automated contact tracing is not a coronavirus panacea”, by Jason Bay, Senior Director (Government Digital Services) at the Government Technology Agency, Singapore, product lead for TraceTogether, the world’s first nationwide Bluetooth contact tracing system, 11 aprilr 2020. Cf. https://blog.gds-gov.tech/automated-contact-tracing-is-not-a-coronavirus-panacea-57fb3ce61d98

[17] “Exit through the App Store? A rapid evidence review on the technical considerations and societal implications of using technology to transition from the COVID-19 crisis”, Ada Lovelace Institute, 20 aprile 2020. Cf. https://www.adalovelaceinstitute.org/our-work/covid-19/covid-19-exit-through-the-app-store/

[18] “COVID-19 digital apps need due diligence”, Nature (580), 30 aprile 2020, p. 563.. Cf. https://media.nature.com/original/magazine-assets/d41586-020-01264-1/d41586-020-01264-1.pdf

[19] “Coronavirus: The great contact-tracing apps mystery”, BBC News, 22 luglio 2020. Cf. https://www.bbc.com/news/technology-53485569

[20] “Is a successful contact tracing app possible? These countries think so.”, Technology Review, 10 agosto 2020. Cf. http://technologyreview.com/2020/08/10/1006174/covid-contract-tracing-app-germany-ireland-success

[21] Section “Operational information”. Cf. https://github.com/immuni-app/immuni-documentation#epidemiological-information

[22] “Modeling the combined effect of digital exposure notification and non-pharmaceutical interventions on the COVID-19 epidemic in Washington state” pre print 2 settembre 2020. Cf. https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2020.08.29.20184135v1

[23] Tim O’Reilly, https://www.forbes.com/pictures/lmm45emkh/6-alex-sandy-pentland-professor-mit/

[24] Alex Sandy Pentland,  “Reality Mining” the Organisation, MIT Technology Review, 31 marzo 2004. Cf. https://www.technologyreview.com/2004/03/31/233103/reality-mining-the-organization/

[25] Alex  Sandy Pentland, “Honest Signals, How they Shape Our World”, MIT Press, 2008, Annex A.

[26] cfr. l’offerta di Harmonyze, una società che annovera Pentland come co-fondatore.