Il racconto

Democrazia Futura. Il girone pantesco

di Venceslav Soroczynski, pseudonimo di uno scrittore e critico letterario e cinematografico |

Dove si slaccia e si ricombina la nuova famiglia italiana in vacanza. Racconti da Pantelleria di Venceslav Soroczynski.

Fra il serio e il faceto, Venceslav Soroczynski, pseudonimo di uno scrittore e critico letterario e cinematografico, descrive ai lettori di Democrazia futura, lontano dalla crisi politica che imperversa sui giornali e sui media, la cronaca di una villeggiatura in questo caldo luglio del 2022 nell’isola di Pantelleria, descrivendo minuziosamente anzi con rigore tassonomico le diverse combinazioni delle famiglie italiane in vacanza in un albergo dell’isola definito come “Il girone pantesco”.

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Il girone pantesco non è un errore di battitura e nemmeno riferisce al poeta selvatico e oscuro. “Pantesco” è, in italiano, “di Pantelleria”; e tutto ciò che è di Pantelleria è, appunto, pantesco: il cappero, il vino, l’olio, l’abitante, il turista, il panorama, il mare, il vulcano – che pantesco fu, perché non vulcanizza più: è ora una piana coltivata appunto a vite pantesca, a olivo pantesco e così via. Pantesche sono le case, costruite con blocchi di pietra vulcanica, che devono essere scelti nel luogo esatto, o al massimo nella stessa contrada, in cui la casa deve sorgere: in tal modo, essa non sarà uno spillo nell’occhio dell’osservatore del panorama, ma parte integrata e integrante, anche se un po’ emergente, di esso – non possono non venire alla mente le Memorie di Adriano:

“Costruire significa collaborare con la terra, imprimere il segno dell’uomo su un paesaggio che ne resterà modificato per sempre … . Quanta cura, per escogitare la collocazione esatta di un ponte e d’una fontana, per dare a una strada di montagna la curva più economica che è al tempo stesso la più pura!”[1]

Un girone pantesco non è neppure la crisi di un governo che cede ai primi caldi e che viene ricacciata in gola dalla Massima Carica, la quale, come un personaggio di Leonardo Sciascia, “Tossì con significato”[2].

E girone pantesco non è nemmeno l’inferno dei meravigliosamente inutili e puntigliosamente dannosi bombardamenti angloamericani operati nel giugno 1943, a isola già conquistata, al solo scopo di inviare oltreoceano un filmato che dimostrasse agli elettori di Harry Truman l’efficacia dell’azione militare pre-NATO – ma questo lo scrivo sottovoce, poiché la guida turistica che ci ha accompagnato in centro non è stata sottoposta ad alcun fact checking, pertanto potrebbe essere un complottista.

Il girone pantesco di cui vi parlo è la nuova composizione della famiglia italiana in vacanza, in un resort pantesco, nella prima quindicina di luglio, di questo inizio di secondo ventennio. Il campione è osservato in un luogo (la citata Isola) e in un tempo (sette giorni) estremamente ristretti, pertanto è privo di un qualsivoglia valore statistico o sociologico ed è qui discusso al solo scopo di assecondare l’ozioso istinto redattorio di chi vi parla.

Quando ero bambino io (non avendo controfirmato l’informativa sulla privacy, non posso pubblicare il dato sensibile costituito dalla mia età. E quando dico sensibile, intendo sensibile), la famiglia italiana in vacanza si somigliava molto. Padre, madre, figlio – o, più spesso, figli – e, in rari casi, nonno o nonna. Ho indicato prima il padre e poi la madre per pura inerzia patriarcale, non volendo suggerire ordini di importanza: avrei potuto dire “genitore 1” e “genitore 2” e poi, di conseguenza, “genitore 1 di genitore 1” e “genitore 2 di genitore 1” e così via combinando. Ma, non guardando i giornali da qualche giorno, devo essere scusato: non so se abbiamo ancora petrolio, quanto gas ci è rimasto, se posso riprendere la lettura di Fëdor Dostoevskij e come devo chiamare i vicini di stanza.

Ora, bambino non lo sono più e i miei sono abbastanza grandi perché la mia attenzione possa cadere sugli altri tavoli e gli altri gazebo.

Ne deriva un involontario istinto gaussiano che ha come mira quella che, appunto una volta, si poteva chiamare famiglia nucleare e ora non più, o non con altrettanta serenità. Ora, prima che la parola nucleare mi evochi altre, e spaventose, e sempre più prossime, immagini, vado al punto.

La moda (concetto qui richiamato nel suo mero significato statistico di caso più frequente) della famiglia in vacanza è la triade nonna, madre, figlia. Il filotto discendenziale occupa la maggior parte dei tavoli e ombrelloni. Niente di cui preoccuparsi: una mamma in vacanza assieme alla propria madre e alla propria figlia. Talvolta i figli sono due e, in tal caso, si tratta sovente di due femminucce; ma non si esclude il maschietto che, però, dopo qualche giorno, comincia a comportarsi come la sorella. E la madre. E la nonna: prova vestitini, si guarda allo specchio, prende lezioni di nuoto dalla sorella (di solito, più grande), abbandona il pallone.

Va detto che questi tavoli, a cena, sono anche i più gradevoli, poiché privi di tensioni e intenti educazionali: gli infanti maschi, al cospetto di ascendenti educate e sagge, non sbagliano una posata, non eccedono un decibel, non emettono un aggettivo fuori luogo. Al più, semplicemente scompaiono e vanno in cerca di coetanei con cui condividere un timido lancio di palla. Le loro sorelle, vestite come le più leggiadre riviste impongono, e semoventi come le più tributate sfilate richiedono, trasformano in set cinematografici le più banali grigliate di tonno o spada. In generale, la più a suo agio è la nonna, poiché ha fatto il suo: ha generato una figlia che ha generato una figlia. E ora le accompagna in vacanza. Non ha più paura di niente. Invece, sua figlia, cioè la madre della bambina, è spesso silenziosa, talvolta appare introversa più dell’adolescente; in casi estremi, ma non teorici, mostra, pur discretamente, perfino i segni della tristezza. 

Al secondo posto, per frequenza d’osservazione, vi è il gruppo binario composto da madre e figlia. Esso, per quanto possa apparire la combinazione meno sorprendente, costituisce il caso più meritevole di commento, per i motivi che qui tenterò di esporre. Ma, prima, cerchiamo di connotare e delimitare: si tratta per lo più di una madre sui sessanta o sessantacinque (ma non prendetemi alla lettera, o al numero: l’età delle signore di questa età è insondabile, soprattutto per un uomo della mia età), mentre la figlia ha molto probabilmente fra i ventotto e i trentacinque (anche qui, prendetemi con le pinze, anzi con le presine, perché scrivo con la protezione 50 – anagrafica o solare che sia). Ma è la conversazione il fatto più degno di nota, poiché, al tavolo mamma figlia, si compie il miracolo della comunicazione contemporanea: il dialogo avviene nel più boscoso mistero, nel più denso silenzio, nella più spessa riservatezza; anche a essere seduti lì vicino, non udrete un verbo, un sostantivo, un aggettivo. Al più, percepirete un articolo e, se ciò dovesse accadere, si tratterà di un articolo indeterminativo. Nemmeno un passami il sale, un com’è il couscous, un bevi un calice di bianco. Niente, le bocche si muovono, credetemi, e non per configurare smorfie; sono significati quelli che esse trasmettono, ma non riuscirete a leggerli col labiale. Non è escluso che avvengano litigi, si distruggano reputazioni, si dirimano controversie, ma tutto vi sarà estraneo, inconoscibile. Si danno testimoni che giurano di aver carpito segreti militari ai più sotterranei dipartimenti statunitensi, spie che sostengono di aver conosciuto il contenuto della più intima fra le matrioske presenti nelle inaccessibili stanze del Cremlino, ma non troverete alcuno – che non sia un mitomane – che possa riferire il contenuto di una conversazione madre-figlia in vacanza a Pantelleria nella prima quindicina di luglio. 

Se il riserbo felino è la connotazione più puntuale del secondo caso, l’eleganza e il decoro lo sono del terzo. Che è la donna sola. Ma pre-emendo il mio vocabolario, poiché donna sola potrebbe apparire già un giudizio di valore, poiché sola potrebbe intendersi abbandonata, lasciata, ripudiata e questo nessuno può dirlo. Si adoperi dunque il più neutro single, anzi donna single, ché l’inglese risciacqua le sfumature sospette. La donna single turista pantesca presenta alcune invariabili caratteristiche. In primo luogo, è elegantissima: sfila con un abitino diverso ogni sera, sempre di grande gusto, inattaccabile, incriticabile (non ci si stupisce che, sull’Isola, Giorgio Armani abbia acquistato una villa sul mare e che Carole Bouquet coltivi nell’entroterra vite e capperi!) I colori dell’abito della single non sono mai troppo spenti, né troppo accesi. Il verde è quello del bosco più intonso. L’azzurro è quello del mare più aperto. Il nero è quello della notte più misteriosa. Il rosso è quello del vulcano più attivo.

La suggestione è che l’abito sia stato scelto da tempo, a partire dal Carnevale e fino al giorno prima della partenza. Sia detto – ma io non ne so nulla – che la single italiana è la donna più elegante del pianeta, ma non solo: è quella che si muove meglio, è quella che disegna la più esatta derivata ai tavolini nel piano cartesiano del ristorante, è l’unica a calcare i pavimenti senza fare rumore, è quella che muove meglio le gambe anche se ha le gambe storte. Laddove le tedesche, che hanno le gambe dritte, le affondano in calzature di dubbia fattura; le inglesi, in scarpe più adatte ai conflitti; le francesi, in babbucce manchevoli di varianti; le americane, in scarponi identici a quelli dei loro mariti. Dal punto di vista anagrafico, la single ha una età variabile fra i trentacinque e i quarantacinque (al di sotto dell’intervallo, si ricadrà nel caso madre-figlia e, al di sopra, nella triade nonna-madre-figlia).

La prima sera, ella scenderà con un’acconciatura perfetta, che sembra uscita dal miglior parrucchiere francese e che non si capisce come si sia potuta realizzare in una stanza d’albergo dopo un faticoso viaggio. La seconda sera, si presenterà con i capelli ancora bagnati (che vogliono dire ho avuto da fare, oppure non ho intenzione di farmi bella per voi), che si asciugheranno durante la cena, con effetti che noi maschi disorientati potremmo presumere eventualmente disastrosi, ma che non lo sono mai: se l’esito è positivo – in generale ciò avviene fra il contorno e il dessert – non possiamo che ammirarne il miracolo. Se è negativo, lei raccoglie i ciuffi in una crocchia che lascia scoperto un liscissimo collo e delle orecchie candide e sempre arredate da sobri monili di presunta origine infra-mediterranea. Condotta invariabile della single è, mentre si reca o torna dal buffet, il guardare dritto davanti a sé, mirando un punto della sala ove è collocato un lume, un arazzo, un quadro, o altro elemento d’arredo. Mai, dico mai, guarda un altro umano. Mai, dico mai, cerca gli occhi di un uomo, poiché la single non deve mai dare l’impressione di cercare un uomo – questo, si tenga a mente, non vale solo a Pantelleria, ma, più in generale, in tutti i paesi in cui l’immagine pubblica richiede l’occultamento del desiderio, la purificazione degli intenti e una impervia indifferenza verso il mondo. Ma è un codice e i codici, lo dimostreremo fra poco, sono conosciuti da tutti coloro che li usano.

Il penultimo gruppo è costituito da coppie dello stesso sesso: coppie di maschi o coppie di femmine. Qui le includiamo tutte nel medesimo dato statistico, poiché non ci pare rilevante l’informazione se vi siano più coppie di maschi o più coppie di femmine, né ci pare opportuno darla, le preferenze nell’attrazione sessuale non facendo parte di questo umile contributo. Rileviamo solo che, in genere, le coppie di femmine sono più rilassate e aperte al contatto con gli altri ospiti, mentre quelle di maschi sono più chiuse e attente agli sguardi estranei. E che, cionondimeno, il volume della conversazione nelle coppie maschili è più alto di quello delle coppie femminili. Inoltre, che le coppie di maschi gesticolano molto di più, indipendentemente dalla provenienza geografica: cioè le coppie di Somma Vesuviana muovono le mani non più di quelle di Agrate Brianza. Ancora, le coppie di maschi talvolta passeggiano mano nella mano, non così quelle di femmine. Astraendo appunto da considerazioni sulla natura del rapporto, che può andare dal coniugio alla cuginanza, dall’amicizia alla fratellanza, non pare il caso di aggiungere alcunché, se non che i membri di tali coppie spesso si trovano disgiunti in piscina, o indipendenti al buffet, o soli nella hall.

Infine, la famiglia classica – per intenderci, simile a quella di Gesù di Nazareth. Essa è ancora presente, sì, ma è infrequente. Ed è talmente nota che rinunciamo a descriverla.

Concludo la mia poco scientifica disamina con un’appendice che riguarda la donna single, che, al terzo giorno, appare una donna sola e, qui, la differenza terminologica rileva. Ma questa solitudine permane solo se non ci sono altre donne sole. In caso contrario, si configurerà la comparsa di un ulteriore caso statistico che, agli osservatori attenti, si mostra quale mirabile prova di umanità, di complicità, di empatia (come la chiamano in tutti gli inarginabili corsi di formazione il cui oggetto è il più vario, andando dalle tecniche di vendita dei prodotti assicurativi al sistema di puntamento dei telescopi): le donne sole, già la seconda sera, si scambiano qualche parola da un tavolo all’altro, con l’argomento più disparato: l’escursione alla grotta, il giro in città, la visita al lago di Venere, i fondali erbosi. Dopo qualche minuto, due o più donne sole stanno già chiacchierando, sollevate, forse felici. In generale, è la donna sola più insicura a essere attinta da altra donna sola più solida, poiché c’è una propensione, discreta e delicata, da parte di colei che attraversa il mondo più disinvoltamente, verso quella più incerta, più giovane, o più sola. La sera successiva, cenano assieme. Forse, quel mattino, si sono invitate al periplo dell’isola, o hanno preso il sole su due sdraio vicine. Sono, cioè, diventate amiche. E, talvolta, si ritrovano in tre. Vi sembrerà cosa di poco conto, ma non lo è: per colei che ha cenato a un tavolo parlando solo con gli addetti ai tavoli, o premendo ogni tanto qualche porzione di superficie del proprio telefono, l’essere coinvolti da qualcuno in un discorso, lo scambiare improvviso di due chiacchiere, l’entrare in contatto con altri esseri umani è come atterrare su un pianeta abitato, dopo un’orbita da cui terra la si è vista da lontano e l’umanità solo immaginata

Ecco, in realtà era solo di questo che vi volevo parlare, darvi una buona notizia da Pantelleria: mentre le Repubbliche si sfracellano e i Governi si risentono, si riscontrano ancora mozioni di gentilezza, tensioni di mani da umano a umano, cortesie discrete che non appaiono concessioni, favori, carità. Sia chiaro: non c’erano, nel mio campione statistico, uomini soli, quindi non posso escludere che tali condotte virtuose si sarebbero verificate anche nel sottoinsieme maschile. Ma solo donne ho riscontrato e quindi solo di esse vi posso parlare. E qualcosa mi dice che, finché ce ne resterà qualcuna a questo mondo, questo mondo qualche speranza ce l’ha.


[1] Marguerite Yourcenar, Mémoires d’Hadrien. Paris, Plon, 1951, 323 p.

[2] Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, Torino, Einaudi, 1961, 120 p.. Il testo risale al 1960