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Democrazia Futura. Dalle Tesi di Trieste al Partito Conservatore

Meloni
Stefano Rolando

Stefano Rolando analizza il percorso di Giorgia Meloni “Dalle Tesi di Trieste al Partito Conservatore”, ovvero dal documento valoriale di Fratelli d’Italia scritto nel 2017 per il suo secondo congresso nella città giuliana a quello che considera lo sbocco necessario una volta approdata all’esperienza doi governo, ovvero la costruzione della “piattaforma italiana del partito conservatore”: per Rolando infatti “Solo l’abbandono ufficiale del sovranismo per l’indirizzo “conservatore” avrà la forza, trainata dalle attuali responsabilità, per riscrivere un testo che sembrava sacro e che ora appare con evidenza datato”.

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Il documento valoriale di Fratelli d’Italia (sul sito di Giorgia Meloni) è alla prova dello tsunami dell’esperienza di governo. Chi, come, quando, con quale strumentazione metterà mano ad un testo che appartenga al dibattito reale del terzo millennio e non alla datata propaganda del Novecento? Solo l’abbandono ufficiale del sovranismo per l’indirizzo “conservatore” avrà la forza, trainata dalle attuali responsabilità, per riscrivere un testo che sembrava sacro e che ora appare con evidenza datato.

È possibile che si sentirà sempre meno parlare, nella comunicazione di governo degli esponenti di FdI e anche della premier Giorgia Meloni, del documento fondante la “visione”, forse più ideale che ideologica, del partito erede della cultura politica post-fascista che ebbe già in Gianfranco Fini una prima sterzata revisionista e che proprio Giorgia Meloni, rifondandolo (con Ignazio La Russa e Guido Crosetto) nel 2012, riportò a ortodossia.

Il documento era arrivato comunque cinque anni dopo la presa di distanza dal progetto di mescolare AN con Forza Italia in un soggetto politico che – per i rapporti di forza del tempo – stava al traino del berlusconismo.

Difficile chiamare oggi quella mescolanza (cioè il Popolo della Libertà, 2009) la piattaforma italiana del partito conservatore. Anche se – come sempre nelle anomalie italiane – qualche elemento di questo genere faceva parte dell’idea di Silvio Berlusconi di sottrarsi un poco dall’impianto post-democristiano dei “Popolari” e all’idea di Fini di sottrarsi un poco dai vincoli (elettorali e dei militanti) della nostalgia nera italiana.

Ma l’esigenza di “stare in Europa” almeno con formali appartenenze, per avere ruolo nel negoziato su tante materie cogenti per una realtà nazionale di paese fondatore di quell’Europa, per certi versi spingeva già negli anni passati verso il destino dei “conservatori”. Poi c’era stata l’insofferenza di Berlusconi nei confronti dell’alleato e c’erano stati gli errori di percorso dell’alleato stesso a fermare quel progetto che si andava costruendo su fatti simbolici “comunicativi” ma ben poco elaborativi (questa è anche una componente del populismo) e non rispondeva al comun denominatore di due elettorati ancora ben distinti. Poi ristabilendo il pluralismo dei soggetti, di quella “distinzione” si sarebbe fatta carico Giorgia Meloni tre anni dopo. Creando una piccola forza, all’origine neppure al 2 per cento, che tuttavia riconquistava l’autonomia ideale, valoriale e ideologica – almeno per alcune materie oggetto delle spinte tradizionaliste e antiglobaliste – di quella che in Italia vuole chiamarsi “destra” senza trattini, senza aggettivi e senza dipendenze.

Il documento di cui parliamo è arrivato dunque a consolidare l’argomentazione identitaria in una fase più robusta del cammino politico di Fratelli d’Italia, pur nel quadro di risultati elettorali che, dalle elezioni del 2013 a quelle del 2018, mantiene un’oscillazione ancora fragile, dall’1,96 per cento al 4,35 per cento. Ed è arrivato con il secondo congresso nazionale del partito svolto a Trieste tra il 2 e il 3 dicembre del 2017.  A Trieste proprio per celebrare cento anni di un simbolo di pagine drammatiche ma ritenute gloriose di una città che per metà del Novecento fu al centro di una continua insicurezza geopolitica diventando anche bandiera del “patriottismo”.  Quel congresso nazionale approvava, insomma, il documento delle “tesi” del partito (documento che, da quel momento, prende il nome di “Tesi di Trieste”) che fa da perimetro valoriale al secondo percorso di organizzazione del consenso di FdI, fino agli esiti elettorali del 2022 (26 per cento, alla conquista della leadership del governo e all’attuale indicatore di consenso che ha nettamente superato il 30 per cento[1] .

Il contenuto delle Tesi di Trieste

Le Tesi non sono un programma di governo. Non sono un documento finalizzato a governare il “modello di partito” che Fratelli d’Italia intende essere. Non sono la dipendenza narrativa da un leader ideologico che scrivendo il progetto fondativo esprime il sentimento culturale della “guida” del pensiero collettivo che un partito assume (come è stato talvolta nella storia). Le Tesi – comunque redatte, alla fine, da una mano che ne ha reso omogeneo lo stile e ha raccordato (così così) alcuni nessi per evitare vistose contraddizioni – sono un prodotto del gruppo dirigente allargato agli intellettuali della prima ora, che intende esprimere una certa libertà di ricerca delle fonti di ispirazione per fare tre operazioni necessarie ad una piena visibilità di ruolo:

Tutto il resto del trattamento delle Tesi è una narrativa un po’ trasandata di tematiche oggetto delle campagne elettorali 2018-2022: patria, tradizione, ritorno allo sviluppo demografico, difesa delle frontiere e contrasto all’immigrazione anche se con l’ambigua copertura della “lotta ai clandestini”, in ogni caso chiarendo tra i titoli fondanti il primato (trumpiano e leghista) del “prima gli italiani”. Il tema dell’identità dilaga nel documento, al di là di un trattamento che dovrebbe essere conscio dei processi storici di ibridazione complessa dell’Italia, dell’Europa e del mondo. Processi che obbligano ad usare questa espressione dentro tutte le ragioni pluridisciplinari che la storia ci consegna. Qui l’identità serve in primis a chiarire il posizionamento di avversione al processo di islamizzazione dell’Europa e a ripetere la formula (che dovrebbe rappresentare un moderno approccio alle compatibilità della capacità negoziale di un sistema complesso) della priorità dell’interesse nazionale. C’è poi l’opzione (declinata come semi-presidenzialismo, ma bene poco elaborata) di un passaggio da democrazia parlamentare a democrazia presidenziale; c’è lo schieramento per i valori della famiglia e della natalità; c’è una spruzzata di argomentazioni elementari per valorizzare patrimonio e lavoro italiano.

Non c’è molto altro, se si volesse ragionare in termini di fonti per disporre di paradigmi di governo dell’attuale complessità delle relazioni tra gli stati e nel quadro delle transizioni cruciali in atto.

Transizioni al centro dell’agenda europea e quindi italiana:  quella ambientale; quella tecnologico-digitale; quella della sicurezza confrontata con le istanze aggressive e imperialistiche in corso; quella del mercato del lavoro e del processo di instabilità e precarizzazione del lavoro giovanile; quella della  trasformazione del campo riguardante i diritti civili; quella della regolazione tra ricerca scientifica e trasformazione della condizione sanitaria; quella delle soluzioni per le crisi energetiche. Mancano cenni anche elementari alla geopolitica globale, come se America e Cina fossero su un altro pianeta.

Sono solo alcuni esempi che appartengono al grosso della domanda e al grosso dei dossier che vengono istruiti alla ricerca di soluzioni. Al cui confronto le Tesi di Trieste sono come la candela fioca di una cantina a fronte dello spettacolo accecante di una metropoli di notte.

È vero che c’è stato nel corso degli anni un travaglio elaborativo non banale dovuto anche ad alcuni soggetti di pensiero che, per essere tendenzialmente di destra, è stato snobbato e delegittimato da molti ambiti culturali e hanno impedito utili confronti. Così da lasciare oggi un deserto interpretativo nel momento in cui il cambiamento radicale di una parte dello schieramento mette in potenziale movimento tutti attorno al tema del “punto morto” dei partiti politici italiani che è stato all’origine dell’emergenza democratica del 2022.

Questo per dire che l’annuncio di una trasformazione in senso “conservatore” del partito che ha ereditato il post-fascismo italiano va affrontato con la dovuta attenzione, con la dovuta serietà e con l’opportunità di cercare tutte le fonti – anche quelle meno mediatizzate – della dinamica elaborativa.

Per certi versi, ha costituito un riferimento più avanzato l’autobiografia di Giorgia Meloni, che arriva nelle librerie (con grande esito) qualche anno dopo, in una forma discorsiva e accattivante (una vicenda top-down di successo) e senza obblighi di posizionarsi su tutti i temi dell’agenda, senza tener conto di tutti gli equilibri di rappresentazione (uno solo è il soggetto e l’oggetto del libro). E per giunta sfuggendo stilisticamente alla retorica degli “atti” formali di partito. Ma proprio per questo, un tale “documento” vale come indicatore, ma non come punto di condivisione di una formale tappa collettiva[2].

Il destino di un documento di parte e il destino di una parte dell’evoluzione della democrazia italiana

Il punto “politico” che oggi va indagato riguarda il proposito non più velleitario ma reso possibile dal consenso democraticamente guadagnato, di proseguire l’asciugamento dell’elettorato, in buona parte sbandato, dell’alleanza di governo per puntare alla creazione di un “partito conservatore” italiano, iscritto nella compagine che prende questo nome in Europa e che riporta al modello internazionale dei repubblicani americani.  Ora, per le notizie circolanti, siamo a un’elaborazione a chilometro zero di questo percorso, mentre il programma di FdI per le elezioni di fine 2022 è un allineamento di punti con le argomentazioni di base del posizionamento sui temi convenzionali della relazione elettorale.

Giusto allora chiedersi che nesso sia immaginabile tra il documento “sentimentale” costituito dalle Tesi di Trieste (intese come  la rivendicazione preliminare di un senso per la cultura civile e democratica del popolo italiano del terzo millennio del modo ragionevole per  tenere in vita tanto la conoscenza delle tradizioni quanto lo spirito della formazione dell’unità d’Italia) e le ipotetiche future Tesi che dovranno cercare anche una sede simbolica per essere concepite e approvate forse nella città più adatta per esprimere quello “spirito conservatore” che segnerà la trasformazione  (ardua ma divertente scommessa, che potrebbe vedere una preliminare ricerca in Veneto in cui Fratelli d’Italia è risultato alle elezioni dappertutto il primo partito regionale).

Chi scrive trova da tempo che l’intento di riflettere su tradizione e identità italiana, ivi compreso il concetto di patria, abbia un rilievo e una legittimità che non giustifica né primatismi né sovranismi ma giustifica una seria critica per la trascuratezza che la sinistra italiana ha espresso al riguardo di questi temi che intersecano storiche lotte di popolo e di libertà, una trascuratezza divenuta suicidaria.

Circa la domanda formulata sulla spinta revisionista possibile, chiunque ora risponderebbe che il cantiere è quello di Palazzo Chigi, breve o lungo che sia. Ma comunque nutrito da un confronto assiduo con i dossier reali attorno a cui mettere perennemente a punto priorità e compatibilità; e dal confronto fisico, personale con i governanti di un mondo che sono fabbricanti di alleanze e quindi produttori di compromessi per necessità. Necessità cioè non solo di rivendicare principi ma anche di trovare soluzioni pena la loro instabilità.

Le Tesi di Trieste (una premessa e ventun argomentazioni) in larga parte non permettono di andare al di là qualche battuta di inquadramento per contribuire alla logica, alla retorica e alle responsabilità di un atto qualsiasi di governo. Per il grosso delle scelte di governo quelle Tesi sono materia di ineludibile radicale revisione e gli argomenti trattati si debbono adattare a ben altri contesti e persino a ben altri conflitti rispetto a quelli che le hanno ispirati.

Va detto che il documento in questione non ha sollevato neppure grande dibattito prima dell’exploit elettorale del 2022.  Franco Ferrari vi ha dedicato una breve analisi, a metà 2021 sul Mulino, in una fase in cui dominavano interrogativi che hanno poi avuto sviluppi. Scrive Ferrari:

Se occorre individuare le radici del male, queste – nelle Tesi – vanno rintracciate nell’illuminismo. Un’operazione di sostanziale banalizzazione del fascismo e un passo indietro anche rispetto alla posizione assunta da Fini. Attraverso questa contorsione ci si ricollega ad ostilità di fondo nei confronti dell’illuminismo, della ragione e del progresso (…) Sul fatto che Fratelli d’Italia si inserisca nel solco del neofascismo italiano sembrerebbe non esserci alcun dubbio. Ma è davvero così?[3].

È evidente che Fratelli d’Italia è ora collocato come un partito di destra non più antisistema. Ma per capirne la prospettiva non è esaurita l’analisi se per questa prospettiva basti togliere ciò che qualcuno chiama “qualche scoria nostalgica” o se permanga un ritorno della tradizione neofascista italiana più sostanziale che conclamato.  L’ultimo anno porta anche nuove e diverse domande. Ora il possibile percorso non è più un tema di evoluzione di un partito politico, ma è anche il tema di un asse portante della democrazia futura italiana. Dunque l’interesse – di metodo e di merito – al riguardo non è cosa che possa esimere avversari, osservatori, partner internazionali e anche la componente più matura dell’astensionismo italiano – a un’attenzione focale e minuziosa attorno a possibili cambiamenti teorici attorno a ciò che è stato espresso per anni in forma di continuità inerziale.

La storia che si ripete

Sono storie di tutti i partiti politici. Per esempio, l’infrastruttura ideologica nel dopoguerra prevalentemente massimalista dei socialisti italiani (scettica riguardo all’Europa unita e contro il Patto atlantico) costò un immenso lavoro di revisione corredato dalla produzione di una schiera di politici dotati culturalmente e di intellettuali sensibili politicamente. Mise all’opera ambiti accademici e laboratori sociali. Creò palestre di analisi e discussione. Una per tutte la rivista di cultura politica, tuttora viva, Mondoperaio che lo stesso Pietro Nenni immaginò nel 1948 per saldare una visione del mondo affrontata con neutralità rispetto alla guerra fredda e una visione del lavoro che era ancorata strettamente alla centralità della classe operaia. Tanto che persino nella formazione del primo centrosinistra negli anni Sessanta la direzione del Partito Socialista respinse la proposta di assumere la responsabilità del Ministero dell’Industria perché classificato come “ministero borghese”. E fu un processo incessante che – malgrado notevoli esperienze di governo già acquisite – prima di assumere la guida del governo indusse Bettino Craxi (con la messa a punto di una fiction dialettica di sostegno a Proudhon rispetto a Marx, che ebbe il nome divulgativo di “vangelo riformista”) ad atti ancora di trasformazione delle piattaforme ideali e valoriali di una forza politica già straordinariamente mutata.

Questa storia fu analoga per i comunisti – almeno per una parte di loro – che tuttavia non riuscirono a portare a termine il percorso di revisione prima dell’evento catastrofico per il comunismo mondiale della caduta del muro di Berlino, tema rimasto al centro delle ambiguità della politica post-comunista. E fu anche il pendolo della discussione evolutiva della Democrazia Cristiana che tuttavia rispondeva più alla domanda alta del cattolicesimo italiano in ordine all’impegno o al disimpegno dei cattolici in politica. E infine fu anche la storia divisiva della cultura liberale tra le istanze confindustriali e quelle liberaldemocratiche.

Non è pensabile che qualche professore di liceo e qualche giornalista dotati ancora di biblioteca e non solo di telefonini rimetta fugacemente mano al documento delle Tesi di Trieste per creare gli adattamenti necessari alle modifiche del sito stesso personale di Giorgia Meloni.

Sito che oggi si apre con lo sciorinamento delle Tesi di Trieste, che sono – nella sostanza culturale – farina dello stesso afflato, con elementi qui e là rispettabili, di altri professori di liceo e altri giornalisti (non mi si prenda alla lettera) che hanno ritenuto che fare un’antologia di nomi (di qualunque genere) attorno a certe parole d’ordine (tradizione, identità, patria, eccetera) fosse atto sufficiente per entrare nella modernità della politica. Ma quella rappresentata dalle immense transizioni del terzo millennio mostra che questa narrativa è già costretta ora a vivere nell’ombra.

L’antologia delle citazioni delle Tesi di Trieste – in ordine di “apparizione” – è la seguente: Jean Raspail, Alain Finkielkraut, Renato Cristin,  Ernesto Galli della Loggia (a proposito della “morte della patria”), Johann Gottfried Herder, Ernest Renan, Giovanni Gentile, Jean Paul Sartre (citato per riluttanza), Marcello Veneziani, Hans Georg Gadamer, Eric Zemmour, Charles De Gaulle (citato per un possibilismo sull’evoluzione dell’idea di patria), Fyódor Mikháylovich Dostoyévskiy, Napoleone Bonaparte, Ludwig Von Mises, Oriana Fallaci (unica figura femminile di riferimento), Filippo Tommaso Marinetti, Daniele Manin (citato come ”proclamatore”), Cicerone, Giuseppe Garibaldi (citato diciamo come sindacalista), Gilbert Keith Chesterton, Joseph de Maistre, Knuth Hamsun.

Governo e adattamenti

Il laboratorio di governo si sta avviando ora come portatore di un continuo difficile adattamento[4].

Da un lato i segnali corrono a prospettive di forte trasformazione. Dall’altro lato le incombenze, gli equilibri e la modesta elaborazione delle complessità a cui si è fatto riferimento segnano le criticità della chiarificazione che potrebbe portare anche a una nuova e differente elaborazione delle “Tesi”.

Contano, naturalmente, anche gli atti concreti che si compiono. Ci sono passaggi che non minacciano la reputazione italiana e altri che entrano nel capitolo degli adattamenti inadeguati.

Se le Tesi di Trieste hanno bollato la globalizzazione come il male assoluto, all’arrivo della convocazione del meeting internazionale di Davos – in cui il sistema di relazionamento internazionale obbliga a un protocollo invalso – si respinge l’idea che ci vada la presidente del Consiglio e persino il ministro dell’Economia (che probabilmente ci è già andato in passato) e si sceglie di mandare il ministro della Pubblica istruzione Giuseppe Valditara che ha una buona bibliografia personale sulla Roma antica e repubblicana che così gliela fa vedere lui ai globalisti quale è lo scrigno patrimoniale del nostro paese e come in Italia si è fatta la globalizzazione in altri tempi. Ma, per converso, azzardo l’opinione che Steve Bannon, che si è proposto alla festa di Fratelli d’Italia ad Atreju nel 2019 (nella fase di connessioni esplicite dei sovranisti) come consigliere privilegiato per le successive battaglie elettorali (Roma e Bruxelles) accolto e abbracciato “onorati della sua presenza”, forse oggi non dovrebbe avere facilmente un “passi” per circolare a Palazzo Chigi. Non mi dilungo su queste chiamiamole così giravolte connesse ai temi del continuo adattamento. Primo perché è comunque un processo maturativo. Secondo perché ne vedremo ancora delle belle.

Le Tesi di Trieste, oggi in apertura del sito di Giorgia Meloni, verranno sostituite quando ci saranno le condizioni di un documento in cui le grandi transizioni che regolano il nostro futuro saranno oggetto di quella marea di trattamenti a cui il mondo intero mette mano e a cui Fratelli d’Italia non potrà arrivare comprando scampoli al mercato delle bancherelle intellettuali. Ma solo con una guida culturale complessa in cui la transizione (intesa come tsunami molecolare) sarà anche tema “interno” di un apparato e della sua classe dirigente.

Il biennio che ci separa dalle elezioni europee (2024) facilita ad individuare proprio il terreno europeo come un banco di prova interessante.

L’analisi sul posizionamento teorico e politico dei partiti conservatori europei, che ha avuto nuove occasioni di aggiornamento a ridosso del nuovo secolo[5], in questa fase infatti subisce anche una sollecitazione provocata dall’intuizione politica di rivedere le alleanze dei gruppi politici in Europa. Vi è cioè un’ipotesi di rottura dell’alleanza tra popolari e socialisti per aprire un terreno di alleanza tra popolari e conservatori. Esponenti di Fratelli d’Italia ne segnalano la praticabilità.

Scrive, per esempio, Giampaolo Rossi, già membro del Consiglio di Amministrazione della Rai:

Un conservatorismo moderno, che sia un conservatorismo nazionale in Italia, deve tener conto di queste tre grandi culture politiche da porre al centro del nostro agire anche come conservatori europei. Ovvero l’idea di una destra che ponga la libertà dell’individuo rispetto allo Stato e la libertà economica dell’impresa rispetto allo Stato come elemento fondamentale, oltre ad un conservatorismo sociale legato ovviamente alla nostra identità religiosa e, fondamentalmente, alla tradizione italiana”.[6]

E una recente tre giorni a Roma, promossa da Nazione Futura presieduta da Fabrizio Giubilei, ha affrontato la prospettiva di questa linea di tendenza secondo l’approccio che lo stesso Giubilei ha riferito

al mondo della destra istituzionale, non estremista, populista o complottista come piace alla sinistra descriverci, e al tempo stesso aperta al dialogo e al confronto[7].

Maurizio Ferrera ha colto gli spunti di realtà di questa tendenza ma la ha anche collocata all’interno della complessità e degli ostacoli – da intendersi come sostanziale abbandono del sovranismo – che certo saranno “paradigmi” importanti per riscrivere testi di revisione teorica.  Due brani di questa recente analisi[8].

La lucida prospettazione della possibile dinamica politico-parlamentare di questo progetto, come sempre dettagliatissima e densa di valutazioni sui rischi, fatta per Democrazia Futura da Pier Virgilio Dastoli nei giorni scorsi [9], mette in evidenza che – paese per paese – non c’è tempo per aspettare le scadenze elettorali per creare le condizioni di un’alternativa a un piano che non è sulla carta, ma la cui cantierizzazione è già in atto.

E in quella alternativa il ruolo dell’Italia potrebbe rivelarsi decisivo.

Conclusioni

Insomma, le Tesi di Trieste ancora oggi sono in bella vista sul sito di Giorgia Meloni perché sono parte dell’immaginario elaborativo e comunicativo che, approfittando di fattori di grave crisi del sistema politico italiano, hanno permesso a Fratelli d’Italia di scalare in tempi “digitali” il consenso elettorale italiano e hanno permesso a Giorgia Meloni di scalare il maschilismo antiquato della destra italiana mettendo sotto un sistema di partiti sostanzialmente obsoleto. E questo con alcune parole comunicative nette e assertive, che quel documento – al di là delle sufficienze e delle insufficienze – contiene.

Così come queste storie di “mobilità” politica e valoriale vanno trattate con serietà, ugualmente va trattata senza alcuna denigrazione l’ipotesi di trasformazione politica in una traiettoria di 360° gradi riferita all’idea di patria che connette l’Italia all’Europa.

In questo breve articolo si è accennato all’ipotesi e si è accennato alla strada che si deve compiere – con l’evidente forte traino delle maggiori responsabilità di governo – per svolgere una partita che dando futuro alla destra in un certo senso dia futuro anche al rilancio bilanciato del sistema della democrazia politica italiana.

Il monitoraggio che questa rivista farà del percorso possibile terrà conto delle coerenze e delle incoerenze che gli eventi in arrivo e la loro rappresentazione renderanno manifeste.

Con la stessa serenità, il documento di riferimento della scalata di Fratelli d’Italia che va dal 2018 al 2022 ci racconta una storia appesantita da un passato e da un’evoluzione ambigua di quella eredità che non va relegata al semplice significato di una traccia comunicativa occasionale e strumentale, ma alla sintesi di un’elaborazione culturale che appartiene a un tratto storico e che tutti (compreso le teste pensanti di Fratelli d’Italia) hanno il diritto e il dovere di vedere per quello che è.


[1] Il documento integrale al link: https://www.giorgiameloni.it/tesitrieste/

[2] Su Democrazia Futura/ Key4biz si è affrontato il tema il 18 dicembre 2022: Stefano Rolando, “Cercando nell’autobiografia di Giorgia Meloni – I paradigmi di Giorgia Meloni per sostenere, da capo della maggioranza, che la cosa più importante è la sua coerenza”.              

https://www.key4biz.it/democrazia-futura-cosa-ci-si-puo-aspettare-da-giorgia-meloni-leggendo-la-sua autobiografia/420446/.

[3] Franco Ferrari, “Giorgia Meloni e la parola impronunciabile” Il Mulino 17 giugno 2021. Cf. https://www.rivistailmulino.it/a/giorgia-meloni-e-la-parola-impronunciabile

[4] Per completare i riferimenti all’arco del tempo della preparazione e poi dell’accadimento del successo elettorale e della conquista della guida del governo, Stefano Rolando, Giorgia Meloni. Chiaroscuro tra novità e contraddizioni. Analisi della formazione del nuovo governo italiano, in Mondoperaio (n. 11 e 12 /2022).   – https://stefanorolando.it/?p=6922

[5] Per esempio, Francesco Raniolo, I partiti conservatori in Europa occidentale, Il Mulino, 2000.

[6] In Formiche.it, 3 gennaio 2023 (in una rassegna di opinioni curata da Francesco De Paolo) – https://formiche.net/2023/01/meloni-sara-il-perno-dei-conservatori-europei-analisi-e-scenari/,

[7] Il riferimento è tratto dal quotidiano Il Manifesto (Eleonora Martini, 2.10,.2022), L’onda dei conservatori europei, “più istinto che idee” – https://ilmanifesto.it/londa-dei-conservatori-europei-piu-istinto-che-idee

[8] Maurizio Ferrera, “I conservatori che servono all’Europa”, Il Corriere della Sera, 28 ottobre 2022 – https://www.corriere.it/opinioni/22_ottobre_28/i-conservatori-che-servono-all-europa-c38d5af6-56ea-11ed-a6e7-cb06b4dff777.shtml

[9]Pier Virgilio Dastoli,La via pragmatica al federalismo europeo, Democrazia Futura 13.1.2023 – https://www.key4biz.it/democrazia-futura-la-via-pragmatica-del-federalismo-europeo/430909/

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